Giusto lasciare l’Italia? Certamente yes. Ma ecco lo stato dei rapporti tra Elkann e Marchionne

«Nessuno è indispensabile», sibilò Sergio Marchionne “licenziando” Luca Cordero Montezemolo dalla Ferrari. E «nessuno è indispensabile», ripetono in questi giorni a Torino, riferendosi al manager italo-canadese che ha …

«Nessuno è indispensabile», sibilò Sergio Marchionne “licenziando” Luca Cordero Montezemolo dalla Ferrari. E «nessuno è indispensabile», ripetono in questi giorni a Torino, riferendosi al manager italo-canadese che ha trasformato la Fiat (inglobando Chrysler) in una multinazionale. E a costi davvero risicati per il suo azionista.

Ma nel capitalismo italiano si dimenticano presto i soldi fatti guadagnare, a differenza di quelli che si stanno perdendo. E poi, come ricordava sempre Giulio Andreotti, la gratitudine è il sentimento della vigilia.

MARCHIONNE ELKANN 3

In quest’ottica, mentre la famiglia rinuncia alla Stampa e tratta con De Benedetti, spaventa di meno il 2018, quando l’attuale ceo di Fca lascerà l’azienda. Un tempo gli Agnelli vedevano quella scadenza come una tragedia. Adesso, anche se un erede non c’è, quasi più come una liberazione. E comunque la fine di un ciclo. Valletta, Romiti, fino a Giuseppe Morchio, la dinastia di Villar Perosa non è nuova a convivenze che da panacea a un certo punto si trasformano in un peso, con manager che hanno sostituito o hanno provato a sostituirsi all’azionista. Tutti grandi amori che si sono trasformati in fragorosi divorzi. Qualcosa del genere sarebbe in atto anche adesso sull’asse Torino–Detroit.

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Si moltiplicano infatti le voci sui dissidi tra l’azionista e il ceo. E già questa è una notizia, se si pensa che, proprio su spinta di Marchionne, la famiglia ha scaricato un manager a lei tradizionalmente vicinissimo come Montezemolo. O che nel 2011 “impose” allo stesso Marchionne di prendere anche la presidenza di Fiat Industrial, dopo il primo spin off da Fiat che ha portato camion e macchine agricole di Cnh sotto l’ombrello di Exor.

Dalla Ferrari, per esempio, rimbalzano voci di manager indispettiti, perché Marchionne bypassa l’attuale ad Amedeo Felisa, al quale tuttavia è stata riconfermata la fiducia, guidando l’azienda da Auburn Hills per telefono, pur di non avere a che fare con i sopravvissuti della precedente gestione. Contemporaneamente, i manager targati Exor avrebbero sempre meno spazio a Detroit come a Torino.

 I numeri della discordia: si incrina il rapporto Marchionne-Elkann

Gli Elkann avrebbero poi chiesto al loro amministratore delegato di superare il muro contro muro in atto con Confindustria. E l’avrebbero fatto poche ore prima che il manager, presenziando a Torino a un dibattito tra i quattro pretendenti alla successione di Squinzi, ribadisse la volontà di non rientrare in viale dell’Astronomia. Per la cronaca, appoggerebbe (anche se tiepidamente) Marco Bonometti. Cioè il falco che ha il sostegno dei duri di Federmeccanica.

marchionne grande stevens john elkann 

 

 

 

 

Ma c’è dell’altro. Qualcuno racconta anche che i nipoti dell’Avvocato si sarebbero attesi da Marchionne una maggiore attenzione a PartnerRe, il colosso delle riassicurazioni il cui acquisto nell’estate del 2015 fu largamente caldeggiato proprio dal manager italo-canadese. La società, pagata 6 miliardi da Exor, si sarebbe rivelata un investimento meno conveniente per la famiglia: nell’ultimo anno l’utile netto è passato da 998,24 milioni a 47,6 milioni di dollari, soltanto nel quarto trimestre gli investimenti avrebbero segnato una perdita di 22,8 milioni di dollari.

sergio marchionne john elkann 

Presentando a Ginevra il Levante, il primo Suv col marchio Maserati, Marchionne ha mostrato i muscoli: ha smentito trattative con Psa (ipotesi storicamente gradita agli Agnelli); ha garantito il rispetto dei target per il 2018 dell’ultimo piano (il nono) e il pareggio di bilancio in Ferrari, reso noto nel 2014; ha sfidato il mercato (che non si fida più come un tempo) annunciando un nuovo bond emesso proprio dal Cavallino, nonostante l’alto indebitamento dell’azienda; ha fatto intendere che come partner preferirebbe Volkswagen, Renault o Nissan. E che in ogni caso l’ultima parola sulle strategie è sua. Nonostante il plateale corteggiamento di General Motors si sia risolto con un nulla di fatto. E con in più lo sgarbo del suo ceo Mary Barra, che si è sempre rifiutata di incontrare Marchionne.

FOTO MARCHIONNE ELKANN

Ma accanto a lui, sempre al Salone di Ginevra, gli addetti ai lavori hanno notato che a presentare il Suv non c’era soltanto il presidente John Elkann, ma anche il fratello Lapo.

Gli esegeti del Lingotto leggono nella presenza dell’estroverso nipote dell’Avvocato, messo fuori dall’azienda proprio dal manager, un segnale alla comunità finanziaria: la famiglia è più presente di quanto si possa pensare nelle vicende di Fca. Questo il gossip. Quel che è certo è che sono altri numeri a incrinare il rapporto, un tempo solidissimo, tra Marchionne e John Elkann. Il quale, come diceva Gianluigi Gabetti, ha uno stile di vita opposto a quello del nonno, ma ha la stessa filosofia sul lavoro: gli utili prima di tutto.

