Tribunale nega a Trump l’immunità

Ha solo 'tutti i mezzi di difesa di qualsiasi altro imputato' in un processo penale. L'ex presidente farà appello contro la sentenza. Schiaffo in appello sui tentativi di ribaltare il voto del 2020.

Donald Trump non ha più l’immunità presidenziale e può essere processato per i suoi tentativi di sovvertire il voto del 2020, culminati nell’assalto a Capitol Hill.

La corte d’appello federale della capitale infligge un duro colpo al tycoon, che però preannuncia un ulteriore ricorso destinato ad arrivare alla Corte suprema.

La decisione della corte d’appello, presa all’unanimità, è categorica e non sembra poter essere facilmente ribaltata. La tesi difensiva che Trump è immune dalla responsabilità penale per le azioni prese quando era alla Casa Bianca, scrive il collegio, non è “supportata da precedenti, dalla storia o dal testo e dalla struttura della Costituzione”.

“Ai fini di questo procedimento penale, l’ex presidente Trump è diventato cittadino Trump, con tutte le difese di qualsiasi altro imputato in un procedimento penale”, spiegano i giudici, sottolineando che “qualsiasi immunità esecutiva che avrebbe potuto proteggerlo mentre era presidente non lo protegge più”.

“Non possiamo accettare l’affermazione secondo cui un presidente ha un’autorità illimitata per commettere crimini che neutralizzerebbero il controllo più fondamentale sul potere esecutivo: il riconoscimento e l’attuazione dei risultati elettorali”, proseguono, ammonendo che la tesi di Trump “farebbe collassare il nostro sistema della separazione dei poteri ponendo il presidente fuori dalla portata di tutte le tre branche” del sistema.

La difesa del tycoon ha annunciato appello, evocando il rischio di una spirale interminabile di inchieste politiche: “Se a un presidente non viene concessa l’immunità, ogni futuro presidente che lascerà l’incarico sarà immediatamente incriminato dal partito avversario”, ha avvisato l’avvocato Steven Cheung. Un monito che nei commenti di Trump sul suo social Truth è già diventato una minaccia non solo contro Biden ma anche contro Clinton, Bush e Obama.

Il tycoon ha tempo sino al 12 febbraio per impugnare la sentenza, prima davanti a tutta la corte d’appello e poi alla Corte suprema, dove può contare su una maggioranza di giudici conservatori (6 a 3): l’obiettivo minimo è ritardare l’inizio del dibattimento che era stato fissato per il 4 marzo ma che è già stato aggiornato a data da destinarsi proprio per la pendenza del nodo immunità.

Giovedì intanto i nove saggi esamineranno anche il ricorso dell’ex presidente contro l’esclusione dalla candidatura in Colorado in base al 14/mo emendamento, che vieta le cariche pubbliche a funzionari coinvolti in insurrezioni o rivolte contro la costituzione su cui hanno giurato: la decisione sulla sua eleggibilità farà da precedente anche per tutte le altre cause pendenti in vari Stati.

 

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