Lavori del futuro: addio occupabilità?

“Il Paese deve recuperare un gap culturale che rischia di creare un solco indivisibile con i Paesi del Nord Europa e gli Stati Uniti. I giovani italiani devono …

“Il Paese deve recuperare un gap culturale che rischia di creare un solco indivisibile con i Paesi del Nord Europa e gli Stati Uniti. I giovani italiani devono ripartire da qui, dalla (ri)scoperta del peso che creatività, curiosità e intraprendenza devono esercitare sul loro percorso di affrancamento individuale”.

Il lavoro come lo conosciamo non esiste più. Globalizzazione, tecnologie della comunicazione e dell’informazione hanno radicalmente trasformato l’ambiente in cui viviamo, operiamo e ci relazioniamo. Per competere e sopravvivere in questo contesto è necessario investire su professionalità nuove e ad alto contenuto di competenze anche tecnologiche.

Parallelamente muoiono alcune mansioni e ne nascono di nuove che richiedono professionalità diverse da quelle che i giovani maturano in un sistema scolastico, che fatica ad adeguarsi al cambiamento della società. In un contesto in cui il sapere è diffuso e accessibile grazie alle ICT, le nuove professioni richiedono individui che siano curiosi, creativi e intraprendenti.

Queste brevi riflessioni, tratte dal libro “Allenarsi per il Futuro“, che ho scritto insieme a Pietro Paganini, sono state condivise di recente anche da Michele Tiraboschi, Direttore del Centro Studi Internazionali e Comparati Marco Biagi dell’Università di Modena e Reggio Emilia e Coordinatore del comitato scientifico di Adapt.

Lunedì scorso, infatti, all’interno del convegno “Giovani e Futuro“, promosso a Milano dalla Bosch e nel quale Pietro Paganini è intervenuto per presentare il nostro libro, è stato proprio Tiraboschi a raccogliere alcuni dei suggerimenti contenuti nel nostro saggio e a dargli evidenza nella newsletter settimanale di Adapt.

L’occupabilità, osserva Tiraboschi, non è una formazione piegata alle esigenze contingenti del mercato del lavoro e neppure una formazione per un preciso mestiere. Difficile, del resto, che un giovane di quindici o vent’anni conosca la realtà dei mestieri dietro le singole etichette e, ancor di più, già sappia cosa vorrà fare da grande. Così inteso quello di occupabilità è un concetto vecchio e forse anche sbagliato per la nuova economia, anche perché, già ora e ancor più in futuro, si cambieranno almeno dai cinque ai dieci “lavori” nell’arco di una vita.

Lavori che non sono semplicemente posti e contratti, in una mobilità professionale statica e ordinata, ma, più in profondità, gli stessi mestieri, le specializzazioni e le relative competenze professionali necessarie per svolgerli.

Occupabilità, prosegue Tiraboschi, è un percorso di crescita e sviluppo integrale della persona che ci porta a essere padroni del nostro destino professionale in quanto attrezzati per le sfide lavorative e non solo che incontreremo nella vita anche perché non formati ottusamente su un singolo mestiere, che magari sarà già scomparso non appena ci affacceremo nel mercato del lavoro, ma piuttosto in quanto capaci di apprendere e risolvere i problemi che via via incontreremo forti di una consapevolezza di chi siamo e cosa vogliamo, delle nostre potenzialità e talenti così come dei nostri limiti e lacune.

Concetti simili a quelli espressi nel libro “Allenarsi per il futuro“, nel quale si insiste proprio perché parta dalla scuola una grande rivoluzione culturale che dia spazio alla curiosità e alla innovazione dello studente, per liberare le sue energie positive da impiegare poi nella scelta del suo percorso di studio e professionale, alla cui base concetti come team building e problem solving (che dovrebbero essere imparati a scuola) diventano essenziali per relazionarsi nei mondi del lavoro contemporaneo.

Che in Italia ci sia bisogno di autoimprenditorialità, del resto, non lo dicono solo le statistiche. Il Paese deve recuperare un gap culturale che rischia di creare un solco indivisibile con i Paesi del Nord Europa e gli Stati Uniti. Il self made man italiano deve ripartire da qui, dalla (ri)scoperta del peso che creatività, curiosità e intraprendenza devono esercitare sul suo percorso di affrancamento individuale.

Questa operazione, però, deve avvenire all’interno di cornici regolamentari chiare e corrette. Per questa ragione apprendiamo con favore che il Governo ha cominciato a ragionare seriamente sullo Statuto delle Partite Iva e dei Lavoratori Autonomi, come ricordava qualche giorno fa sul Corriere della Sera Dario De Vico.

di Stefano Cianciotta

Fonte: Competere

 

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1 commento

  1.   

    Curiosi, creativi, intraprendenti. Tre bellissime qualità che chi le deteneva sono stati, in molti, a lasciare questa povera Italia perchè massacrati da politiche becere.
    Una considerazione che mi lascia un po’ l’amaro in bocca.Tralasciando i difetti madornali della nostra scuola che non ha saputo vedere in tempo che c’era in corso una rivoluzione industriale e quindi prendere i dovuti provvedimenti, non tutti sono e saranno in grado di trasformarsi a causa di quel quid che rende gli uni più intelligenti e quindi in grado di seguire l’evolversi delle cose e gli altri. Gli altri : questo è il punto dolente.Prima c’erano i ” ricchi” che avevano bisogno di manovalanza ora non più. Le macchine, i robot li hanno quasi completamente sostituiti.
    C’è un articolo interessante in cui si parla non di persone con uno scarso QI, ma …
    http://blog.ilgiornale.it/trading/2016/01/31/trading-robot/