Spy story coreana: morte le due assassine di Kim Jong-nam a Kuala Lumpur

Le due donne sospettate della morte per avvelenamento di Kim Jong-nam, il fratellastro maggiore del leader nordcoreano Kim Jong-un, sarebbero a loro volta decedute: lo riportano i media giapponesi, citando …

Le due donne sospettate della morte per avvelenamento di Kim Jong-nam, il fratellastro maggiore del leader nordcoreano Kim Jong-un, sarebbero a loro volta decedute: lo riportano i media giapponesi, citando fonti del governo di Tokyo secondo cui sarebbero in corso verifiche.

Kim, assassinato lunedì mattina, attendeva di imbarcarsi all’aeroporto di Kuala Lumpur, in Malaysia, su un aereo per Macao. Il governo di Seul ha confermato l’identità di Kim Jong-nam.

Nell’ambito delle indagini sull’omicidio, la polizia malese ha arrestato una “donna vietnamita” sospettata di essere coinvolta. Lo riporta l’Oriental Daily secondo cui la donna, tra i 20 e i 30 anni, è stata individuata grazie alle telecamere di sicurezza dell’aeroporto. La polizia, inoltre, è alla ricerca di altri quattro uomini e di un’altra donna.

Pechino: seguiamo gli sviluppi del caso – La Cina segue gli sviluppi del caso dell’avvelenamento di Kim Jong-nam, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang che, nella conferenza stampa quotidiana, non ha confermato i report dei media internazionali secondo cui Pechino aveva concesso protezione a lui o alla sua famiglia. “Stiamo seguendo gli sviluppi”, ha rilevato Geng, insistendo che il caso è oggetto d’indagine in Malaysia. In Cina la vicenda sta avendo ampia copertura dei media.

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Kim Jong-nam, il fratellastro più grande del leader nordcoreano Kim Jong-un, è stato ucciso lunedì mattina all’aeroporto di Kuala Lumpur, in Malaysia, in un caso di avvelenamento: questi i primi elementi della polizia malese, che in serata ha confermato il decesso e l’identità dell’illustre viaggiatore pronto a imbarcarsi su un volo per Macao.

Ulteriori dettagli sono stati diffusi dai media sudcoreani che, in base a fonti governative, hanno parlato di un’iniezione letale somministrata da due agenti donna che lo hanno avvicinato e colpito prima di volatilizzarsi (la polizia malese ha riferito invece di un misterioso spray chimico usato come arma letale). Kim si sarebbe accasciato e dopo l’immediato soccorso nella clinica dell’aeroporto, sarebbe morto durante il successivo trasferimento in ospedale. Un’azione da spy-story, a poche ore dall’ultimo test balistico di Pyongyang, che rimanda – è il sospetto principale – ad un piano accuratamente messo in atto (e questa volta portato a termine) dall’Ufficio generale di ricognizione, la famigerata intelligence di Pyongyang, sfruttando la disattenzione nella fase di passaggio della sorveglianza tra guardie del corpo e polizia. Kim Jong-nam, dopo la rottura dei rapporti con l’attuale leader nordcoreano Kim Jong-un, è stato bersaglio di diversi tentativi di omicidio, di cui uno nel 2011 sfumato grazie al conflitto a fuoco tra la sua security e gli agenti del Nord precipitatisi a Macao, davanti a casa sua.

A ottobre 2012, gli investigatori sudcoreani appurarono che un nordcoreano arrestato come spia aveva ammesso di essere stato coinvolto in un complotto per uccidere Kim in Cina in quello che avrebbe dovuto essere un incidente d’auto. L’assassinio di Kim, considerato dal 1994 al 2001 il delfino del ‘caro leader’ Kim Jong-il, è il secondo caso di morte violenta di un’alta personalità della famiglia Kim, al potere da 70 anni circa in Corea del Nord, dopo l’esecuzione nel dicembre 2013 di Jang Song-thaek, zio del leader attuale, di cui fu tutore e numero due del regime.

Anzi, le affinità che Kim Jong-nam aveva con Jang, a partire dagli ottimi rapporti con Pechino, avevano alimentato i sospetti e la diffidenza dell’attuale leader “sui possibili flirt a sue spese con la Cina”. Kin Jong-nam, 45 anni, è nato dalla relazione tra il ‘caro leader’ e Sung Hae-rim, attrice sudcoreana di nascita morta a Mosca: la sua caduta in disgrazia fu causata dal goffo tentativo di raggiungere il Giappone a maggio 2001 con un passaporto falso dominicano e intestato a Pang Xiong (che vuol dire “orso grasso” in cinese). Disse che era diretto con il figlio di 4 anni a Tokyo Disneyland, scatenando l’ira del padre.

L’episodio spostò i favori della successione verso Kim Jong-un, spingendo il fratellastro a optare per l’esilio e il rifugio dorato a Macao, dove curava dei fumosi investimenti: nell’ex colonia portoghese ebbe vita relativamente tranquilla, ha ricostruito dopo l’intelligence sudcoreana, grazie alla protezione del padre e ai legami vantati con i rampolli dell’aristocrazia rossa di Pechino. Alla morte del ‘caro leader’ nel dicembre 2011, si recò a Pyongyang in quella che è considerata una delle sue ultime visite in patria con tanto di incontro con il fratellastro, ma senza partecipare al funerale. Poi il pellegrinaggio in diversi Paesi del sudest asiatico (tra Singapore, Indonesia e Malaysia) per sfuggire alla vendetta di Kim Jong-un. In esilio, Kim è stato spesso intervistato dai media giapponesi esprimendo critiche sul regime controllato dalla famiglia, auspicando il varo di riforme e l’accantonamento della successione dinastica. Minacce alla stabilità della Corea del Nord che il leader ha voluto eliminare. (Ansa)

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