Matera, capitale della cultura 2019, brucia stupidamente un’opportunità storica

A due anni e mezzo dalla scelta e malgrado i 217 milioni di budget, mancano collegamenti, accoglienza e coordinamento delle attrazioni turistiche. Sindaco e Fondazione litigano, i cantieri restano …

A due anni e mezzo dalla scelta e malgrado i 217 milioni di budget, mancano collegamenti, accoglienza e coordinamento delle attrazioni turistiche. Sindaco e Fondazione litigano, i cantieri restano fermi. E l’Europa avvisa: così non va.

A 32 mesi dall’annuncio e con 217 milioni di euro di budget, «Matera Città Europea 2019» resta un’idea. «Scontiamo ritardi politici e burocratici, incapacità di gestione. C’è il forte rischio che non riusciamo a spendere i soldi stanziati. Manca del tutto lo spirito civico, il senso del bene comune che ha permesso in passato di avviare il recupero urbanistico dei Sassi. Molti soggetti attivi della città sono stati esclusi da ogni forma di consultazione», spiega l’architetto Renato La Macchia, dagli Anni Settanta autore di riusciti interventi di restauro, tra cui quello di Casa Cava, assieme a Casa Noha, gestita dal Fai, e al Musma, il Museo della scultura contemporanea, uno dei luoghi simbolo della rinascita di Matera. Eppure l’altra capitale europea della cultura (la città bulgara di Plovdiv) con un budget sei volte inferiore è stata elogiata dall’Ue per lo stato di avanzamento dei lavori.

Collegamenti fantasma

Lo scorso 12 maggio i ministri delle Finanze del G7 riuniti a Bari, per andare a cena sulla terrazza di Palazzo Lanfranchi, sede del Museo d’arte medievale e moderna, e da lì ammirare i Sassi al tramonto, hanno preso il treno. Sono saliti sulle carrozze delle ferrovie Appulo-Lucane, linea non elettrificata, a binario unico e scartamento ridotto, con traversine ancora di legno, hanno percorso i 76 chilometri della tratta e in 48 minuti sono arrivati a Matera Sud, capolinea. Quando l’hanno saputo, i materani non sono rimasti contenti. A loro occorre più del doppio del tempo: 1 ora e 42 minuti, ritardi esclusi.

Ma i ministri non hanno effettuato fermate intermedie e ad Altamura non sono dovuti scendere e risalire su un altro treno per evitare di ritrovarsi a Gravina, perché nessun annuncio, ma soltanto la cortesia dei pendolari abituati allo smarrimento dei turisti, ti avvisa che lì bisogna cambiare. Contrariamente alle promesse di due Regioni, Puglia e Basilicata, e agli impegni di vari governi e ministri, la linea non sarà raddoppiata in tempo per accogliere i visitatori nel 2019, quando Matera diventerà capitale europea della cultura. Forse, si riuscirà a raddoppiare la strada statale, oggi angusta e rischiosa di curve, rallentamenti, cantieri. Forse verrà completata l’illuminazione del quattrocentesco Castello Tramontano, di proprietà del Comune e per il quale ancora manca un progetto di gestione. Forse riaprirà l’unico teatro della città il Duni, di proprietà privata, dichiarato in parte inagibile. La giuria europea che controlla l’avanzamento del progetto ha espresso «la propria profonda preoccupazione rispetto alla struttura della governance della Fondazione Matera 2019 che continua a risultare estremamente poco chiara ed eccessivamente complessa, ostacolando il progresso del progetto». La giuria rappresenta «il proprio rammarico rispetto al fatto che la Fondazione non abbia osservato e messo in atto le indicazioni che la delegazione europea aveva dato durante la visita di monitoraggio di marzo 2016». Un anno prima, nel 2015, era accaduto qualcosa di tipicamente italiano, le cui conseguenze la giuria europea non poteva prevedere: alle elezioni amministrative non viene confermato il precedente sindaco, Salvatore Adduce (Pd).

