Banche, crediti deteriorati: scudo da 5 miliardi. Ecco chi lo finanzia e chi ne beneficerà

Prende corpo il piano, promosso dal governo, per costituire con capitali in larga maggioranza privati, uno «scudo» capace di risolvere alla radice il problema dei crediti deteriorati delle …

Prende corpo il piano, promosso dal governo, per costituire con capitali in larga maggioranza privati, uno «scudo» capace di risolvere alla radice il problema dei crediti deteriorati delle banche italiane e in grado di intervenire anche come garante di ultima istanza (back stop facility) negli aumenti di capitale, a partire da quelli della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. In una riunione plenaria, tenutasi nel tardo pomeriggio di lunedì 10 aprile al ministero dell’Economia, cui hanno preso parte i vertici delle principali banche, assicurazioni, enti di previdenza e fondazioni, oltre che della Cassa depositi e prestiti, è stata messa a punto la struttura operativa dello «scudo» che dovrà ora essere approvata dai consigli di amministrazione dei vari soggetti coinvolti.

Il piano prevede la creazione di un fondo, chiamato Atlante, che dovrebbe avere una dotazione finanziaria di circa 5 miliardi di euro, che sarà gestito da una società di gestione del risparmio già esistente: si tratta di Questio Capital Management Sgr, presieduta dall’economista Alessandro Penati, e partecipata da Fondazione Cariplo (37,65%), Locke srl (22%), Cassa di Previdenza dei Geometri (18%), Direzione Generale Opere Don Bosco (15.60%) e Fondazione Cr Forlì (6.75%). In questo modo vengono accorciati i tempi, visto che Questio è già autorizzata dalla Banca d’Italia e potrà dunque procedere alla costituzione del fondo cui parteciperanno i principali attori del sistema finanziario italiano. Dei circa 5 miliardi che saranno raccolti, una tranche da 500 milioni dovrebbe essere sottoscritta dalle Fondazioni di origine bancaria. Secondo quanto si è appreso, le banche, con Intesa Sanpaolo , Unicredit e Ubi Banca come capofila, ma con la partecipazione anche di altri istituti, dovrebbero sottoscrivere quote del fondo per un importo complessivo di 3 miliardi.

Una tranche compresa tra 400 e 300 milioni dovrebbe essere appannaggio della Cassa depositi e prestiti, mentre la quota restante dovrebbe essere riservata alle compagnie assicurative (alla riunione di ieri erano presenti tutti i principali gruppi del settore attivi in Italia, comprese Generali, UnipolSai, Axa e Allianz, anche se non è certo se tutti alla fine saranno della partita) e agli enti previdenziali.

Oltre alla costituzione del fondo, che avrà un ruolo sia sui non performing loan (prestiti deteriorati) sia sugli aumenti di capitale, il piano promosso dal governo, ma realizzato dai privati, avrà anche un terzo pilastro e riguarda l’accorciamento dei tempi di recupero dei crediti in sofferenza. Si tratta una delle misure da tempo chiesta dalle banche al governo per cercare di risolvere il problema delle sofferenze, che ora potrebbe essere varata, sembrerbbe attraverso un decreto. Sul fronte delle sofferenze il compito del fondo Atlante sarà quello di aiutare le banche a deconsolidarle dai propri bilanci lo stock che, al netto degli accontamenti, ammonta a circa 80 milioni. «L’ammontare delle sofferenze che potranno essere deconsolidate», si legge in una nota di Quaestio Sgr, «sarà di gran lunga superiore a quelle acquistate dal Fondo, in quanto Atlante concentrerà i propri investimenti sulla tranche junior di veicoli di cartolarizzazione, potendo far leva su quelle a maggior seniority per le quali c’è un manifesto interesse da parte degli investitori».

