E basta con l’inglese: provate a dire «feedback» in italiano

Sacrosanta lotta del Devoto-Oli contro gli anglicismi in economia, finanza, moda, spettacolo, tecnologie e nel parlato comune.

La sequenza è famosissima. Nanni Moretti, in «Palombella rossa» del 1989, aggredisce l’intervistatrice che gli rivolge una domanda infarcita di anglicismi, tra cui la parola «trend». Lui la maltratta: «Chi parla male, pensa male e vive male. Le parole sono importanti: trend negativo… Io non parlo così, io non penso così…».

La scena è citata in una delle novità dell’edizione 2017 dell’ormai storico vocabolario ideato e strutturato da Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli (il primo scomparso nel 1974, il secondo nel 1996) e che ora porta anche le firme di Luca Serianni e Maurizio Trifone, edito da Le Monnier.

Tutto è nato cinquant’anni fa, un mezzo secolo che il vocabolario festeggia guardando al futuro, profondamente rinnovato e attualizzato: oltre alle 70.000 voci, alle 250.000 definizioni, alle 35.000 locuzioni, alle 66.000 etimologie stavolta appare anche un «pronto soccorso linguistico» con 200 schede interne. Tutte dedicate ai cosiddetti anglicismi, ovvero le espressioni della lingua inglese — assorbite soprattutto dal mondo economico-finanziario, dalla moda, dalla Rete e quindi dalla comunicazione in generale, dallo spettacolo — che hanno occupato spazi sempre più ampi al punto da cancellare gli equivalenti italiani.

Il problema non è solo l’accantonamento della nostra splendida lingua. Molto più spesso di quanto non si creda, certi vocaboli, termini, modi di dire tagliano fuori dalla semplice comprensione un pubblico molto ampio. Le duecento schede sono ragionate, risalgono all’origine dell’approdo all’italiano, e propongono — con motivazioni ed esempi — gli omologhi vocaboli italiani.

Tanti piccoli risparmiatori, per esempio, capirebbero meglio se al posto di «bond» apparisse la cara, vecchia e trasparente «obbligazione». O se invece di «break even» si usasse il chiaro «punto di pareggio». Il «downgrading» non è un mistero iniziatico, è semplicemente un «declassamento». Per non parlare dell’ostico «credit crunch», sostituibile con una accessibile «stretta creditizia». In quanto alla politica, un «endorsement» di un maggiorente di partito verso una candidatura è assai banalmente un «sostegno», o un «appoggio»: non è tutto più esplicito?

La nostra vita quotidiana, lo sappiamo tutti, è una dura lotta anche quando si compra qualcosa, o si acquista un biglietto aereo. Magari qualcosa va storto e bisogna protestare. Ed ecco spuntare l’ufficio «customer care»: probabilmente un po’ di rabbia già sparirebbe se comparisse un placido «cura del cliente», anche solo perché la parola «cura» già ti avvolge di attenzioni e quasi di affetto.

Come si legge nell’introduzione firmata da Luca Serianni e Maurizio Trifone «in tanti casi un anglicismo è frutto di una semplice inerzia e magari di una certa quota di provincialismo», in altri casi può persino esserci «una matrice snobistica». E segnalano con soddisfazione fenomeni di ritorno, come il caso dell’«allegato» che si sta sostituendo decisamente ad «attachment», o della «pausa caffè» sempre più visibile al posto di «coffee break».

E poi, ricordano i linguisti, l’italiano è ricchissimo. «Cheap» può tranquillamente sparire utilizzando, con puntuali sfumature a seconda del caso, «economico, dozzinale, scadente, mediocre». Italiano batte inglese quattro a uno.

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