Taiwan, ignorate le pressioni della Cina

La vittoria del vice presidente uscente Lai rappresenta lo scenario peggiore per la Cina, che considera il politico democratico “un pericoloso elemento separatista” a causa dell’esplicito sostegno offerto in passato all’agenda indipendentista.

TAIPEI – Il candidato del partito al governo di Taiwan, William Lai (Lai Ching-te), ha vinto le elezioni presidenziali di oggi dopo che il candidato dell’opposizione ha ammesso la sconfitta.

Le elezioni sono state viste come un referendum sulle politiche di Taiwan nelle due sponde dello Stretto dopo otto anni di governo del Partito Democratico del Progresso e di crescenti pressioni da parte di Pechino.

Il governo cinese ha messo in guardia dal votare per Lai, l’attuale vicepresidente, affermando che la sua elezione “innescherebbe scontri e conflitti attraverso lo Stretto”.

È probabile che il governo cinese intensifichi la sua campagna di pressione contro Taiwan in risposta all’elezione di un politico che Pechino ha definito “separatista in tutto e per tutto“.
“Voglio ringraziare il popolo taiwanese per aver scritto un nuovo capitolo nella nostra democrazia. Abbiamo dimostrato al mondo quanto abbiamo a cuore la nostra democrazia”, ha detto Lai dopo la vittoria.

Lai ha confermato che manterrà lo status quo nelle due sponde dello Stretto e proseguirà il dialogo con la Cina, ma che è “determinato a salvaguardare Taiwan dalle continue minacce e intimidazioni da parte della Cina”.

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Lai Ching-te, candidato del Partito progressista democratico (Dpp) e strenuo sostenitore dell’autonomia dell’isola dalla Cina, si avvia ad essere proclamato presidente di Taiwan. Lai accumula circa sette punti percentuali di vantaggio su Hou Yu-ih, candidato del partito d’opposizione Kuomintang (Kmt) e considerato più propenso al dialogo con Pechino. In anticipo sull’ufficializzazione dei risultati, Hou si è congratulato con Lai per la vittoria esprimendo “rammarico” per non essere stato in grado di interrompere la striscia di otto anni di governo del Dpp.

La vittoria del vice presidente uscente rappresenta lo scenario peggiore per la Cina, che considera il politico democratico “un pericoloso elemento separatista” a causa dell’esplicito sostegno offerto in passato all’agenda indipendentista. Il risultato delle urne, ha spiegato Lai nel primo commento alla stampa, permetterà a Taiwan di schierarsi dalla parte della democrazia piuttosto che dell’autoritarismo, prova che il popolo ha resistito “con successo” all’ingerenza esterna e consentirà all’isola di proseguire sulla strada giusta.

Lai si è poi detto “determinato a salvaguardare l’isola dalle continue intimidazioni e minacce dalla Cina”, definendo “una responsabilità importante” quella di “mantenere la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan”. Il nuovo presidente, che promette comunque di aprire un dialogo con Pechino, ha definito il risultato delle presidenziali come una vittoria per la comunità delle democrazie”. Con il 99 per cento dei voti scrutinati,

Lai ha incassato il 40,1 per cento dei voti contro il 33 per cento registrato da Hou. Ko Wen-je, candidato del Partito popolare (Tpp, di stampo centrista), si attesta al 26 per cento. Stando ai dati della stampa locale, l’affluenza alle urne è stata di circa il 70,6 per cento degli aventi diritto (pari a 19,5 milioni) contro quella del 74,9 per cento registrata nelle elezioni del 2020. Le operazioni di voto si sono svolte dalle 8 alle 16 (dall’una alle nove del mattino in Italia) nei 17.795 seggi aperti in tutta l’isola.