L’obiettivo è quello di procedere al deconsolidamento delle sofferenze, che dovrebbero essere cedute a prezzi di bilancio e dunque senza ulteriori perdite per le banche,«in tempi significativamente più brevi rispetto a quelli attualmente previsti dal mercato, contribuendo a liberare risorse per nuovi impieghi alle famiglie e alle imprese». Più in generale, a livello sistemico, l’obiettivo del fondo Atlante sarà quello di «eliminare l’elevato sconto al quale il mercato valuta le istituzioni finanziarie italiane». Uno sconto che è proprio legato allo stock di sofferenze, quadruplicato dal 2007 ad oggi a causa della severità della recessione, dai tempi lunghi di recupero dei crediti (molto al di sopra della media europea), dai massicci aumenti di capitale richiesti dalle svalutazioni dei crediti e dall’incertezza sulla capacità di alcuni istituti di completare con successo gli aumenti richiesti dall’Autorità di Vigilanza. Proprio per quest’ultima ragione, il fondo Atlante fornirà una garanzia concreta agli aumenti di capitale di Popolare di Vicenza e Veneto Banca facendosi carico dell’eventuale inoptato e dunque garantendo l’esito positivo delle operazioni in arrivo.

Pur essendo stata promossa dal governo la soluzione messa in campo è portata avanti con capitali privati, come rivendicato con orgoglio dall’ad di Ubi, Victor Massiah, e realizzata con logiche di mercato. Il fondo Atlante, infatti, «vuole generare benefici non solo per gli investitori nel Fondo, offrendo rendimenti interessanti alla luce dell’attuale scenario dei tassi, nonché la possibilità di avvantaggiarsi del possibile incremento di valore dei titoli bancari e della ripresa in atto del mercato immobiliare».

Visto che il fondo poggerà quasi del tutto su risorse private, la Commissione europea non richiederà un’autorizzazione preventiva ma esaminerà con attenzione i dettagli del meccanismo per vedere se vi possa essere qualche violazione della normativa sugli aiuti di Stato. Nei prossimi giorni, intanto, la documentazione ufficiale dovrebbe arrivare agli organi deliberanti dei soggetti che dovranno partecipare al fondo.

Fonte: Milano Finanze

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Unicredit, Sanpaolo, Mps, Ubi: ecco le banche che beneficeranno dello “scudo”

Un vasto numero di investitori istituzionali tra banche, assicurazioni, Fondazioni bancarie e Cassa depositi e prestiti ha aderito alla creazione del fondo Atlante per assicurare il successo degli aumenti di capitale delle banche più fragili e per risolvere il problema delle sofferenze.

Il fondo avrà 5 miliardi di euro di dotazione iniziale che potrebbe arrivare fino a 6 miliardi: le banche contribuirebbero per 3 miliardi di euro (Intesa Sanpaolo e Unicredit con 1 miliardo di euro a testa e con un impatto di -30 punti base sul Cet1, indicano gli analisti di Equita, Ubi Banca con 500 milioni e le altre banche esclusa Mediobanca con 500 milioni), le assicurazioni con 1 miliardo, le fondazioni con 500 milioni, Sga (una sorta di bad bank pubblica creata nel 1997) con 500-600 milioni e la Cdp con altri 500-600 milioni di euro. Naturalmente Mps, Banca Carige, la Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca non parteciperanno al progetto.

Il fondo sarà gestito da una società di gestione patrimoniale indipendente (Quaestio Sgr) e potrà intervenire nella sottoscrizione di aumenti di capitale non assorbiti dal mercato a cominciare da quelli della Banca popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Una notizia quindi positiva per tutto il settore anche in vista dei diversi aumenti di capitale, in tutto 3,5 miliardi di euro, che alcune popolari si apprestano a lanciare.

Inoltre il fondo potrà acquistare le tranche junior dei non performing loan cartolarizzati dalle banche con lo schema della garanzia pubblica (Gacs). Per facilitare la raccolta di capitale del fondo, il governo potrebbe offrire qualche vantaggio fiscale per tali investimenti e potrebbe anticipare ulteriori misure per accelerare il recupero dei Npl, aumentando così il valore di mercato dei crediti inesigibili.

