Tra dieci anni i movimenti xenofobi saranno finiti. La forza della Giustificazione

Un po’ meno d’ansia. Nervi più saldi. Soprattutto, visione più lunga: non dobbiamo banalmente stabilire chi ha ragione, dobbiamo riscoprire la forza di ciò che è giusto, della …

Un po’ meno d’ansia. Nervi più saldi. Soprattutto, visione più lunga: non dobbiamo banalmente stabilire chi ha ragione, dobbiamo riscoprire la forza di ciò che è giusto, della Giustificazione. Martin Walser dice che, in fondo grazie a questa forza, tra una decina d’anni nessuno si ricorderà più della Alternative für Deutschland e dei movimenti illiberali che attraversano l’Europa e minacciano i governi. Sono anacronistici, non hanno futuro. Quanto a Donald Trump, vedremo il musical.
Naturalmente, la sua non è una previsione né di destra né di sinistra. Walser, 89 anni, considerato da molti il maggiore scrittore vivente di lingua tedesca, negli anni è stato definito comunista e poi nazionalista, ha suscitato polemiche sia con le battaglie contro la guerra del Vietnam sia con l’idea di Germania postbellica che doveva riunificarsi e non rimanere per sempre prigioniera del suo passato tremendo. In Italia ha da poco pubblicato un libro — Sulla giustificazione, una tentazione (Edizioni Ariele) — che afferma l’importanza di cercare il giusto, di giustificare. Non certo questione di destra o sinistra. Qualcosa che è più Teologia, da Agostino a san Paolo, che Filosofia — sostiene egli stesso — e che per secoli è stato oggetto di ricerca — di fede religiosa e di sforzo umano — e che è andato perso nel Novecento, nelle grandi battaglie ideologiche.
L’imponente intellettuale dalle sopracciglia lunghissime e la mente intatta — si lamenta degli anni, ma cita a memoria — vive per lo più sulla sponda tedesca del lago di Costanza, però ha anche una casa ai margini di Monaco. Ha dato questa intervista a «la Lettura» proprio nella calda sala di un ristorante bavarese immerso in una vegetazione di castagni.
Cosa pensa di Alternative für Deutschland, AfD, il partito anti-immigrati che guadagna consensi in Germania?
«Nessuno saprà, tra dieci anni, ciò che è stato. Non si deve nemmeno condannare: è un sintomo della malattia, perché al momento siamo in una crisi dei rifugiati che non ha una soluzione immediata. Di questo vive la AfD. Ma è impudentemente anacronistica. Per questo non esisterà nemmeno. Lo stesso vale per Pegida (l’altro movimento anti-immigrati tedesco, ndr ). All’estero li si osserva di più, ma si dovrebbe tenere in maggiore considerazione la situazione di casa, in Germania. I media vivono di questi movimenti e così ingigantiscono il sintomo».
Non è solo un problema tedesco.
«Quello che è successo in Austria è formidabile: un Verde presidente, anche se con solo il 51%. È una gran cosa. In Germania, il meglio di ciò che sta succedendo avviene nel Baden-Württemberg, con il ministro-presidente Kretschmann (anch’egli un Verde, ndr ), il politico più plausibile per saggezza, accanto alla signora Merkel. Si dice che, avendo scelto una musulmana come presidente del Parlamento del Land, provocherà una reazione e una spinta verso destra. In realtà è successo quello che accadde in America, quando si scelse un presidente nero. Dobbiamo ammettere che si fanno progressi in questo Paese: se in passato mi avesse chiesto della possibilità di una presidente musulmana al Parlamento di Stoccarda, avrei risposto “magari”. Naturalmente qualcosa del genere non è possibile in Baviera, un’altra grande nazione che però non è di mentalità politica lieta come il Baden-Württemberg».
Vuole dire che i partiti anti-immigrati porteranno a un governo tra i cristiano-democratici e i Verdi anche a livello nazionale?
«Dipende molto dalla signora Merkel. Con un verde come Kretschmann può farlo. Se tra i Verdi di Berlino ci fosse qualcuno come lui sarebbe meraviglioso, ma al momento non lo vedo».
