I liberisti a giorni alterni, una categoria davvero imbarazzante

Per loro la globalizzazione è una bella cosa purché noi, "occidente", restiamo all'avanguardia su tutto lasciando agli altri produzioni da un euro al paio. Sono i veri sovranisti, peggio dei protezionisti.

di David Ricardo*

(WSC) ROMA – Li senti pontificare ogni giorno sui benefici del libero commercio, che effettivamente ha sollevato due miliardi di persone dalla povertà assoluta. 

Li leggi decantare gli aspetti positivi della globalizzazione, la concorrenza che ha beneficiato i consumatori abbassando il costo di prodotti che sono diventati disponibili per tutti oppure offrendone di nuovi che si potevano solo immaginare fino a pochi anni fa. 

Li vedi osannare l’innovazione, la capacità di modificare sempre i prodotti per stare al passo coi tempi, il duro lavoro e gli stipendi ai dipendenti legati ai risultati, altro che scansafatiche in azienda.   

Militano in partitini liberali, 10% in tutto

In Italia scrivono sul Foglio, su Formiche, su Linkiesta, Sole 24 Ore, La Stampa, militano spesso nei piccoli partiti “liberali”, 10% in tutto.  I loro nemici sono i sovranisti e i protezionisti, così almeno dicono, quelli brutti e cattivi della destra o della “sinistra sinistra”. E poi gli “statalisti“, così li chiamano, quelli che vogliono dare un reddito a tutti senza far niente.   

Fuori d’Italia, specie a Washington e a Londra, hanno predicato le stesse lezioni per tre decenni, più o meno dalla caduta del muro di Berlino in poi. Che bravi, che belli, e in teoria hanno pure ragione.   

Non hanno fatto però i conti con una cosa: che qualche paese potesse imparare il giochino meglio di loro. Anzi, che potesse prendere sul serio questi insegnamenti, ed applicarli, nel modo in cui gli riesce meglio.  

Negli ultimi 20 anni questo paese è stato, soprattutto – anche se non solo – la Cina: cioè un quinto dell’umanità.  

Da liberisti a sovranisti

Ed ecco che improvvisamente i liberisti diventano sovranisti e protezionisti come quelli che schifavano fino ad un momento prima. Se chi vende, chi compra, chi compete, chi innova, chi paga stipendi ai dipendenti legati ai risultati, chi lavora duramente e fa a malapena una settimana di ferie l’anno sono i cinesi, eh no signori miei non va bene. Se le aziende cinesi registrano più brevetti di quelle americane signori miei non va bene. Se si azzardano a competere non più sulle magliette e le scarpe ma sui macchinari, i treni veloci e l’alta tecnologia, eh no signori miei non va bene.  E come osano investire nelle nostre ex colonie africane? 

La scusa dei diritti umani

Ma siccome sono liberisti non possono metterla proprio così, ecco quindi che inventano altre scuse: i diritti umani.

Ah bene, peccato che sia un problema non solo cinese, anzi ci sono paesi coi quali commerciamo allegramente che hanno una situazione ben peggiore, anzi gli vendiamo pure armi a gogo.

Allora il problema è l’assenza di democrazia.

Bene, peccato che di nuovo è un problema che affligge una buona parte del mondo e senza guardare lontano pure l’Europa, tutti paesi coi quali però commerciamo ed in cui investiamo.

Di recente sono tentati di elencare anche il Covid-19 nell’elenco delle scuse; ma hanno ancora un po’ di dignità e non lo dicono perché altrimenti gli si risponderebbe facilmente con le note reazioni “è solo un’influenza” o “le mascherine non servono”, prodotti dello stupidario nazionale da Brasilia a Londra.

Liberisti a giorni alterni, anzi a passaporto alterno. Fanno i convegni, si eccitano per gli accordi di libero scambio che l’Unione Europea ha concluso o sta negoziando purché dall’altra parte ci sia un paese che viene percepito come povero ed arretrato. Vietnam, Bolivia, Paraguay, Nigeria, Cameroon, Perù: tutte nazioni che vanno bene, forse perché sono percepite come “controllabili“, cioè che l’Occidente riuscirà sempre a tenere sottomessi, obbligati a produrre scarpe, magliette e ventilatori o venderci petrolio e carne bovina. Ma non si azzardassero mai a diventare il prossimo paese leader mondiale nel settore macchine utensili, i treni ad alta velocità o le telecomunicazioni. 

Segregazione del mercato globale

Questa forma di segregazione del mercato globale per cui va tutto bene, la globalizzazione è una bella cosa purché noi, “Occidente” o come vogliamo chiamarlo restiamo all’avanguardia su tutto e gli altri producono solo roba da un euro al paio, fa molto più schifo del protezionismo. Perlomeno il protezionista odia tutti i prodotti esteri, indipendentemente da dove provengano, vuole “consumare italiano”, se ne frega del nostro export che invece tiene in piedi l’economia italiana e pensa che possiamo bloccare le importazioni senza interrompere le esportazioni. 

Il mondo dei protezionisti veri sarebbe molto più brutto e più povero per tutti. Ma quello dei liberisti a giorni alterni, quelli che guardano non alla capacità ma al passaporto di chi produce, investe, si fa – scusate – “il mazzo” per competere tutti i giorni sul mercato globale, e se è cinese non va bene, questo mondo è anche peggio.

Perché puzza di una cosa peggiore: si chiama discriminazione, condita da una buona dose di ipocrisia

*Con questo articolo comincia la sua collaborazione a Kissinger David Ricardo, si tratta di un alto funzionario che lavora in ambito intergovernativo il quale per il suo ruolo non può  essere identificato. 

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