Pentagono scalda i motori per le guerre del dopo Obama

I militari Usa, ossessionati dal Grande Nemico, potrebbero far precipitare l’Europa in un conflitto non necessario con la Russia. Gli Stati Uniti stanno aggiornando i loro piani militari in …

I militari Usa, ossessionati dal Grande Nemico, potrebbero far precipitare l’Europa in un conflitto non necessario con la Russia.

Gli Stati Uniti stanno aggiornando i loro piani militari in caso di aggressione russa nel Baltico. Secondo Foreign Policy, la pianificazione comprenderebbe sia l’eventualità di una risposta americana nell’ambito della Nato sia di una reazione unilaterale.

Non c’è niente di strano che un comando militare pianifichi le operazioni di contingenza o che aggiorni costantemente quelle esistenti. Non è strano che un comando come il Pentagono pianifichi operazioni sul piano globale. È il suo mestiere. Sarebbe strano il contrario. E sarebbe estremamente innaturale che i comandi militari mantenessero fisse le pianificazioni adattando la realtà alla pianificazione esistente, anche se superata. Ma anche questo è già successo per cinquant’anni e, in un altro senso, è successo nei successivi venticinque.

Durante la guerra fredda si è pianificata una sola opzione –  lo scontro tra blocchi – lasciando inalterati i presupposti politici e le grandi strategie e modificando di poco le predisposizioni operative per far posto a nuovi strumenti e metodi. L’implosione del blocco orientale è giunta come una grande sorpresa, subito abilmente trasformata in una vittoria deliberata del blocco occidentale. Tralasciando di considerare che il blocco vincente non aveva nessuna idea e tantomeno un piano per gestire una situazione senza un avversario paritetico e simmetrico.

Nei cinque lustri successivi si sono inventate le formule operative più strampalate per fare la stessa guerra contro presumibili avversari anche immaginari, cercando disperatamente di far materializzare un nuovo Grande Nemico. Si è utilizzato il periodo per dare una giustificazione alle ridondanti capacità militari modificando la semantica del rischio. Dalla minaccia militare da parte di un avversario estinto si è passati alla percezione dei rischi posti da avversari altrettanto inesistenti; infine, quando anche questi sono apparsi evanescenti, si è passati alla pianificazione di operazioni tradizionali e asimmetriche sulla base di scenari impostati sui “fattori d’instabilità”.

Tutto diventava militarizzabile, dalla crisi economica alla rivolta in un mercato per una testa di cavolo (l’ortaggio). La grande strategia si è fermata e la grande pianificazione è stata abbandonata. Si sono avviate finte rivoluzioni e “piccole guerre” per aprire nuovi fronti. Ci si è concentrati sul terrorismo, che comunque nasceva dagli stessi conflitti.

L’apparente dinamismo della pianificazione copriva in realtà uno stallo concettuale nella costruzione di un assetto politico-strategico globale che includesse le nazioni e le aree geografiche emergenti. Il risultato dell’attivismo è stato il fallimento di tutte le avventure militari avviate in quel periodo: un fallimento totale della politica, un fallimento parziale della parte operativa e un fallimento punteggiato da qualche successo sul piano tattico.

Mentre i grandi attori erano costretti a ritirarsi dalla scena, si dava spazio ai comprimari e perfino alle comparse che, come nel caso dello Stato Islamico, sono diventate determinati nella gestione e nella diffusione della paura: la sola in grado di giustificare il mantenimento di grandi strutture di sicurezza pletoriche e già sclerotizzate.

Dal punto di vista della sicurezza il mondo di oggi è molto peggiore di quello di venticinque anni fa.

Non meraviglia, perciò, che sia necessario tornare a pensare al Grande Nemico, quello chepuò sollecitare grandi paure e quindi grandi spese. Non tanto e non solo per la pianificazione di guerra, ma per la preparazione infinita e costosa di una guerra che in realtà ci riporterebbe all’età della pietra. Il grande nemico – quasi il nemico perfetto – è stato individuato nella Cina, inducendola ad armarsi con un mix di esaltazione delle potenzialità (tutte da verificare) e di demonizzazione che in realtà ha gratificato i velleitari e gli ultranazionalisti.
Carta di Laura Canali

Contro la Cina nel 2012 è stata assunta la prima decisione di grande strategia dopo quella che portò gli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale: il perno strategico statunitense si è spostato dall’Atlantico al Pacifico. Si sono mobilitati tutti i paesi concorrenti e avversari della Cina in Estremo oriente e in Oceania. Alla pianificazione statunitense della Grande Battaglia aeronavale, la Cina ha risposto con palesi iniziative economiche e smorzati sussulti di pianificazione militare. Al riarmo giapponese e alle velleità nucleari di chi, in quel paese, non ricorda nemmeno la storia recente, si affiancano in Cina e negli stessi Stati Uniti le idee di scontro nucleare.