Viene eletto Raffaello De Ruggieri, indipendente di centrodestra, che ora fotografa così lo stato delle cose: «Tutti noi sindaci siamo immersi nella palude del groviglio normativo imposta dalla legislazione nazionale, della lentezza di ritmi incoerenti rispetto alla velocità che dovremmo avere. A 82 anni, sempre rispettoso della moralità e della legalità, dico che siamo vittime predestinate di questi percorsi di guerra. Arriviamo sfiniti ai blocchi di partenza, non al traguardo». Intanto scoppia la guerra tra nuova amministrazione e Fondazione Matera 2019, i cui vertici erano stati concordati con Adduce. Giovanni Moliterni e Nicola Tamburrino della Libreria dell’Arco, luogo vivo, che sa accogliere raccontano: «È la paralisi. La città ha vinto, ma rischia di rimanere tutto fermo. Lo scollamento tra amministrazione e Fondazione Matera 2019 è evidente, mentre si stanno scatenando gli appetiti individuali e le consuete logiche clientelari. Un dato è innegabile: il grande aumento del flusso turistico. Ma sta vincendo la cultura dello spettacolo, dell’evento. Il programma di Matera 2019 ci sembra la Supercazzola del Conte Mascetti di Amici miei».

Sono passati 32 mesi da quella sera del 17 ottobre 2014 quando il ministro Franceschini annunciò che, battendo le candidature di Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna, Siena, la città prescelta era Matera. A Piazza San Giovanni, dove si erano raccolte migliaia di persone, esplose un urlo di gioia incontenibile. Lacrime e abbracci. Vinceva, si riscattava Matera e, sembrò l’intero Sud Italia, anzi l’Italia tutta: Expo 2015 a Milano prima, Matera 2019 poi, due vetrine mondiali, che la retorica della politica amplificò a dismisura. Matera è un caso unico al mondo. Nessun’altra città deve la propria rinascita a un libro. È stato «Cristo si è fermato ad Eboli», il romanzo di Carlo Levi – confinato nel Materano dal fascismo – che Einaudi pubblicò nel 1945, a far scoprire simultaneamente una doppia verità: la bellezza arcaica e sacra dei Sassi e l’inumanità delle condizioni di vita dei 15.000 materani che abitavano in quelle grotte di calcarinite, assieme agli animali, senza luce, senza acqua corrente, senza servizi, pieni di pidocchi, aggrediti dalla malaria, con le ossa che marcivano per l’umidità e uno spaventoso tasso di mortalità infantile, superiore al 40%. In ogni grotta abitavano in media 6 bambini.

Non una sciagura biblica, ma il risultato delle feroci riforme agrarie che tra fine Ottocento e inizio Novecento immiserirono le campagne e costrinsero molte famiglie contadine a inurbarsi. Una «vergogna nazionale» così Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi definirono, nell’immediato dopoguerra, quella realtà. E iniziò lo sfollamento. «Ricordo i pianti delle donne che si salutavano mentre abbandonavano il comune “vicinato” per trasferirsi nei nuovi quartieri. Ricordo i muratori pronti con pietre, calcestruzzo e cazzuola a murare – invano – le porte delle case appena lasciate dalle famiglie perché non fossero occupate dagli abusivi. Ricordo i quartieri abbandonati che diventavano il gigantesco teatro dei nostri giochi di bambini», racconta Giovanni Pentasuglia, tornato a vivere nella città dove è nato dopo una vita trascorsa a Firenze, nel coro del Maggio Musicale. Il trasferimento durò vent’anni, vennero costruiti nelle campagne vicine nuovi borghi rurali – La Martella, Agna, Venusio – e nuovi quartieri urbani: Lanera, Serra Venerdì, Spine Bianche, Villa Longo, Pini, Platani, San Giacomo. Oggi la maggioranza dei 61 mila abitanti di Matera vive lì, mentre l’antico centro città si è trasformato in una successione ininterrotta di oltre cinquecento tra bed and breakfast, residence, alberghi diffusi, luxury hotel, resort & spa, affittacamere, mentre decine di furgoni Ape portano su e giù per le ripide strade che attraversano i Sassi i turisti pigri o anziani o grassi, e camminando tra piazza Duomo, piazza del Sedile e piazza Persio, si viene continuamente fermati da addetti delle agenzie turistiche che propongono visite ai Sassi, alle Chiese Rupestri, alla Cripta del Peccato originale, alla Grotta dei Pipistrelli, al Parco della Murgia Materana, ai luoghi scelti da Pier Paolo Pasolini per girare «Il vangelo secondo Matteo» (1964) e da Mel Gibson per il più modesto «La passione di Cristo» (2004).

