Valute, il protezionismo autarchico di Trump affossa il dollaro. La Cina ringrazia

L’euro consolida i guadagni, mentre il dollaro è calato ai minimi da un mese e mezzo a questa parte, zavorrato secondo alcuni analisti da continui propositi di protezionismo …

L’euro consolida i guadagni, mentre il dollaro è calato ai minimi da un mese e mezzo a questa parte, zavorrato secondo alcuni analisti da continui propositi di protezionismo commerciale lanciato dal neo president Donald Trump dal suo insediamento.

L’euro si attesta a 1,0743 dollari, sui massimi dall’8 dicembre scorso.

Ieri Trump è tornato alla carica paventando una pesante tassa sulle importazioni (a carico dei beni prodotti da imprese che chiudono impianti negli Usa per delocalizzare la produzione all’estero.

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Il segretario al Tesoro dell’amministrazione di Donald Trump avverte il mondo contro un “dollaro eccessivamente forte”.

Steven Mnuchin, ex di Goldman Sachs nominato da Trump segretario al Tesoro degli Stati Uniti, ritiene che un dollaro troppo alto può avere un impatto negativo nel breve termine sull’economia statunitense.

In una dichiarazioni scritta alla Commissione finanza del Senato, Mnuchin annuncia che, se confermato, si occuperà in modo specifico della «questione della manipolazione della valuta cinese».

Oltre all’allarme lanciato contro l’eccessiva forza del biglietto verde, Mnuchin ha anche accusato il FMI (Fondo Monetario Internazionale) di non fare abbastanza per combattere la manipolazione sulle valute.

Commercio: Trump esclude Usa da Tpp, Australia vuol sostituirli con Cina

Donald Trump ha firmato ieri l’atto di ritiro degli Stati uniti dal Partenariato trans-Pacifico (Tpp), l’accordo di libero scambio promosso dal predecessore Barack Obama che coinvolge dodici Paesi sulle due sponde dell’Oceano. E, in risposta, l’Australia – un alleato storico di Washington – ha lanciato un tentativo per sostituire di fatto gli Usa nell’accordo con la Cina.

Trump aveva annunciato che avrebbe mandato in soffitta il progetto lungamente perorato da Obama, il quale era riuscito a convincere molti Paesi della regione, tra i quali il Giappone e il Vietnam. L’accordo prevede la più grande area di libero scambio del mondo, che ingloberebbe (o, a questo punto, avrebbe inglobato) il 40 per cento dell’economia mondiale.

Il primo ministro australiano Malcolm Turnbull ha dichiarato che il suo governo ha “discussioni attive” con altri Paesi firmatari del Tpp – come Giappone, Nuovaelanda e Singapore – per trovare gli strumenti per salvarlo. Ieri il primo ministro nipponico Shinzo Abe aveva espresso la volontà di incontrare Trump per cercare di rilanciare il Tpp, ma queste dichiarazioni alla Dieta (il parlamento giapponese) erano state rilasciate prima della firma del nuovo presidente americano.

Turnbull, dal canto suo, ha detto che è possibile che “la politica americana cambi con il tempo su questo tema”, ricordando che Rex Tillerson, il segretario di stato nominato, era favorevole al Tpp come altri membri repubblicani. “C’è – ha aggiunto – anche la possibilità che il Tpp vada avanti senza gli Stati uniti”. In questo senso, però, Washington andrebbe sostituita e, ha chiarito il capo del governo di Canberra, “certamente c’è la possibilità che la Cina si unisca al Tpp”. (segue)

Il Tpp è stato firmato da Usa, Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Però, Singapore e Vietnam, ma non è entrato in vigore.

Il ministro del Commercio australiano Steven Ciobo ha dichiarato che il suo Paese, il Canada, il Messico e altri hanno studiato l’eventualità di un “Tpp 12 meno 1” recentemente a Davos. “Ci sarebbero – ha detto alla rete televisiva Abc – prospettive per la Cina, se saremo capaci di riformularlo in Tpp 12 meno 1 per dei Paesi come l’Indonesia o la Cina, o per altri Paesi che vogliano parteciparvi”.

Dal canto suo, il primo ministro neozelandese Bill English ha rilevato che Pechino “non ha tardato a vedere un’occasione” nell’invitarsi nel Tpp. Il capo del governo di Wellington ha espresso una volontà “di fare uno sforzo per vedere cosa possa diventare il Tpp, piuttosto che abbandonarlo e attendere una telefonata (di Washington) rispetto a un eventuale accordo bilaterale”.

Trump ha espresso la volontà di negoziare accordi bilaterali più favorevoli per Washington con i partner. Ma English si è detto scettico su un tale accordo, tenuto conto dell’insistenza di Trump a volerne dettare i termini. (Fonte Afp)

 

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1 commento

  1.   

    ma siete sicuri che la cina apprezzi più di tutto un dollaro debole?  o mi son perso qualche lezione ad economia.