La seconda iniziativa politico-strategica di rilievo è l’accordo Stati Uniti-Iran sul nucleare che, di fatto, consacra Teheran a legittimo attore principale del teatro mediorientale. Al di là della dimensione puramente settoriale dell’intesa, è chiara l’intenzione del presidente Obama di garantire il fianco occidentale dello schieramento politico-militare che fa perno in Estremo Oriente. Ma se l’accordo con l’Iran apre prospettive di nuovi equilibri e possibili compromessi di risoluzione delle crisi irachene, siriane, libiche, libanesi e così via, non è detto che Teheran sia passata alla causa americana. Anzi, il paese ha debiti di riconoscenza e debiti veri nei confronti della Cina e della Russia difficili da dimenticare.


In tale contesto l’Europa appare sguarnita e quasi smilitarizzata. Potrebbe essere un grande risultato per un’organizzazione (la Ue) che ha ricevuto il Nobel per la pace, ma è una sorta di bestemmia per i pianificatori di guerra.


Non stupisce dunque che il Pentagono voglia resuscitare contro la Russia, altro Grande Nemico, la pianificazione militare. Di questo paese, strangolato dalle sanzioni e condotto per mano verso un nuovo riarmo militare, si erano perdute le tracce. Anzi si sperava di recuperarlo all’Europa anche attraverso la cooperazione militare. Allo stesso tempo ne venivano sottilmente intaccate la credibilità e la dignità spostando l’influenza militare della Nato e quella economica dell’Unione europea a ridosso dei suoi confini. Le intemperanze russe del 2008 con la Georgia e quelle di questi ultimi tempi con l’Ucraina non erano del tutto ingiustificate. E comunque anche in Russia l’approccio espansionista europeo e della Nato ha sollecitato nuovi e più accesi nazionalismi.

Non è neppure strano che si pianifichi un conflitto nel Baltico. Il Mediterraneo e il Medio Oriente sono affidati ai paesi che più di altri si prestano alle guerre per procura: Francia e Gran Bretagna per antica vocazione e l’Italia per antica soggezione. Il Baltico è il teatro più vicino al territorio russo e soprattutto i paesi dell’area – coccolati dagli americani che li vedono come la loro “nuova Europa” – vogliono fortemente un conflitto contro la Russia. Anche a rischio di compromettere la sopravvivenza dell’intera Europa.

Gli Stati Uniti subiscono l’influenza e i ricatti della nuova Europa, dal Baltico al Mar Nero, al pari della pianificazione militare americana in Estremo Oriente, pesantemente influenzata dalle velleità della Corea del Sud e del Giappone. Lo scenario di un’aggressione militare nei paesi baltici è oggettivamente possibile ma altamente improbabile. Ma se, come sta avvenendo, si considerano “aggressioni” anche gli attacchi di hacker o le dimostrazioni di piazza abilmente manipolate dall’esterno, e soprattutto dall’interno (Ucraina docet), la pianificazione di una guerra è giustificata. Il Pentagono sta modificando e manipolando i fattori essenziali del problema per pianificare una guerra europea che, anche se fosse probabile, sarebbe certamente evitabile.

Questo invece è strano. E pure pericoloso, per la stessa credibilità statunitense e per la nostra sicurezza. È strano e pericoloso che la pianificazione prosegua, pur sapendo che con l’attuale amministrazione ogni scenario del genere è inaccettabile.

Ma il tempo di Obama è agli sgoccioli e qualcuno al Pentagono si aspetta (e forse spera) che il cambio di amministrazione, che vinca un partito o l’altro, avalli e autorizzi la preparazione della guerra in Estremo Oriente e in Europa.

Una guerra che nessuno potrà vincere.

di FABIO MINI

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Limes

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