«Siamo nella fase dell’assalto alla diligenza, a causa dei finanziamenti stratosferici. A ritmi esponenziali si sta sgretolando quello che resta della cultura locale. I luoghi simbolo dell’antica povertà e dell’economia agro-pastorale sono diventati i luoghi sacri alla baldoria e alla movida. Sta vincendo l’improvvisazione, non la progettualità: manca ogni senso di moderazione», dice Gianfranco Lionetti, archeologo protostorico, studioso del territorio. Nel 2006 ha partecipato al ritrovamento dei resti di una balenottera pleistocenica, datata a 800.000 anni fa e lunga 25 metri: il fossile più grande mai rinvenuto al mondo, un reperto di eccezionale rilievo. Ma nonostante campagne di stampa, documentari di denuncia, interrogazioni parlamentari, i resti di Giuliana ribattezzata così perché scoperta nei pressi della diga di San Giuliano, sono ancora rinchiusi in casse di legno nel Museo archeologico Ridola. «Da parte della Sovrintendenza e della politica manca qualsiasi riflessione su come organizzare attorno a questo reperto un percorso, una riscoperta del nostro territorio che è una miniera in gran parte inesplorata di tesori fossili e archeologici. Con il Fai, invece, stiamo lavorando a un cantiere-scuola permanente attorno a un villaggio neolitico», dice. Il restauro e l’adeguamento del Museo Ridola, il potenziamento della sede universitaria, la stabilizzazione della Biblioteca provinciale: anche su questi progetti prevale l’incertezza.

Turismo mordi e fuggi

«Matera, oltre che essere attraente per il turista, deve diventare attrattiva per le imprese», dice il sindaco De Ruggieri. «Alla migliorata qualità sociale e urbana, al palcoscenico del 2019, è necessario si aggiunga una migliore qualità economica. Le risorse in arrivo devono produrre nuova occupazione in settori strategici come il digitale». Ma la sfida è difficile. Francesco Rondinone lavorava in una fabbrica di salotti e divani, assieme ad altri 700 operai.

Proprio mentre stava mettendo su famiglia, l’azienda ha delocalizzato; lui si è iscritto ad archeologia, si è laureato e dal 2013 lavora come guida turistica. «Oggi, il principale dinamismo in città è quello dei privati, che hanno fiutato l’affare». Un turismo veloce e vorace. «Durante la visita ad una delle nostre chiese rupestri ed affrescate dell’ undicesimo secolo, una signora mi ha chiesto. “Undicesimo prima o dopo Cristo?”. E io: “Signora, chiese cristiane prima di Cristo io non ne conosco”. Matera comincia a dover fare i conti con il problema del traffico, dello smaltimento dei rifiuti accumulati da ristoranti e pizzerie». La vista migliore della città è al tramonto, dalle rupi che la fronteggiano, nel Parco della Murgia Materana. Da lì, Giovanni Pentasuglia indica la zona dei Sassi dove è nato. «Matera dovrebbe guardarsi dal rischio di sopravvalutarsi e sovrastimare questa grande opportunità. Se non saprà attrezzarsi con infrastrutture adeguate, rischia un brutto risveglio». Prima che cali il buio, il falco grillaio, che nidifica qui da millenni, vola alto aprendo le sue stupende ali color ruggine. È arrivato all’inizio della primavera, ripartirà a settembre per svernare nell’Africa subsahariana.

Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da La Stampa, che ringraziamo

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