Vittoria di Pirro della May, conservatori primo partito ma perdono maggioranza

I conservatori non hanno la maggioranza necessaria a governare la Gran Bretagna. Secondo la Bbc, iI seggi assegnati finora sono 636 su 650. Di questi 310 vanno ai …

I conservatori non hanno la maggioranza necessaria a governare la Gran Bretagna. Secondo la Bbc, iI seggi assegnati finora sono 636 su 650. Di questi 310 vanno ai Tory, 258 al Labour, 34 allo Scottish Nattional Party, 12 ai Liberaldemocratici, 10 al Democratic Unionist party, 7 al Sinn Fein, Plaid Cymru se ne aggiudica 3 e il Green Party 1. Altri: 1

Scrutinio al rush finale in Gran Bretagna. Quando mancano una manciata di seggi per concludere lo spoglio, si va delineando una situazione molto difficile per l’attuale premier conservatore Theresa May, che sperava di aumentare la propria forza in queste elezioni e che invece ha preso terreno. E ora ai conservatori servirà un alleato alla Camera dei Comuni: non hanno più la maggioranza dei seggi. Jeremy Corbyn, leader dei laburisti, vero vincitore morale di questa tornata elettorale, chiede un passo indietro alla May, che replica: “Il Paese ha bisogno di stabilità”.

Scommessa finita malissimo

Gli inglesi, si sa, amano le scommesse. Quella di Theresa May sembra dunque finita malissimo. Ha peccato di “hybris”, dice Paul Nuttal, leader degli euroscettici dell’Ukip. La premier aveva convocato le elezioni anticipate sperando di accrescere i propri consensi e avere così un mandato più solido per le trattative sulla Brexit. Invece, secondo gli exit poll, avrebbe perso la maggioranza parlamentare e lascerebbe così il Paese in preda a un rebus politico di difficilissima soluzione, mentre la sterlina arretra sui mercati finanziari. Ora c’è naturalmente grande attesa per l’apertura dei mercati in Europa.

Si rischia un “Parlamento appeso”

Se il risultato venisse confermato, ai ‘Tories’ mancherebbero dunque 16 seggi per raggiungere quota 326 su 650 deputati, la soglia della maggioranza assoluta ai Comuni. Parlamento che, come si dice in gergo, sarebbe ora “appeso” (“Hung”) ossia senza alcun partito che ha la maggioranza, per cui si dovrà tornare, come nel quinquennio 2010-2015, ad un governo di coalizione con una difficilissima alchimia. Con i numeri attuali May  avrebbe la maggioranza solo accordandosi con i liberaldemocratici, che tuttavia sulla Brexit avevano sempre avuto una possizione molto diversa dai Tory. Se questo dato venisse confermato (ma ormai ci siamo, questione di minuti), la May ha perso le elezioni, pur avendole tecnicamente vinte, come lei stessa aveva predetto in questo tweet di qualche giorno fa.

I liberaldemocratici: “Nessuna coalizione”

I liberaldemocratici hanno deciso di non ripetere l’esperienza del governo di coalizione, inaugurata nel 2010, quando, sotto la guida di Nick Clegg portarono la loro – allora consistente (57 seggi) – pattuglia di deputati a sostegno del governo di David Cameron. L’ufficio stampa del nuovo leader del partito, Tim Farron, conferma di “aver ricevuto un sacco di telefonate ma solo per essere chiari: diciamo no a qualsiasi coalizione. Nessun accordo”. Difficile per il partito più europeista del Paese allearsi con May, che aveva sostenuto, seppure in maniera tiepida, il ‘Leave’.

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Il partito conservatore della premier britannica Theresa May è primo in base allo spoglio parziale del voto, ma ha perso la maggioranza dei seggi in Parlamento: un dato che apre una fase di grande incertezza e solleva pesanti interrogativi su chi guiderà il Paese nei negoziati sulla Brexit e con quale mandato. La sterlina ha perso terreno nel timore che la leader conservatrice non riesca a formare un governo e sia costretta alle dimissioni, al termine di una campagna turbolenta, funestata da due attacchi terroristici.

