Il boom delle start-up del cibo 2.0 non convince gli americani

Sono sempre più numerose le aziende che negli Stati Uniti si dedicano alla produzione di cibo geneticamente modificato, ovvero che fabbricano prodotti alimentari in laboratorio. Ma ora alla Food and …

Sono sempre più numerose le aziende che negli Stati Uniti si dedicano alla produzione di cibo geneticamente modificato, ovvero che fabbricano prodotti alimentari in laboratorio. Ma ora alla Food and Drug Administration  (FDA) vogliono vederci chiaro. 

Un pugno di startup statunitensi sta lavorando per rivoluzionare il cibo. No, non solo e non tanto nella distribuzione ma entrando nel dna dei prodotti oppure con una progressiva opera di avvicinamento e mimetizzazione dei sapori. Con lunghi lavori di ricerca che, nelle loro intenzioni, porteranno a eliminare la differenza fra un uovo vero e un preparato d’origine vegetale ideato in laboratorio. O magari, come vorrebbe fare la Impossible Foods del 60enne biologo Patrick Brown, fra un hamburger reale da uno sintetizzato da un gruppo di ricercatori a partire dall’eme, un complesso chimico con un atomo di ferro presente nell’emoglobina ma ricavabile anche dalle radici dei legumi.

Fra quelle che hanno riscosso più attenzione negli ultimi tempi ci sono appunto Impossible Foods, Modern Meadow e Beyond Meat  –  pure queste impegnate nella neocarne  –  Unreal Candy, Bright Farms, Nu-teck Salt e Hampton Creek. Tutte, seguendo percorsi e ispirazioni diverse, stanno aprendo la strada verso il cibo sostenibile. Che, come detto, faccia a meno dei prodotti animali o riesca in qualche modo a servirci in tavola quella che crediamo una bistecca. Ma che bistecca, in termini concreti e di dispendio energetico e ambientale, non è. Peccato che non riusciremo ad accorgercene, dicono.

Una, in particolare, è tuttavia protagonista di un significativo e oscuro caso sollevato da una recente inchiesta di Business Insider. Si tratta della Hampton Creek fondata tre anni fa dal 35enne ex borsista Fulbright Joshua Tetrick. L’azienda produce neouova. O meglio, preparati che sostiene essere in tutto e per tutto simili a uova in polvere, prodotti a partire da proteine presenti nel pisello giallo canadese e in una varietà statunitense di sorgo. Questo è l’ingrediente alla base della sua Just Mayo, una maionese su cui la Food and drug administration statunitense ha appena acceso i riflettori per vederci chiaro. Il prodotto non può spacciarsi come tale  –  perché di uova vere, in quel miscuglio vegano, non ce ne sono  –  e la startup dovrà replicare proprio in questi giorni.

Ma non è questo il punto vero. Hampton Creek è ora sotto attacco  –  e con lei l’entusiasmo per questa nuova bolla sbocciata in Silicon Valley e non solo  –  per una serie di ragioni che ne mettono in discussione l’affidabilità scientifica e la trasparenza dal punto di vista industriale, fino a toccare le più elementari norme di igiene in fase di sperimentazione. Dall’inchiesta di Business Insider  –  basata sulle dichiarazioni di circa sei ex dipendenti del gruppo di base a San Francisco  –  sono infatti usciti diversi aspetti che danno da pensare. Primo: Just Mayo sarebbe in realtà frutto di un lavoro commissionato a un’altra società siliconiana, la Mattson. E forse anche altri ci hanno messo le mani. Secondo: di ricerca alimentare, nei laboratori di Hampton Creek, se ne fa davvero poca. Le uscite sui magazine e le interviste con i giornalisti sono state in questi mesi accompagnate da ingegnose messe in scena, per esempio con l’uso di azoto liquido sui banchi di sperimentazione  –  fra i quali, per inciso, si aggira indisturbato il cane del fondatore  –  per dare l’idea di un luogo da “scienziati pazzi” che stanno ribaltando i paradigmi dell’alimentare. Terzo: neanche il pezzo forte della società  –  il database nel quale sarebbero confluiti tutti i vegetali analizzati e sequenziati per sfruttarne le qualità in ottica di alternativa animale  –  sarebbe così ricco. Appena 400 le specie classificate contro le quattromila dichiarate nei mesi scorsi.

All’elenco delle presunte malefatte si aggiunge un affaire amoroso con una ex dipendente messo a malamente a tacere oltre alla fretta dannata nel mandare in commercio il prodotto nel corso della drammatica epidemia di aviaria. Quella che negli Stati Uniti ha sterminato nei mesi scorsi milioni di galline ovaiole facendo la fortuna proprio di soluzioni alternative come quella di Hampton Creek, subissate dagli ordini. Altri aspetti si muovono invece al limite della frode commerciale. Come quello che vorrebbe la catena di supermercati 7Eleven essersi convertita all’impiego di Just Mayo  –  non risulta da alcun annuncio ufficiale del celebre marchio se non, forse, per alcune preparazioni fresche  –  al coinvolgimento, venduto ai quattro venti, di un nome importante come Bill Gates. In realtà la fondazione del grande capo di Microsoft non ha investito direttamente nel gruppo, lo ha confermato al sito TechCrunch che è tornato sulla faccenda, ma attraverso un altro fondo, Koshla Ventures. Questo il contenitore che avrebbe poi puntato anche i soldi di Gates sulle neouova 90 milioni di dollari insieme al fondo Horizons, portando l’ammontare totale della raccolta a 120 milioni. Ciononostante, Tetrick ha rilanciato a destra e a manca il coinvolgimento diretto del papà di Windows. Non mancano inoltre altre obiezioni legate alla conservazione dei prodotti e alla scarsa cura nei sommari test prelancio.

Non basta. Tetrick, con un post pubblicato su Medium, ha successivamente tentato di reagire allo scandalo, definendo “falso e artefatto” il contenuto dell’inchiesta, sostenendo di vantare un pachidermico database di dati botanici, molecolari e funzionali di 100mila specie vegetali, ammettendo alcune piccole responsabilità ma glissando sui punti gravi delle accuse. Non sembra infatti aver convinto nessuno. Specialmente sulla questione chiave: secondo le rivelazioni degli ex dipendenti Just Mayo  –  usata poi in altri prodotti come Just Cookies  –  sarebbe ricavata a partire da amido con proteine del pisello, sostituto noto e diffusissimo in diversi regimi alimentari. Tetrick, insomma, non avrebbe fatto altro che “promuoverla come fosse una straordinaria invenzione”, dicono gli anonimi testimoni. Travestendo una qualsiasi tech company in una protagonista assoluta dell’innovazione alimentare. E trascinando con sé la portata deflagrante di un settore che, nel 2014 e nelle sue diverse articolazioni, ha raccolto oltre un miliardo di dollari di finanziamenti facendo segnare un boom del 272% rispetto all’anno precedente.
di SIMONE COSIMI

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su La Repubblica

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