Ti piacerebbe farti assumere da Google? Ecco talenti e criteri richiesti

Cultura, intelligenza non pedante, e richieste non proprio ordinarie come la formulazione di algoritmi o programmi in Java per la risoluzione del sudoku. Un conto è cercare lavoro …

Cultura, intelligenza non pedante, e richieste non proprio ordinarie come la formulazione di algoritmi o programmi in Java per la risoluzione del sudoku.

Un conto è cercare lavoro su Google. Un conto è cercare lavoro a Google, come fanno ogni anno più di 2 milioni di candidati affascinati da una carriera a Mountain View o tra le 70 sedi del colosso californiano. Se si considera che la media di assunti oscilla tra i 4mila e i 6mila talenti l’anno, significa che la probabilità di essere il prossimo Noogler (abbrevazione di “new googler”) può oscillare tra 1 caso su 400 e 1 caso su 333.

La rigidità del processo è nota e resa pubblica, almeno nella sua forma essenziale, dalla stessa pagina Careers di Big G. Per una delle posizioni più ambite e più richiesta, quella del software engineer, la trafila ordinaria prevede in media 1-2 interviste telefoniche, fino a cinque colloqui di persona e la revisione finale di due diverse commissioni (Hiring Commitee).

Ma quali sono i criteri tenuti in considerazione, durante un processo che dura almeno un mese? È lo stesso Google a elencarli: leadership, competenze legate al ruolo, capacità di ragionamento e un criterio tanto soft quanto decisivo, la cosiddetta “googleyness”.

Leadership: “usare muscoli diversi” a seconda della situazione (ma sapersi limitare)
“Leadership” è entrata da anni nel vocabolario delle buzzword, le parole inflazionate che ricorrono di più su LinkedIn e le varie piattaforme per la ricerca di impiego. Eppure Big G non si fa problemi a indicarla in cima ai quattro requisiti attesi nei candidati. I selezionatori sono interessati a capire «in che maniera il candidato ha usato muscoli diversi in situazioni diverse per mobilitare un team».

Fuori di metafora, il candidato deve dimostrare di aver gestito situazioni problematiche in azienda sia in qualità di responsabile designato sia nella veste di “leader di fatto” in sostituzione di un superiore. Laszlo Bock, responsabile delle people operations (Hr) di Google e autore di un libro sul tema intitolato «Work rules!», ha fornito in un’intervista al quotidiano britannico Guardian un’ulteriore chiave di lettura: la leadership emergente è la capacità di intervenire sui problemi e tornare alle proprie occupazioni quando si è esaurito il proprio compito. «Essere disposti a “mollare” il potere quando non serve è molto importante» ha detto Bock.

Le competenze legate al ruolo. Obbligatorie o consigliate
Le competenze legate alla figura sono uno dei quattro, ma non il primo, dei requisiti ambiti da Google. Big G scrive di volersi assicurare che i candidati non sfoggino solo un elenco di «skills isolate» ma un quadro completo di passioni e competenze. Certo, da qui ad affidarsi alla sola motivazione il passo è lungo – se non altro perché i vari responsabili delle risorse umane ricevono quotidianamente «tonnellate di candidature» e devono filtrare ciascun curriculum nell’arco di pochi secondi.

Soprattutto per le figure più tecniche, come i già citati software engineer, il candidato deve confrontarsi tra alcune qualifiche minime (laurea nel settore, esperienze pregresse, l’ovvia conoscenza dell’inglese) ed altre “preferenziali” (dalla conoscenza di un certo mercato pubblicitario alla padronanza dei linguaggi di programmazione utilizzati).
Non a caso, nell’invio della application, la cover letter è opzionale e non obbligatoria perché «il tuo lavoro parla già per te».

Capacità di pensiero (e creazione di algoritmi)
Google fa suo il principio della capacità di pensiero: meglio valutare profondità e agilità del ragionamento, piuttosto che un elenco di nozioni rigide. È lo stesso Bock a scrivere nel suo «Work Rules!» che la logica di fondo dovrebbe essere quella di definire il candidato ideale e scegliere una risorsa che reagisca «meglio di te» a determinati stimoli.

Nel concreto, comunque, il tenore dei quesiti può variare molto a seconda dell’avanzamento nel processo di selezione e della divisione prevista. Il portale di lavoro Usa Glassdoor ha raccolto testimonianze che vanno da interrogativi più generici per rompere il ghiaccio («Che cosa significa leadership per te») a richieste non proprio ordinarie come la formulazione di algoritmi o programmi in Java per la risoluzione del sudoku.

E tu, hai la Googleyness?
Bock la definisce un fattore culturale, più che aziendale. Sta di fatto che la “googleyness” è il quarto elemento inserito da Big G tra i suoi criteri di selezione. In cosa consiste? Stando alle parole di Bock l’etichetta contiene più significati: da «una certe dose di umiltà intellettuale» all’essere a proprio agio «con le ambiguità» del mercato digitale e del suo futuro. Insomma, una certa resilienza alle incertezze croniche del business e della carriera che si sta scegliendo. A partire dal colloquio.

di Alberto Magnani

Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Il Sole 24 Ore

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