In generale gli analisti valutano l’operazione positivamente visto che riduce i potenziali rischi sistemici. Rimane ancora da capire a quali prezzi verranno vendute le sofferenze al fondo. “Crediamo che la creazione di strumenti per gestire al meglio i prossimi aumenti di capitale e accelerare la cessione delle sofferenze sia positiva per il settore. Anche l’introduzione di nuove misure per accelerare il recupero dei crediti è positiva per il settore in quanto possono aumentare il valore delle sofferenze”, commentano stamani gli analisti di Banca Imi.

In effetti, “il sistema normativo e operativo progettato dal governo mira a eliminare uno dei principali fattori di incertezza che pesa sull’erogazione di credito interno e il recupero delle valutazioni di mercato delle banche: l’accumulo di un enorme stock di crediti deteriorati, pari a 196 miliardi di euro secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Banca d’Italia”, sottolineano anche gli analisti di Icbpi.

Secondo le ultime indiscrezioni di stampa, le sofferenze dovrebbero essere acquistate dal fondo a valori prossimi a quelli netti iscritti in bilancio. “Tali valutazioni sembrano lontane dalle ultime offerte da parte degli investitori istituzionali, ovvero il 17-20% del valore nominale, che si confronta con un livello di valore di libro di circa il 40-42% nei bilanci delle banche”, notano gli analisti di Icbpi.

Le banche con una più alta percentuale di non performing loan sul book value tangibile, precisano a Icbpi, saranno dunque le maggiori beneficiarie dell’iniziativa, quindi Mps, le due banche venete prossime a essere quotate, Banca Carige, Banco Popolare, la Banca popolare Emilia Romagna e il Credito Valtellinese .

Calcolatrice alla mano, l’intervento del fondo potrebbe aumentare del 3-4% il prezzo dei non performing loan mentre, nel caso migliore, spiegano gli analisti di Equita, la riduzione dei tempi di recupero delle garanzie di un ulteriore 7% rispetto a un valore di mercato del 20% (si veda la recente offerta di Apollo per i Npl di Banca Carige) e rispetto al circa 40% di valore di carico delle banche.

A livello di settore, il deconsolidamento dei crediti deteriorati avrebbe un impatto sul Cet1 di -120 punti base, dal 12% al 10,8%, rispetto al -226 pb senza interventi: le dotazioni del fondo potrebbero però concentrarsi sulle banche maggiormente esposte ai non performing loan, ovvero Mps e Carige. “Mentre nel lungo termine vediamo la necessità per il settore di consolidare al fine di ristrutturare i modelli di business delle banche, il fondo Atlante aiuterà alcune banche italiane a risolvere i loro problemi nel breve termine, soprattutto per quanto riguarda il deconsolidamento dei crediti inesigibili. Ribadiamo il nostro rating buy su Unicredit e accumulate su Intesa Sanpaolo”, aggiungono a Banca Akros.

Tuttavia per gli analisti di Berenberg la necessità di stabilire un fondo di salvataggio mostra la pressione a cui sono sottoposte le banche italiane. “Crediamo che le preoccupazioni circa la qualità dell’attivo e l’adeguatezza patrimoniale insieme ai problemi di liquidità per alcune delle banche italiane più piccole le abbiano portate a questo punto”, osservano a Berenberg.

Questo è un momento cruciale per il settore bancario italiano. “Rimaniamo preoccupati del fatto che un fallimento nella raccolta di capitale da parte di una banca italiana possa alimentare le preoccupazioni sulle regole del bail-in. In effetti temiamo che, se qualsiasi banca italiana dovesse diventare oggetto di un bail-in, questo possa sconfinare in altri Paesi europei, con un ulteriore impatto sui costi di finanziamento delle banche”, avvertono gli analisti di Berenberg.

di Francesco Gerosa

Fonte: Milano Finanze

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