Italia precipita nella classifica competitività: terzultima in Europa, a livello terzomondo

Netto peggioramento dell’Italia nella graduatoria internazionale della competitività misurata dalla facilità delle imprese di operare nel Paese. Nella classifica stilata dalla World Bank nel rapporto “Doing Business” 2017, presentato …

Netto peggioramento dell’Italia nella graduatoria internazionale della competitività misurata dalla facilità delle imprese di operare nel Paese. Nella classifica stilata dalla World Bank nel rapporto “Doing Business” 2017, presentato oggi, l’Italia perde ben cinque posizioni rispetto allo scorso anno, collocandosi al 50° posto. Nella graduatoria l’Italia è superata da nazioni come la Moldova (che sale dalla cinquantaduesima alla quarantaquattresima posizione) e la Serbia (che l’anno scorso era cinquantanovesima e oggi è quarantasettesima).

Il nostro Paese è quindi terzultimo tra i membri della Ue come capacità di attrarre investimenti: peggio solo la Grecia (sessantunesima) e Malta (settantaseiesima). Lo studio si concentra in particolare sulle riforme adottate dai governi per rendere le loro economie più favorevoli alle imprese, sulla base di indicatori come i tempi della burocrazia, l’accesso al credito e all’energia, il sistema fiscale e la protezione dei diritti di proprietà, dall’accesso a credito ed energia ai tempi della burocrazia.

NUOVA ZELANDA E SINGAPORE I PAESI PIU’ ‘BUSINESS FRIENDLY’

La classifica è guidata dalla Nuova Zelanda. Wellington supera così Singapore, lo scorso anno sul primo gradino del podio. Pur avendo sceso o salito un gradino a seconda dei casi, i Paesi presenti nelle prime nove posizioni sono gli stessi dello scorso anno, con la Danimarca terza seguita da Hong Kong, Sud Corea, Norvegia, Regno Unito, Usa e Svezia. Al decimo posto spicca la sorpresa Macedonia, che ha scalzato la Finlandia dalla top ten. E in generale è tutta l’Europa dell’Est, grazie alla vigorosa azione riformatrice attuata dai governi dell’area, a stupire e a strappare punti a economie del G7 come il Canada, sceso dalla quattordicesima alla ventiduesima posizione.
Brillano in particolare i paesi baltici: l’Estonia sale dalla sedicesima alla dodicesima posizione, la Lituania scende di un posto ma rimane ventunesima e la Lettonia balza dalla ventiduesima alla quattordicesima posizione. Bene anche la Polonia, ventiquattresima. A fare meglio dell’Italia sono però anche Romania (trentaseiesima) e la Bulgaria (trentanovesima). Colpisce inoltre il trentasettesimo posto della Bielorussia, sulla carta una repubblica socialista, che sale sette gradini e precede la Russia, quarantesima (l’anno scorso era cinquantunesima). Minsk entra inoltre nella top ten delle nazioni che, sulla base delle riforme adottate, hanno registrato i miglioramenti maggiori insieme a Brunei, Kazakhstan (altra sorpresa, dal quarantunesimo al trentacinquesimo posto), Kenya, Indonesia, Serbia, Georgia, Pakistan, Emirati Arabi Uniti e Bahrain.
Tra le grandi economie dell’Eurozona, la Germania e la Francia perdono due posizioni ciascuna e scendono rispettivamente al diciassettesimo e al ventinovesimo posto, mentre la Spagna sale di un gradino al trentaduesimo posto. E’ invece stabile al trentaquattresimo posto il Giappone, superato in dinamismo da Taiwan (undicesima) e Malesia (ventitreesima) .

Il fondo della classifica è invece dominato dai paesi dell’Africa subsahariana che, nel complesso, si rivela nondimeno in miglioramento. Oltre un quarto delle riforme prese in esame dalla Banca Mondiale sono infatti avvenute proprio in tale area, dove continua a spiccare il Kenya, salito dalla posizione numero 108 alla numero 92. La maglia rosa del continente nero (senza considerare le Mauritius, alla cui trentaduesima posizione avrà in qualche modo contribuito la sua natura di paradiso fiscale) la indossa però il Ruanda, che avanza di otto posizioni al cinquantaseiesimo posto e supera economie del calibro della Turchia (sessantanovesima) e del Sud Africa (settantaquattresimo).

E’ infine assai evidente come a relegare numerosi Paesi nelle ultime posizioni siano soprattutto situazioni di estrema instabilità sociale e politica. Gli ultimi otto posti sono infatti occupati da nazioni devastate da guerre e rivolte ovvero Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centroafricana, Sud Sudan, Venezuela, Libia, Eritrea e Somalia, fanalino di coda al centonovantesimo posto, laddove la Siria, al quinto anno di guerra civile, riesce a guadagnare due posizioni, dalla numero 175 alla numero 173.

Il rapporto, sottolinea la Banca Mondiale, “dimostra che le migliori performance sono, in media, associate con livelli più bassi di diseguaglianza sociale e quindi a una ridotta povertà e a una maggiore prosperità condivisa”. “Regole semplici e facili da seguire sono un segno che il governo tratta i propri cittadini con rispetto, generando benefici economici diretti: più impresa, più opportunità per le donne, più aderenza allo Stato di diritto”, commenta il capo economista della Banca Mondiale, Paul Romer, avvertendo che “un esecutivo che non riesce a trattare i propri cittadini così perde la sua capacità di governare”. Un monito che, in tempi di crescente scollamento tra classi dirigenti ed elettorato, offrira’ numerosi spunti di riflessione. (AGI)

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