Borsa Cina: -30% in 3 settimane. Pechino vara piano anti-crollo

Dieci volte il prodotto interno lordo della Grecia. A tanto ammonta il patrimonio polverizzato dalle due principali Borse cinesi nelle ultime tre settimane, un valore di mercato pari …

Dieci volte il prodotto interno lordo della Grecia. A tanto ammonta il patrimonio polverizzato dalle due principali Borse cinesi nelle ultime tre settimane, un valore di mercato pari a 2.800 miliardi di dollari. Mentre il mondo è concentrato sulla crisi ellenica, in Oriente si sta consumando un’emergenza finanziaria anche più ampia. E’ quella delle Borse di Shanghai e Shenzhen, che dall’ultimo picco del 12 giugno hanno perso il 30%. Tre settimane per creare un effetto di panico che ha spinto i broker a creare un fondo, e il governo a sospendere le offerte pubbliche iniziali per frenare il crollo. Una crisi che si sta consumando nel silenzio imposto da Pechino, i cui timori di una diffusione del panico in altre parti della seconda potenza economica mondiale sono però sempre più evidenti.
Lo conferma la maratona di consultazioni di ieri tra funzionari di Consiglio di Stato, governo, People’s Bank of China (la banca centrale), autorità di regolamentazione e agenzie finanziarie, per discutere l’adozione di misure di emergenza. La prima delle quali è il divieto di procedere a nuove Ipo, con l’obiettivo di preservare la liquidità in un momento di volatilità del mercato. Una misura a cui la Cina era già ricorsa nel 2012, in coincidenza della transizione della leadership del Partito comunista. Come allora, dinanzi all’incertezza, si vuole impedire agli investitori di vendere azioni detenute in portafogli per puntare su quelle di nuova quotazione. La misura riguarda però una quantità di capitali ben maggiore di tre anni fa, visto che gli analisti hanno stimato a 645 miliardi di dollari i capitali che le Ipo già pianificate potrebbero attrarre.
Non è chiaro quanto tempo durerà il divieto, azioni simili in passato sono durate da 3 a 14 mesi. Nel frattempo 28 società cinesi hanno sospeso l’iter di quotazione sulle borse di Shanghai e Shenzhen, su cui avevano ottenuto già il via libera. Il blocco delle Ipo arriva dopo un’altra misura avviata dai principali broker cinesi, tra cui Citic Securities, che hanno costituito un fondo – operativo già da domani – da circa 19,3 miliardi di dollari (l’impegno è pari il 15% degli asset netti di ogni società) per investire nel mercato azionario e acquistare Etf sulle blue-chip. Una misura che fa seguito a precedenti tentativi falliti di frenare la fuga degli investitori.
Una settimana fa erano stati tagliati i tassi di interesse per la quarta volta da novembre, abbassandoli dello 0,25%, e ridotti i requisiti di capitale per alcune banche. Mentre mercoledì scorso si erano allentate le restrizione per operare in «leverage», ovvero indebitandosi, e ridotte le commissioni di trading. Due giorni fa è intervenuta la Consob cinese con un’indagine su una sospetta manipolazione di mercato per vendite allo scoperto.
I 21 broker del fondo hanno suggerito ai risparmiatori di non ridurre le posizioni azionarie sino a quando l’indice Shanghai Composite resterà sotto i 4.500 punti (venerdì ha chiuso a 3.686 punti). I 19,3 miliardi potrebbero però bastare solo per pochi giorni, costringendo a un intervento diretto del gigantesco fondo sovrano cinese. Il più lungo rally borsistico della storia della Cina – con Shanghai e Shenzhen che hanno guadagnato in un anno il 150% e il 190% – sta dunque trasformandosi in uno tsunami capace di travolgere gli oltre 90 milioni di cinesi che si sono affidati alla speculazione borsistica, anche grazie alle politiche di favore dell’ultimo grande regime comunista del Pianeta.
di Francesco Semprini
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da La Stampa 
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