ASSEMBLEA GENERALI DI BANCA DITALIA SERGIO MARCHIONNE E JOHN ELKANN FOTO LA PRESSE

 

 

 

Ed Elkann ha il piglio più del finanziere che del capitano d’industria, guarda alla diversificazione del portafogli degli investimenti, non a quella dei modelli in listino.

Il flop in Borsa: dimezzato il valore del titolo Ferrari

Innanzitutto, gli eredi dell’Avvocato sarebbero preoccupati dell’andamento del titolo Fiat. Di poco sopra i 6 euro, lontano dal target price medio ipotizzato dagli analisti (il consensus è intorno agli 8 euro, mentre raggiunge il picco degli 11,2 nei report di Goldman Sachs). Ma in caso di fusione o acquisizione (il settore auto è prossimo a un consolidamento) Exor non perderebbe soltanto il controllo, ma vedrebbe diluito oltre ogni scenario il valore della sua quota. Attualmente quel 29,7% è pari comunque a circa 4 miliardi.

Per la cronaca, la crisi borsistica ha colpito il portafogli anche di Marchionne: tra azioni e stock option avrebbe perso 50 milioni di dollari dall’inizio dell’anno. Ma agli Elkann piacerebbe ancora meno quello sta succedendo in Ferrari: la famiglia, che è riuscita a portarla sotto Exor, non sarebbe soddisfatta dell’esito dell’Ipo. Dallo sbarco a New York il valore del titolo è stato dimezzato, mentre l’azienda si è ritrovata con 1,9 miliardi di debiti, ereditati da Fca dopo la scissione.

Gli Agnelli imputerebbero proprio al loro capoazienda questo scarso appeal verso il mercato. A maggior ragione dopo il gran rifiuto di Barra, ferma nel respingere le offerte di fusione col colosso di Detroit. E gli investitori, finora generosi con l’ad di Fca, dimostrano di credere di meno in Marchionne.

Il manager ha ammesso che il suo gruppo, con 2,7 milioni di auto immatricolate, non è profittevole come i diretti concorrenti (Volkswagen quota 120 euro nonostante il Dieselgate). È troppo piccolo. Il mercato, però, si è aspetta di più in termini di debito, stigmatizza i margini molto bassi, teme il crollo delle vendite di auto in America (dove Fca vende l’80%), sa che le crisi degli emergenti penalizzerà Maserati, non comprende i ritardi sul rilancio di Alfa. E soprattutto attende un partner dopo che il manager italo-canadese aveva pubblicamente parlato di fusione con Gm. A ben guardare Marchionne non ha tutti i torti quando ripete alle cassandre che «Fiat confermerà i suoi target nel 2018 anche senza un partner».

Guglielmo Marco Opipari, che per Icipbi segue la ricerca sull’automotive, nota che «gli ultimi dati del Pil americano smentiscono una nuova crisi. Cosa importante per Fiat Chrysler, che qui ha realizzato 4,5 miliardi dei 5,3 miliardi di utile operativo. Senza contare che Oltreoceano vanno bene Suv e crossover, dove Fca è forte con il marchio Jeep. Soltanto nell’area Nafta l’Ebit potrebbe arrivare a 5 miliardi di euro». Detto questo, la svolta arriverà soltanto con un partner, che in ogni caso fagociterà Fiat Chrysler. E non sarà Peugeot. Il cui presidente, Carlos Tavares, sarebbe anche interessato a sedersi attorno a un tavolo con i torinesi, leggi Elkann. Ma non vuole assolutamente trattare con Marchionne.

In questo momento, nel mercato dell’auto, tutti parlano con tutti. Ma, a differenza dei suoi azionisti, Marchionne sa bene che gli equilibri del settore stanno per essere rivoluzionati. In un rapporto di Alix partner, si legge che il consolidamento dell’auto avverrà attraverso maxi matrimoni tra costruttori, fornitori di tecnologia e colossi dell’It. Cioè Apple e Google, gli unici che hanno i soldi sufficienti per finanziare gli investimenti necessari per convertire le auto in veicoli meno inquinanti, come impongono le nuove regolamentazioni.

E in quest’ottica ci sono i 2 miliardi di aiuti pubblici messi in campo dalla Casa Bianca, che paradossalmente fatica a ottenere anche un’azienda come Toyota, che ha puntato sull’ibrido e non sull’elettrico.

Dagli Stati Uniti rimbalzano due notizie. Il primo rumor vuole Fca interessata a Mazda, perché l’azienda giapponese ha ideato un nuovo sistema di controllo per i Suv, il segmento dove Fca è più competitiva. L’altra indiscrezione vuole che Marchionne abbia rafforzato le pressioni su Apple per diventare il braccio automobilistico di Cupertino. «Se hanno tanta fretta di produrre una macchina, consiglierei loro di sdraiarsi e aspettare fino a quando la sensazione passa. Sarebbe meglio associarsi con un costruttore di auto che si occupasse della produzione industriale», ha mandato a dire ai vertici del gruppo attraverso la Reuters. Ma sono tutte trattative che hanno bisogno di tempo, mentre il 2018 – anno nel quale il manager vuole lasciare – è dietro l’angolo. In ogni caso troppo tempo per gli Agnelli, che hanno tanti progetti per il futuro. Che però non comprendono l’auto. E neanche i giornali italiani.

di Francesco Pacifico

Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da www.lettera43.it

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