Dopo la sua rielezione nel collegio di Maidenhead, popolato di pendolari, May ha detto che la Gran Bretagna “necessita un periodo di stabilità” mentre si prepara al complesso processo di uscita dell’Unione europea. La premier ha aggiunto che pur se il risultato definitivo non è ancora noto, il suo partito sembra aver vinto la maggioranza dei seggi ed “è il nostro compito garantire un periodo di stabilità”.

Ma il leader dell’opposizione di sinistra Jeremy Corbyn, il cui partito laburista partiva con uno svantaggio di 20 punti percentuali, ha invitato May a dimettersi, dicendo che “ha perso voti, perso sostegno e perso fiducia”.

Secondo la proiezione sui due terzi circa dei collegi scrutinati i Tories avrebbero 318 seggi, perdendone 12 rispetto al parlamento uscente, e ottenendone meno dei 326 che rappresentano la maggioranza alla Camera dei Comuni. I laburisti salirebbero a 262 seggi, in crescita di 30, concretizzando la possibilità di un “hung parliament”, un parlamento senza maggioranza, altra sorpresa della politica britannica dopo il referendum di giugno 2016 sulla Brexit.

May, 60enne figlia di un vicario, ora deve rispondere alle scomode domande sulla sua decisione di andare al voto con tre anni d’anticipo mettendo in pericolo la piccola ma solida maggioranza di 17 seggi del suo partito. La sterlina ha perso il due per cento sul dollaro mentre gli investitori si chiedono chi avrà il controllo della Brexit ora. Le prime pagine dei giornali rispecchiano il dramma: “La Gran Bretagna sul filo del rasoio” , “Mayhem”, un gioco di parole tra il cognome della premier e la parola che in inglese significa caos, e “Appesi a un filo”.

In una nottata che rischia di ridisegnare, ancora una volta, lo scenario politico britannico, gli euroscettici dell’UK Independence Party (UKIP), che due anni fa avevano il 12,5% e hanno guidato la campagna referendaria per la Brexit, rischiano di sparire. Gli europeisti liberaldemocratici, che hanno fatto campagna per un secondo referendum sulla Ue, vedrebbero un aumento dei loro seggi a 13 da nove, ma l’ex leader Nick Clegg ha perso il seggio. Stessa sorte è toccata all’ex leader carismatico dello Scottish national Party, Alex Salmond: il suo partito nazionalista scozzese, oggi guidato dalla sua delfina Nicola Sturgeon, ha preso una batosta, perdendo 22 dei suoi 56 seggi a Westminster.

May, arrivata a Downing Street dopo il referendum sulla Brexit di giugno 2016, ha dato il via al processo formale di uscita dalla Ue il 29 marzo, promettendo di portare Londra fuori dal mercato unico e di tagliare l’immigrazione. Cercando di capitalizzare su una popolarità alle stelle, ha indetto le elezioni politiche anticipate qualche settimana dopo, chiedendo agli elettori un mandato forte per i negoziati sulla Brexit, che dovrebbero iniziare il 19 giugno.

Bruxelles sperava in un esito elettorale che potesse ammorbidire la linea del governo di Londra, ma la prospettiva di un parlamento senza maggioranza spaventa anche l’Europa. Dopo una campagna tiepida contro la Brexit, il Labour ha accettato l’uscita dalla Ue ma non vuole la “hard Brexit” propugnata da May e intende mantenere i legami economici con il Continente. Un mese fa il partito di Corbyn sembrava destinato alla disfatta, lacerato da divisioni interne e da rivolte ricorrenti contro il leader socialista considerato inadeguato. Ma un clamoroso errore di May in campagna (l’annuncio, poi ritirato, di una riforma delle cure per gli anziani che li penalizzava), una forte campagna porta a porta di Corbyn e gli attacchi terroristici, che hanno messo al centro del dibattito i sei anni di May da ministra degli Interni, hanno cambiato le carte in tavola.

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