Il 64enne Lai serve come attuale vicepresidente di Taiwan dal 2020, nell’amministrazione della presidente uscente Tsai Ing-wen. Nato nel piccolo villaggio minerario di Wanli, nell’estremo nord dell’isola, trascorre la sua infanzia in povertà, orfano di padre e con cinque fratelli. Dopo aver conseguito un master in Sanità pubblica alla Harvard School of Public Health di Boston, negli Stati Uniti, viene eletto in parlamento nel 1996. Nel 1998 viene rieletto come deputato del Dpp, per poi ricoprire l’incarico di sindaco di Tainan dal 2010 al 2017. In quell’anno diventa primo ministro con un mandato di due anni, prima di ricoprire la vicepresidenza dell’isola.

La sua vittoria rappresenta lo scenario peggiore per la Cina. In una nota pubblicata il 10 gennaio, il portavoce dell’ufficio di Pechino delegato agli affari di Taiwan, Chen Binhua, si è rivolto direttamente ai 19,5 milioni di cittadini che si sono recati alle urne, minacciando “un estremo pericolo” di conflitto nell’eventualità di una sua vittoria. “Auspico sinceramente che la maggioranza dei compatrioti a Taiwan si renda conto del gravissimo pericolo rappresentato dall’agenda indipendentista del Dpp e da Lai Ching-te, che potrebbe dare adito a scontri e conflitti nello Stretto”, ha avvertito il rappresentante del Partito comunista.

A dispetto delle dichiarazioni della leadership cinese, negli anni Lai ha smorzato significativamente la sua retorica, affermando che una sua amministrazione non procederebbe a una formale dichiarazione d’indipendenza. In campagna elettorale, ha infatti evidenziato a più riprese la necessità di preservare la stabilità nello Stretto, pur senza scendere a compromessi sul rispetto della democrazia, dell’autonomia, dell’autodeterminazione e della sovranità dell’isola, che considera già una “nazione sovrana e indipendente”. A partecipare alle elezioni al fianco di Lai come candidata alla vicepresidenza è stata Hsiao Bi-khim, ex inviata diplomatica di Taipei negli Stati Uniti, giudicata a più riprese da Pechino “non sincera” nella ricerca di un dialogo con l’altra sponda dello Stretto.

Alla vigilia delle elezioni, le tensioni nello Stretto hanno raggiunto i massimi livelli: oltre alle quotidiane sortite condotte con navi e aerei militari, questo mese il ministero della Difesa taiwanese ha rilevato nei cieli dell’isola un totale di 27 palloni aerostatici cinesi, balzati per la prima volta agli onori della cronaca internazionale lo scorso anno. Il 15 dicembre, il ministero del Commercio di Pechino ha annunciato la fine del trattamento preferenziale riservato ad alcuni prodotti chimici importati da Taiwan, minacciando ulteriori sanzioni nell’eventualità di un ulteriore e “ostinato” sostegno alla causa indipendentista da parte del Dpp.

La vittoria di Lai è destinata con tutta probabilità ad innalzare il livello dello scontro con la Cina nello Stretto, che, assieme all’intera regione Indo-Pacifica, rappresenta il principale teatro del confronto strategico tra il Paese asiatico e gli Usa. In vista delle elezioni, il governo federale ha ribadito la propria “imparzialità” sulla questione, in risposta alle reiterate accuse d’ingerenza mosse dalla diplomazia cinese. A inizio gennaio, Washington non ha tuttavia rinunciato a siglare un accordo da 22,6 milioni di dollari per la manutenzione dei missili Rim-66 Standard in dotazione a Taiwan, con l’obiettivo di aumentarne le capacità di difesa nell’eventualità di un’offensiva dall’altra sponda dello Stretto.

In una mossa giudicata apparentemente “insolita” dagli osservatori della politica internazionale, la Casa Bianca ha inoltre confermato l’11 gennaio l’invio di una delegazione non ufficiale subito dopo le elezioni, che sarà guidata dall’ex vice segretario di Stato democratico James Steinberg e dall’ex consigliere repubblicano per la Sicurezza nazionale Stephen Hadley.

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