Un paese a sua immagine

Il momento del trapasso fatalmente tende a purificarne e a riscattarne la biografia. Scompaiono le zone d’ombra, gli abusi di potere, i conflitti di interessi, le pagine più imbarazzanti. Berlusconi è riuscito a trasformare l'Italia, operando una mutazione antropologica attraverso il monopolio televisivo privato, i giornali, l’editoria.

di Norma Rangeri

Quando muore una figura pubblica, in questo caso un uomo politico, specialmente del calibro di Silvio Berlusconi, il momento del trapasso fatalmente tende a purificarne e a riscattarne la biografia. Scompaiono le zone d’ombra, gli abusi di potere, i conflitti di interessi, le pagine più imbarazzanti. Ma pur immaginando che nel momento del pubblico cordoglio, Berlusconi sarebbe stato felice di ricevere solo lodi e apprezzamenti, noi non vogliamo fargli il torto di associarci al rito ipocrita dell’encomio nazionale. Specialmente di fronte all’eccesso di una Camera dei deputati chiusa per due giorni, di un Pd che rinvia la sua direzione, delle bandiere a mezz’asta e della proclamazione del lutto nazionale.

Naturalmente a Cesare va dato quel che è di Cesare. Diceva bene ieri la presidente della Commissione europea Von der Leyen, “Berlusconi ha plasmato il suo paese”, perché è ben vero che nel suo lungo regno, l’imprenditore edile milanese è riuscito a trasformare la Repubblica in un regimetto a sua immagine e somiglianza, operando una mutazione antropologica che aveva a lungo coltivato attraverso il monopolio televisivo privato, i giornali, l’editoria.

È morto Silvio Berlusconi

L’occasione per forgiare l’ideologia dello spettacolo, del mercato, dell’impresa e tramutarla in egemonia culturale e da egemonia culturale in primato politico gliela offrirà poi la storia dei primi anni ’90, con il tonfo elettorale del pentapartito ai tempi di Tangentopoli, cioè con lo sfaldamento del sistema politico nato nel Dopoguerra. In quel vuoto, in quel paese orfano del baricentro democristiano si infila il tycoon miliardario con tutta la forza della sua strabiliante ricchezza, unita allo straordinario potere delle televisioni e della carta stampata, allora molto più influenti di oggi.

Prima ancora di avvilire la libertà di stampa con le leggi bavaglio, i tagli all’editoria, la legge Gasparri, il sistema berlusconiano della comunicazione toglie dignità alle parole della politica, imponendo l’ideologia dell’antipolitica, così battezzando il populismo all’italiana, che poi farà strada nel mondo.

Democrazia, giustizia e libertà nella neolingua si traducono con potere, arbitrio e individualismo, cambia il senso del discorso corrente, la nuova destra si allontana da un piano razionale e informativo, per identificarsi sempre di più, ieri come oggi, con un livello performativo, in cui non conta quel che si dice ma come lo si dice, la performance. E’ così che la rappresentazione prende il posto della rappresentanza, il cittadino diventa audience, il sesso privato diventa un peep-show nazionale. In quel momento disgraziato della storia patria il berlusconismo fa del nostro paese un caso di scuola mondiale.

A Berlusconi riesce quello che con tutte le sue forze oggi tenta di perseguire la giovane Meloni: imporre la sua retorica al paese. Sebbene molto sia stato costruito in quella direzione, e altri leader abbiano infilato quelle scarpe, da Renzi a Grillo, difficilmente la premier saprà eguagliare un maestro che non lascia eredi. Per cambiare, come a lui è riuscito, i connotati alla società, l’uomo di Arcore ha lavorato libero dall’armamentario post-fascista che ingombra oggi le stanze del potere, anzi quelle stanze spesso Berlusconi le ha organizzate mettendo in squadra le migliori intelligenze della sinistra mediatica degli anni ’80, e professori del calibro di Lucio Colletti. Utili a mietere consensi nella prima fase di Forza Italia, poi rottamati e sostituiti con figure alla Dell’Utri e alla Previti, ben più rappresentative delle radici del potere. E che solo l’opera della magistratura ha potuto scalzare dal palcoscenico della politica.

Oggi che su quel palcoscenico Berlusconi non c’è più, nemmeno formalmente come negli ultimi anni del declino, quel che resta di quella storia non è un bello spettacolo. Attorno al corpo dell’ex sovrano sono riuniti gli avidi appetiti o di politici di seconda fila, o di ex leader che vorrebbero dividersene le spoglie.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da il Manifesto, che ringraziamo

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