Il rischio caos in Russia e la valigetta nucleare di Putin

In pochi giorni Vladimir Putin sembra aver ripreso il pieno controllo delle leve del potere, ma le fragilità del sistema di controllo del Cremlino, scrive Ettore Greco, sono emerse in piena luce, come mai prima d'ora. Una possibile guerra atomica resta tra gli scenari immaginati in Occidente.

di Ettore Greco

In pochi giorni Vladimir Putin sembra aver ripreso il pieno controllo delle leve del potere in Russia. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov si è detto anzi convinto che il regime uscirà ritemprato dallo scontro con il capo della Wagner Evgenij Prigozhin. Resta il fatto che è stato proprio il capo del Cremlino a evocare, in più occasioni, lo spettro della guerra civile. L’intento è evidente: convincere una popolazione scossa dagli ultimi eventi che lui e l’establishment che lo circonda sono l’unica alternativa al caos e all’anarchia.

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Ma le fragilità del potere putiniano sono emerse in piena luce, come mai prima. In Russia la propaganda cerca di proiettare l’immagine di un ritorno alla normalità, non si sa con quanto successo, ma nelle cancellerie occidentali una crisi del regime è ora considerata più probabile.

Crisi interna e rischio nucleare

Lo scenario di una Russia in preda a convulsioni interne e a rischio di implosione o di un traumatico cambio di leadership suscita in Occidente varie preoccupazioni, compresa una possibile perdita di controllo sull’arsenale nucleare. È quest’ultima una minaccia reale?

Non è facile misurare il malcontento popolare in un regime in cui il governo ha il controllo assoluto dei media e le manifestazioni di dissenso sono brutalmente represse. Ma non si colgono oggi in Russia i segni di un’incipiente guerra civile.

Lo scontro con la Wagner potrebbe però avere strascichi non trascurabili. Putin, ma anche, e soprattutto, i vertici militari ne escono parecchio indeboliti. Vari gruppi di opposizione – interni ed esterni al regime – potrebbero esserne incoraggiati a sfidare apertamente la presidenza. Inoltre, come notato in un precedente articolo su questa rivista, nuovi rovesci militari in Ucraina metterebbero a repentaglio la tenuta del regime e un’eventuale nuova campagna di reclutamento per frenare la controffensiva ucraina avrebbe molto probabilmente un effetto boomerang.

Dinamiche conflittuali che sfocino in una defenestrazione di Putin non si possono quindi escludere. Per eventuali nuovi inquilini del Cremlino mantenere il controllo sull’arsenale nucleare sarebbe un’assoluta priorità, ma un regime ancora più accesamente nazionalista, intenzionato a riscattare la Russia dai fallimenti di Putin – un incubo ben presente in Occidente – potrebbe arrivare a contemplarne concretamente l’uso. Nel caso estremo di un collasso verticale delle strutture statali, crescerebbe anche il rischio che le armi nucleari finiscano nelle mani di gruppi in grado di agire autonomamente dalle catene di comando istituzionali.

Quest’ultimo scenario appare al momento alquanto remoto. La disgregazione dell’Unione Sovietica suscitò acute apprensioni sul destino del suo arsenale nucleare, una parte del quale era dispiegato sul territorio di alcune repubbliche secessioniste (Bielorussia, Kazakhistan, Ucraina) ma sotto il controllo militare russo. All’epoca la Casa Bianca – con George Bush prima e Bill Clinton poi – si adoperò con successo per facilitare il trasporto e la messa in sicurezza in Russia delle armi nucleari rimaste in quelle repubbliche. Da allora si è sempre fatto affidamento sulla capacità di Mosca di garantire una gestione competente e professionale dell’apparato nucleare anche grazie a uno sperimentato sistema di comando e controllo.

Il rischio che leader irresponsabili o persino gruppi terroristici possano prendere possesso di armi nucleari o del materiale necessario per produrle è in realtà sempre stato considerato non trascurabile. Ma si avevano in mente perlopiù paesi nucleari dal futuro imperscrutabile, come la Corea del Nord, o perennemente instabili e che si trovano a fronteggiare forti gruppi di opposizione radicali, come il Pakistan.

