Silvio, che ‘sviolinata’ ad Amazon: anche gli ‘amici’ italiani mollano Trump?

Il Cav elogia il portale di Bezos, nemico numero 1 del tycoon. Anche Salvini non cita più il magnate (denunciato dai venture capital).

In pochi lo hanno notato, ma nella politica estera di Silvio Berlusconi qualcosa è cambiato, è sparita la vicinanza con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

Nel suo ultimo intervento pubblico, alla convention di Fiuggi organizzata dal presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, il leader di Forza Italia ha tenuto banco per circa 5 minuti con una vera e propria ‘sviolinata’ nei confronti di Amazon, la piattaforma di e-commerce più grande al mondo, il cui proprietario è Jeff Bezos, nemico pubblico numero uno del tycoon americano, nonché proprietario del New York Times, attraverso il quale fa arrivare bordate fortissime sulla Casa Bianca e il suo inquilino.

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D’accordo, alla fine dei quasi 5 minuti in cui hai elogiato la compagnia americana ha anche ricordato che servono leggi più stringenti per costringere i colossi del web a pagare tasse più adeguate in Europa, anzi a iniziare pagarle nel Vecchio continente, ma il Cavaliere, raccontando di essere rimasto rapito dall’offerta così ampia che offriva il portale per l’acquisto di uno sgabello, tanto da ordinarne addirittura 3, da vecchio imprenditore ed esperto di tecniche commerciali qual è, si sarà sicuramente reso conto di aver fatto una pubblicità gratuita e potente.

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Non solo, perché nello stesso intervento pubblico il Cavaliere ha anche ritenuto “folle” la presa di posizione americana verso la Corea del Nord, che trascinerebbe l’intero Occidente in una vera e propria guerra globale, i cui esiti sono totalmente incerti, in caso di attacco frontale e militare a Pyongyang.

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Se, come si suol dire, due indizi fanno una prova, forse siamo di fronte a un ripensamento clamoroso nei confronti del capo della nazione più vicina e amica dell’Italia. Proprio quel presidente degli Stati Uniti che con il suo arrivo sulla tolda di comando Usa avrebbe dovuto restituire agibilità politica e credibilità diplomatica a Silvio Berlusconi.

E se Sparta piange Atene di certo non ride, visto che anche nei discorsi ufficiali dell’alleato leghista Matteo Salvini, grande sostenitore in Italia di Trump, il nome del tycoon è improvvisamente scomparso. Non esistono dichiarazioni ufficiali che commentino, in positivo o in negativo, l’operato del magnate di New York alla Casa Bianca. Cosa vorrà dire, che anche gli amici italiani hanno abbandonato ‘The Donald’, già in difficoltà nel suo paese e preso di mira dalla finanza internazionale?

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Scoprire se queste siano solo ‘sviste’ o clamorose inversioni a ‘u’, sarà uno dei passaggi più interessanti della prossima campagna elettorale, in vista delle elezioni politiche nel nostro Paese.

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L’associazione dei venture capital fa causa a Trump

National Venture Capital Association (Nvca), l’associazione che rappresenta i maggiori fondi di venture capital americani, ha fatto causa all’amministrazione Trump. E invita anche imprenditori e startup a partecipare. L’accusa si rivolge contro il Dipartimento della Sicurezza Interna, colpevole, secondo la Nvca di aver rimandato l’entrata in vigore dell’International Entrepreneur Rule.

Il provvedimento, varato da Barack Obama nella fase finale del suo mandato, consentirebbe agli imprenditori stranieri di stabilirsi o viaggiare liberamente negli Stati Uniti per due anni e mezzo, con un’opzione di rinnovo per altri due, a patto che posseggano almeno il 10% di una startup o abbiano un importante ruolo esecutivo, che guidino un’impresa capace di attrarre almeno 250 mila dollari da investitori americani o che la società abbia grandi potenzialità di crescita e creazione di posti di lavoro. L’International Entrepreneur Rule avrebbe dovuto entrare in vigore dal 17 luglio. Ma l’amministrazione Trump, una settimana prima, lo ha bloccato e rimandato di 8 mesi, durante i quali “discuterà della possibilità di abolirlo”.

Dal punto di vista legale, la decisione – scrive l’associazione – sarebbe “contraria all’Administrative Procedure Act” (la legge che definisce le procedure degli organi amministrativi Usa) perché il Dipartimento della Sicurezza Interna non avrebbe motivato la sua decisione con sufficiente trasparenza. I giudici saranno quindi chiamati a decidere se invalidarla perché “arbitraria” o frutto di un “abuso di discrezione”. Sotto il profilo economico, i venture capital sostengono invece che lo stop all’International Entrepreneur Rule “mette a rischio gli imprenditori immigrati che intendevano avvalersi della legge” e provocherà “la perdita di nuovi business e posti di lavoro, che non saranno più creati negli Stati Uniti ma oltreoceano”.

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La causa, la prima mossa dalla Nvca contro il governo, chiede quindi alla Corte di “rimediare a quest’azione illegale”, in modo da consentire “agli imprenditori nati all’estero di arrivare temporaneamente negli Stati Uniti per far crescere le proprie imprese”. “L’immigrazione di imprenditori – ha affermato il presidente e ceo della Nvca, Bobby Franklin – svolge un ruolo vitale per l’innovazione e il rafforzamento dell’economia Usa. E’ in corso una gara per attrarre talenti e dovremmo fare di tutto per vincerla”. Perché, continua l’associazione in una nota, il mercato del capitale di rischio è sempre più globale: “Due decenni fa le startup americane ricevevano il 90% degli investimenti da venture capital. Dieci anni fa la quota era calata all’81% e lo scorso anno si e’ attestata al 54%”.

La Nvca ricorda un suo studio del 2013, secondo il quale un terzo delle società americane sostenute da venture capital e quotate tra il 2006 e il 2012 aveva almeno un fondatore immigrato. L’associazione, nel cui board siedono (solo per citarne alcuni) esponenti di Andreessen Horowitz, Accel e Sequoia, trasforma poi i numeri in esempi concreti: imprese come Google, Tesla e Intel sono nate e cresciute negli Stati Uniti grazie a imprenditori nati all’estero: Sergey Brin è russo, Elon Musk sudafricano, Andrew Grove è nato in Ungheria.

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