Privacy digitale, dopo Apple anche Microsoft porta in tribunale il governo Usa

Microsoft apre un nuovo fronte, dopo Apple, nella battaglia sulla privacy digitale tra le compagnie hi-tech americane e l’amministrazione di Barack Obama. La società ha infatti citato in …

Microsoft apre un nuovo fronte, dopo Apple, nella battaglia sulla privacy digitale tra le compagnie hi-tech americane e l’amministrazione di Barack Obama. La società ha infatti citato in giudizio il dipartimento della Giustizia statunitense, nella persona del ministro Loretta Lynch, contro il divieto di informare i propri clienti quando gli investigatori accedono alle loro e-mail.

Una mossa che rafforza la pressione delle società tecnologiche contro il governo, facendo seguito alla battaglia di Apple per non decriptare i suoi iPhone nelle indagini dell’Fbi. Nella sua causa, intentata davanti ad una forte federale di Seattle, Microsoft sostiene che l’amministrazione Obama viola la Costituzione impedendole di notificare a migliaia di clienti le richieste degli inquirenti di controllare la loro corrispondenza digitale. In particolare sono invocati il primo emendamento sulla libertà di parola e il quarto, che stabilisce il diritto per le persone e per le imprese di essere informate se il governo perquisisce o sequestra le loro proprietà.

“Le persone – si legge nel ricorso – non rinunciano ai loro diritti quando trasferiscono le loro informazioni private da un deposito fisico alla cloud”, la ‘nuvola informatica’ dove vengono immagazzinati i dati. Secondo Microsoft, il governo “ha sfruttato la transizione alla cloud come mezzo per espandere i suoi poteri di condurre investigazioni segrete”, usando una legge vecchia di 30 anni, la Electronic Communications Privacy act (Ecpa), ritenuta ormai obsoleta perché varata prima del boom commerciale di Internet. La compagnia denuncia di aver ricevuto negli ultimi 18 mesi 5.624 richieste di accesso ai propri clienti, di cui 2.576 accompagnate dal divieto di informarli delle ‘perquisizioni digitali’. La maggior parte di queste richieste riguarda individui, non società, e non pone termini all’ingiunzione di segretezza.

Le imprese tecnologiche sono sotto pressione per dimostrare che proteggono la privacy dei clienti, dopo la denuncia dell’ex talpa del Datagate Edward Snowden sui controlli di massa attuati dall’intelligence Usa. A lanciare per primo il guanto di sfida all’amministrazione Obama è stata la Apple, rifiutandosi di “sbloccare” l’iPhone di uno degli autori della strage di San Bernardino, per non creare un precedente pericoloso per la privacy dei propri clienti. Una battaglia legale che l’Fbi ha congelato ricorrendo ad hacker per ottenere lo stesso risultato. All’inizio Bill Gates prese le distanze da Apple, ma ora la sua Microsoft ha scelto di allinearsi agli altri big dell’ industria tecnologica. “Come noi siamo stati con Apple, ora ci aspettiamo che le altre tech company stiano con noi”, ha osservato il capo dell’ufficio legale di Microsoft, Brad Smith.

La società, in un procedimento separato, si è opposta anche alla richiesta di consegnare dati conservati in un server in Irlanda: il governo la ritiene legale, in base all’Ecpa, ma Microsoft sostiene che l’amministrazione debba ricorrere ad una procedura prevista da un trattato di assistenza legale tra Usa e Irlanda. Anche Twitter sta combattendo la sua battaglia contro il governo per poter rendere note le richieste di informazioni sui propri utenti.

Il fronte quindi si allarga ma il problema resta lo stesso: come trovare un equilibrio tra il diritto alla privacy e le esigenze della sicurezza nazionale e della lotta al terrorismo e al crimine. La palla passa al legislatore.

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