Banca Etruria: suicidio di Luigino D’Angelo, Gdf nella sede di Civitavecchia

Buonuscite da nababbi, rimborsi altisonanti, consulenze e mancati interventi adeguati alla situazione pre-fallimentare dell’istituto. Nuovo capitolo delle indagini sul crack della banca aretina.   La Guardia di Finanza …

Buonuscite da nababbi, rimborsi altisonanti, consulenze e mancati interventi adeguati alla situazione pre-fallimentare dell’istituto. Nuovo capitolo delle indagini sul crack della banca aretina.

 

La Guardia di Finanza sta compiendo una perquisizione nella sede di Civitavecchia di Banca Etruria, nell’ambito dell’ inchiesta sul suicidio del pensionato Luigino D’Angelo, avvenuto lo scorso 28 novembre. L’uomo, titolare di obbligazioni subordinate della banca, si è ucciso nella cittadina laziale dopo aver scoperto l’azzeramento del suo capitale.

La perquisizione è stata disposta dal pubblico ministero di Civitavecchia, Alessandra D’Amore, titolare di un procedimento per istigazione al suicidio dell’uomo. Luigino D’Angelo aveva acquistato i titoli subordinati di Banca Etruria all’inizio del 2013, investendo gran parte dei suoi risparmi (110 mila euro, secondo alcune indiscrezioni). Non era riuscito ad ottenere la restituzione del denaro e, saputo di aver perso tutto, il 28 novembre scorso si è ucciso, lasciando una mail di addio alla moglie. “Chiedo scusa a tutti per il mio gesto – ha scritto – non è per i soldi, ma per lo smacco subito”. (Ansa)

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Buonuscite da nababbi, rimborsi altisonanti, consulenze e mancati interventi adeguati alla situazione pre-fallimentare dell’istituto.

Ne dà un’ampia panoramica Fiorenza Sarzanini sull’edizione odierna del Corriere della Sera. Per esempio “a Giuseppe Fornasari – ex presidente – hanno pagato gli avvocati nonostante fosse accusato di un reato legato al dissesto dell’istituto, e ai manager uscenti hanno dato buonuscite da oltre un milione di euro”, fa notare la giornalista.

Un comportamento per il quale i componenti del cda allora in carica dovranno rispondere di fronte alla magistratura e a Bankitalia. Pare che quest’ultima abbia già “trasmesso formali contestazioni al presidente Lorenzo Rosi e ai vice Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi”, padre ormai noto della ministra alle Riforme.

Quando poi lascia l’incarico il direttore generale Luca Bronchi – indagato per operazioni immobiliari legate al Palazzo della Fonte – il “cda gli assegna un indennizzo di 1,2 milioni di euro”. Cosa strana perché “le regole interne prevedevano che, in caso di risoluzione anticipata del contratto, il compenso dovesse essere collegato alla performance realizzata e ai rischi assunti”. Bronchi, per altro, riceve quel trattamento “nonostante il grave deterioramento della Banca”. Inoltre “non gli vengono contestate responsabilità specifiche”.

Ad altri dirigenti viene riservato un trattamento non meno favorevole. Al successore di Bronchi, Daniele Cabiati, viene consegnata una lettera d’incarico “con la possibilità di riconoscergli una retribuzione variabile da 300 mila euro contrariamente a quanto indicato nel documento sulle Politiche di remunerazione approvato dall’assemblea dei soci il 4 maggio 2014”. Mentre al responsabile del Marketing, Fabio Piccinini, al momento “dell’addio” vengono assegnati 125 mila euro”.

Singolare anche la situazione conseguente alla decisione di tagliare gli stipendi dei top manager. “Il 22 maggio – scrive la Sarzanini – il cda approva una delibera per la riduzione degli emolumenti del presidente Lorenzo Rosi e dei 2 vice Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi. Nel primo caso la riduzione prevista è del 32,5 per cento, negli altri del 20 per cento. Invece “non accade nulla”. E ciò con buona pace dell’intento manifestato di “voler rappresentare un punto di discontinuità nella vita aziendale”.

 

Ai vertici viene per altro contestato di non aver fatto “interventi idonei a ristabilire l’equilibrio reddituale del gruppo. Le misure – taglio di 410 unità e rimodulazione della presenza territoriale – sono state deliberate tardivamente, il 22 dicembre 2014 e il 9 gennaio 2015”. Risulta invece che “tra il 2013 e il 2014 sono stati corrisposti compensi per 335mila euro a dipendenti in quiescenza a fronte delle collaborazioni prestate”.

Si parla infine di “incarichi esterni” che nel periodo 2013-2014 assommerebbero a “circa 15 milioni di euro. E su questo versante all’ex direttore generale Luca Bronchi si rinfaccia di “aver firmato delibere oltre i suoi poteri; pagato prestazioni non contrattualizzate; assegnato gli stessi incarichi a professionisti diversi e modificato le voci di spesa”.

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