Chi decide sulle armi nucleari

Ovviamente la decisione finale sull’uso delle armi nucleari di qualsiasi tipo, comprese quelle tattiche destinate al campo di battaglia, spetta in Russia al presidente. È lui ad avere continuamente con sé la cosiddetta valigetta che attraverso, sembra, due bottoni – “lancia” o “cancella” – gli consente di impartire ordini sull’impiego delle armi nucleari ai più alti comandi militari e per il loro tramite alle unità militari che le hanno in dotazione insieme ai relativi codici di lancio.

Si pensa che anche il ministro della difesa Sergei Shoigu e il capo delle forze armate Valery Gerasimov abbiano delle proprie valigette nucleari. Come funzioni più in dettaglio la catena di comando, controllo e comunicazione delle armi nucleari resta ovviamente segreto, ma, nel caso che sia accertato un attacco nucleare contro la Russia, la decisione se e come rispondere dovrebbe essere presa in pochi minuti, la catena si accorcerebbe, e maggiore potrebbe essere il ruolo delle strutture locali di comando e dei programmi dei computer predisposti per questa evenienza. In caso di falsi allarmi, la valutazione dei comandi inferiori potrebbe rivelarsi decisiva per bloccare la rappresaglia.

In via teorica, non si può escludere uno scenario in cui i militari, a un livello più o meno alto, scelgano di opporsi a un comando del presidente sull’impiego delle armi nucleari che ritengano irrazionale. Un simile ammutinamento non appare però molto probabile. È infatti lecito dubitare che della catena di comando nucleare facciano parte ufficiali con sufficiente determinazione e coraggio per sfidare apertamente il presidente.

La minaccia delle armi nucleari tattiche

L’attenzione è oggi puntata sulle armi nucleari tattiche che si teme Mosca possa usare nell’ambito della guerra in Ucraina, dando seguito alle ripetute minacce di un escalation nucleare. La Russia ne possiede circa 2 mila – dieci volte quelle americane – e ha cominciato a dispiegarne una parte, non si sa quante, in Bielorussia, come orgogliosamente confermato dal presidente bielorusso Alexander Lukashenko.

La procedura per il loro impiego è la stessa sopra descritta, ma il potenziale lancio dovrebbe essere preceduto dalle installazioni delle testate, che ora si trovano nei depositi, sui veicoli di trasporto e dall’attivazione delle relative unità militari. Tutte azioni che potrebbero essere rilevate, senza grandi difficoltà, dai satelliti. Inoltre, Mosca stessa potrebbe essere interessata a non nascondere queste misure preparatorie se lo scopo è quello di brandire l’arma nucleare a scopo di intimidazione.

Infine, nel caso di un’effettiva volontà di impiegare le armi nucleari tattiche, il Cremlino dovrebbe, di necessità, mettere in uno stato avanzato di allarme anche le sue armi strategiche in vista di una possibile risposta nucleare degli Usa. Anche questa mossa non rimarrebbe però celata.

Da quando si è profilato il rischio nucleare nel contesto della guerra in Ucraina, Washington ha ripetutamente espresso fiducia nella propria capacità di monitorare le attività delle forze armate russe adibite alle armi nucleari e anche di recente ha dichiarato di non aver rilevato nessun cambiamento degno di nota nella dislocazione delle testate nucleari russe destinate a un uso tattico. Non meno importante, continuano ad essere attivi i canali di comunicazione tra i due paesi sulle questioni nucleari.

Le minaccia nucleare russa rimane però, come ammesso dallo stesso Biden, “reale”. Le probabilità che si materializzi potrebbero aumentare nel caso Putin subisse nuovi rovesci militari in Ucraina e la controffensiva in corso avesse successo. E non si può certo dare per scontato che, nel caso di una sua defenestrazione e di un cambio ai vertici del Cremlino, lo spettro di una guerra nucleare potrebbe essere più facilmente esorcizzato.

Fonte: Affari Internazionali 

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