Arabia Saudita, parabola discendente tra crisi del petrolio e sudditanza dell’Iran

Il greggio a 35 dollari è per proteggere la propria quota di mercato, ma è una bomba a orologeria. E a livello geopolitico la forza di Teheran porta Riad …

Il greggio a 35 dollari è per proteggere la propria quota di mercato, ma è una bomba a orologeria. E a livello geopolitico la forza di Teheran porta Riad a un conflitto settario musulmano che costa caro e non può vincere.

È dedicata all’Arabia Saudita la copertina dell’ultimo numero del settimanale britannico “The Economist”. Per anni il paese è sembrato inerte, adagiato sulla sua ricchezza petrolifera e forte del suo legame con gli Stati Uniti. Ora le quotazioni del greggio sono crollate, gli Usa hanno rinunciato all’iniziativa in Medio Oriente, la regione è in fiamme e il potere è passato a una nuova generazione.

Una tempesta di sabbia sta risvegliando il regno del deserto. Una dimostrazione agghiacciante del brutale trattamento del dissenso in patria e dell’assertività all’estero si è avuta con le esecuzioni di inizio anno. Conseguenze altrettanto importanti, tuttavia, potrebbero avere le manovre in corso per aprire un’economia chiusa, un piano che potrebbe comprendere anche la quotazione di Aramco. L’abbinamento tra la spavalderia geopolitica e una riforma radicale dell’economia è un azzardo il cui esito potrebbe determinare le sorti della dinastia regnante e il futuro del mondo arabo. Il calo del prezzo del greggio dai 110 dollari del 2014 agli attuali 35 è in parte dovuto alla determinazione di Riad nel proteggere la sua quota di mercato, ma è una bomba a orologeria per un paese che dal petrolio trae il novanta per cento delle sue entrate: il deficit ha raggiunto il quindici per cento del prodotto interno lordo.

In altri momenti di ribasso l’Arabia è ricorsa a un pesante indebitamento; negli anni Duemila si è salvata grazie al boom della Cina. Stavolta la situazione è diversa. Parlando col periodico, il vice principe ereditario Mohammad bin Salman illustra il suo piano di radicale riforma dello Stato. Il primo passo è il consolidamento fiscale; l’obiettivo è abbattere il disavanzo nei prossimi cinque anni, anche coi prezzi petroliferi bassi; ciò significa smantellare un sistema in cui è il petrolio e non le tasse a finanziare l’istruzione e la sanità e a sovvenzionare l’elettricità, l’acqua e gli alloggi. L’economia è cronicamente improduttiva e dipendente dal lavoro straniero. La manovra finanziaria del 2016 comprende rincari della benzina, dell’elettricità e dell’acqua; inoltre, sono state annunciate nuove imposte, a cominciare da un’Iva al cinque per cento. Quasi il 70 per cento dei cittadini ha meno di trent’anni e due terzi dei lavoratori sono impiegati nella pubblica amministrazione; è necessaria, quindi, una diversificazione dell’economia.

La leadership saudita sta cercando di privatizzare, anche nella sanità e nell’istruzione. Ma quante possibilità ci sono che il piano funzioni? L’austerità sarà difficile e impopolare perché finora lo Stato, anche per compensare la mancanza di diritti politici, è stato generoso nel sovvenzionare. Tuttora, il regime non sembra interessato alle riforme politiche. L’altro ostacolo è di natura geopolitica: con un Iran più assertivo, l’Arabia Saudita rischia di impantanarsi in un conflitto settario musulmano che non può vincere né può permettersi. La difesa e la sicurezza assorbono già il 25 per cento della spesa pubblica e le tensioni regionali scoraggiano gli investimenti.

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