Che cosa pensa di Trump?
«Lo guardo come guardo un musical».
È un pericolo per il mondo?
«Se è un problema per il mondo, allora io non sono il mondo. Io sono evento-dipendente. Nel momento in cui gli americani votassero per lui, non sarebbe più un problema. Questa è la mia fiducia nella realtà americana. Non vi è nessun altro Paese in cui la democrazia è praticata in modo così reale. Confido nel fatto che gli americani non lo votino, ma se lo sceglieranno vuole dire che sanno perché lo stanno facendo. Poi si capirà di più su di lui. Per come appare in televisione non lo voterei. Ma sarebbe interessante osservarlo una volta eletto. Non dobbiamo dire agli altri Paesi, di cui non conosciamo la realtà, come devono agire politicamente. Tra l’altro, in Europa non c’è alcun primo ministro che non accetterei come alleato».
Martin Walser, però, si annoia a parlare di politica e di affari correnti. Meglio: preferisce parlare d’altro, di qualcosa a cui pensa da molto tempo, già prima del discorso che pronunciò alla Harvard University il 9 novembre 2011 e che è diventato la traccia del libro sulla Giustificazione. Il curatore del testo in italiano, Francesco Coppellotti, sostiene che «Walser parte dall’osservare che per mille e più anni la Giustificazione è stata un bene tanto alto quanto difficile da raggiungere, mentre nel XX secolo questo supremo irraggiungibile scade nell’aver ragione. L’aver ragione, il vanto degli intellettuali».
Herr Walser, perché ha voluto scrivere sulla Giustificazione?
«Come la maggior parte dei miei coetanei di pensiero e come la maggior parte degli intellettuali — sociologi, filosofi, psicologi — mi ero addormentato sul concetto di “avere ragione”. Tutto ciò che fai come scrittore, come intellettuale si riduce nel “devo avere ragione”. Quanto primitivo e semplicistico è lo sforzo di volere avere ragione! È la cosa più ridicola che possa succedere. Ciò è entrato nel mio pensiero nel 1979».
Cos’è successo?
«Jürgen Habermas mi aveva invitato a scrivere qualcosa per un libro nel decimo anniversario della morte di Karl Jaspers. Ero l’unico uomo di lettere tra filosofi, sociologi e psicologi. Ho scritto un saggio dal titolo Stretta di mano con i fantasmi , nel quale sostenevo che la nostra famosa opinione pubblica, ritenuta fondamento della democrazia, è una struttura carente, molto artificiale. Chi scrive nei giornali di sinistra deve scrivere cose di sinistra perché chi scrive nei giornali di destra scrive cose di destra. L’opinione pubblica viene formata nell’unilateralità. Per essere giusti, invece, occorre scrivere anche ciò che contrasta con le proprie convinzioni. In modo che l’opinione pubblica possa considerare i pro e i contro di una posizione e decidere. Poi sono andato al compleanno di Habermas, a Starnberg. Mi apre la porta, mi saluta e dice: “Hai scritto un articolo orribile”. Sapevo che non è consuetudine scrivere qualcosa di indipendente. Non basta, sinistra e destra vogliono avere ragione. Ma per me volere avere ragione è sempre ridicolo. È il contrario della ricerca del giusto. Poi mi sono imbattuto negli scritti di Karl Barth».
Un teologo? Cosa le ha fatto scoprire?
«Lo avevo già letto, mi sembrava interessante per la sua capacità di negazione, contro l’addormentarsi nel positivo di chi vuole avere ragione. Così, quando ho preso in mano il suo libro sull’epistola di san Paolo ai Romani, ho capito che cosa mi mancava. Di così chiaro, fino a quel momento per me non c’era stato nulla, se non Nietzsche. In Barth ho trovato molto di ciò che avevo letto in Kierkegaard. In Kierkegaard c’è la frase “il credente è l’opposto del religioso”. Concetto che torna incessantemente anche in Karl Barth. E che si ritrova anche in Nietzsche. Così, ora ho il mio triumvirato. Le pagine di Barth sono state la mia esperienza di lettura più commovente da quando avevo letto Zarathustra . Devo dire che come credente sono cresciuto».
È cattolico?
«Mia madre era una cattolica medievale pura. La sua fede era perfetta e temeva che suo figlio avesse meno fede di lei. Ecco perché non ho ancora lasciato la Chiesa cattolica. Può sembrare buffo, ma non avrei mai potuto far sapere a mia madre che lasciavo la Chiesa cattolica».
Torniamo alla Giustificazione.
«Per scrivere questa apologia sulla Giustificazione ho dovuto leggere molto. E così si è aggiunto l’aiuto di Hölderlin sul linguaggio e sul pensiero. Nelle belle poesie di Hölderlin succede quello che succede con Karl Barth, Kierkegaard e Nietzsche. La radicalità di Karl Barth si basa sul fatto che domina e supera il positivo. Tutto ciò che appare immobile, già deciso, positivo è inganno, illusione. Questo mi ha affascinato. Da lì è arrivata anche la frase “la fede è un salto nel vuoto”: si può conoscere Dio solo come l’inconoscibile, alla Giustificazione è possibile arrivare solo da una mancanza di Giustificazione. Solo coloro che rimangono in movimento, per i quali un No è la sola speranza, possono sentirsi giustificati».
È questo che non piacque ad Habermas?
«Durante la mia gioventù, nella Repubblica federale si era capaci di intendere e di volere solo quando si era critici della società. Per questo Habermas era scontento del mio saggio, perché si allontanava da questa tradizione».
Aprendo le porte della Germania ai profughi, Angela Merkel ha cercato una Giustificazione?
«Non nel senso che abbiamo trattato finora. Ma come azione politica laica ha indubbiamente spinto i tedeschi ad accettare i rifugiati. Anche se nel suo stesso partito ci sono cupi reazionari che vogliono approfittare di una crisi. Per come si è sviluppata la Germania dopo la riunificazione e per come agisce oggi, innanzitutto con Angela Merkel, questo è il primo periodo della storia tedesca con il quale mi sento pienamente d’accordo. Il fatto che ci siano anche questi manifestanti tetri contro i profughi dimostra solo che la società non è mai un unicum , qualcosa di puro. La cosa bella, però, è che da noi non hanno alcuna chance. Ora ci sono questi due movimenti che ancora hanno un nome: tra dieci anni nessuno saprà più cosa ci fosse collegato a essi. Non è la prima volta, abbiamo sempre avuto proteste anacronistiche».
Quindi la Germania può salvare l’Europa?
«Ho la speranza che altre nazioni europee si comportino di più come la Germania. Quel che Frau Merkel è per la pratica politica, Karl Barth è per il pensiero. Non voglio vivere in un continente in cui non vi è alcuna possibilità di discutere la Giustificazione. È abbastanza grave che questa mancanza si veda nelle cattedre di Sociologia, di Filosofia, di Psicologia. Resta solo la Teologia, senza la quale saremmo probabilmente al livello della barbarie. La Teologia è l’unica disciplina che non ha permesso che la Giustificazione si estinguesse. Tutti gli altri dormono».

intervista con Martin Walser di Danilo Taino

Fonte: Corriere della Sera

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1 commento

  1.   

    Giustificare non vuol dire accettare. Posso giustificare molte cose che però non è augurabile che avvengano. Un’invasione può essere giustificata, ma non è augurabile per coloro che vengono invasi. Le radici cristiane di Martin Walser probabilmente lo portano ad avere una visione di pietistica solidarietà verso la moltitudine di disperati che attraversano i mari spinti da guerre o da semplice ricerca di opportunità migliori e tale visione rende invisibili tutti gli effetti negativi e senza soluzione che una tale invasione può generare. Pensare alla riunificazione delle due Germanie come parallelismo all’invasione migratoria attuale è come paragonare un criceto a un giaguaro e sostenere che entrambi sono ugualmente pericolosi. La stima di Walser per gli Stati Uniti da l’idea di quanto attendibile sia il suo pensiero.