Sanzioni contro la Russia nocive per economia europea (dice Bankitalia)

Pensate per fermare la guerra dopo l'invasione dell'Ucraina e far fallire l’economia della Federazione Russa, si sono rivelate controproducenti per la stessa Europa. Fenomeno negato dai sostenitori atlantisti delle sanzioni ma adesso confermato da questo rapporto di Banca d’Italia. 

di Giorgia Audiello

La progressiva interruzione delle forniture di gas dalla Russia, in seguito allo scoppio del conflitto in Ucraina e alla “guerra energetica” con Mosca, ha comportato un indebolimento generale dell’economia e dell’industria europea, in quanto le crisi di offerta del gas sono di gran lunga più dannose in termini di aumento dei prezzi – soprattutto nel lungo periodo – di quelle legate alle crisi del petrolio. È quanto riporta uno studio di Banca d’Italia pubblicato pochi giorni fa, dal titolo “Gas naturale e macroeconomia: non tutti gli shock energetici sono uguali”: in particolare, lo studio valuta l’impatto delle variazioni nell’offerta di gas naturale sull’inflazione e sull’attività economica nell’area dell’euro, evidenziando che il calo dell’offerta di metano causa “un rallentamento dell’attività economica e un rialzo dell’inflazione” e che “la peculiare struttura del mercato del gas fa sì che tali effetti si materializzino molto gradualmente, con un picco dell’inflazione per i beni non energetici che segue di oltre due anni lo shock iniziale”.

Difficoltà di approvvigionamento del gas

A differenza delle diverse crisi petrolifere scaturite più volte in passato a causa delle tensioni con i Paesi arabi, dunque, gli effetti negativi legati ad una difficoltà di approvvigionamento del gas risultano maggiori e più duraturi, in quanto “un aumento dei prezzi del petrolio all’ingrosso viene immediatamente incorporato nell’indice dei prezzi dell’energia, mentre un aumento dei prezzi del gas impiega circa un anno per propagarsi pienamente, con un impatto finale circa cinque volte più grande di quello iniziale”, si legge nel report. Il tutto prescinde dal fatto che nel frattempo gli Stati europei siano corsi ai ripari sostituendo le forniture di gas con quelle di altri Paesi o abbiano riempito in anticipo gli stoccaggi.

Variazioni dei costi dei prodotti energetici

Gli effetti a lungo termine sono imputabili, da un lato, alla struttura peculiare del mercato del gas, in cui gli scambi sono spesso regolati da contratti a lungo termine e i prezzi all’ingrosso non influenzano immediatamente quelli al dettaglio, dall’altro, all’utilizzo del gas nella produzione di energia elettrica, i cui prezzi si adeguano con ritardo a variazioni dei costi dei prodotti energetici. Facendo un confronto con il mercato del petrolio, il rapporto di Bankitalia rileva che “la trasmissione complessiva all’inflazione core, definita come il rapporto tra le risposte cumulative dei prezzi core e dell’energia sull’orizzonte di un anno, è di circa l’8% per gli shock del gas e del 4% per gli shock petroliferi”.

L’aumento dell’inflazione 

Ciò significa che l’impatto di una crisi del gas è doppio rispetto a una crisi del greggio e che il calo dell’offerta di gas aumenta significativamente i prezzi dell’energia e dei beni primari su periodi temporali più lunghi. Il che è confermato dall’aumento dell’inflazione che, sebbene negli ultimi mesi sia in calo, ha colpito fortemente il potere d’acquisto dei cittadini europei.

Sanzioni controproducenti per la stessa Europa

Non solo quindi, a quasi due anni dall’inizio della guerra in Ucraina, è possibile riscontrare con certezza che le sanzioni non hanno sortito gli effetti per i quali erano state pensate – ossia fermare la guerra e far fallire l’economia russa – e dati per certi dai politici e dai media europei, ma anche come esse si siano rivelate controproducenti per la stessa Europa, cosa spesso negata dai sostenitori atlantisti delle sanzioni e ora però confermata anche da Banca d’Italia.

L’Indipendente stesso più di un anno fa aveva messo in luce in un articolo come le sanzioni europee contro Mosca avrebbero potuto trasformarsi nelle prime “autosanzioni” della storia, cosa che si sta di fatto verificando.

Germania in recessione

A confermarlo, del resto, non è solo lo studio di Palazzo Koch, ma gli stessi dati economici dell’Unione europea: la Germania, che ha costituito negli ultimi decenni il motore economico dell’UE, è entrata in recessione tecnica: nel primo quarto del 2023, infatti, il PIL tedesco ha segnato il secondo arretramento consecutivo, pari a -0,3%, dopo il -0,5% del quarto trimestre 2022, contagiando l’intera Eurozona che allo stesso modo è entrata in recessione tecnica nel primo trimestre 2023, spinta al ribasso proprio dallo Stato teutonico.

Economia russa appare molto più in salute

Berlino ha risentito più di altri Paesi dell’interruzione delle forniture russe perché dipendeva da Mosca per il 50% del suo fabbisogno energetico. In questo contesto, è da notare la situazione paradossale per cui l’economia moscovita appare molto più in salute di quanto ci si aspettasse: non solo, infatti, i principali indici economici russi segnano risultati positivi, ma proprio oggi il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha affermato che nonostante «il peso senza precedenti delle sanzioni», la Russia è riuscita a stabilizzare la situazione e raggiungere «persino una traiettoria di crescita» grazie alla mobilitazione di risorse, alle sagge decisioni della dirigenza politica e al lavoro del governo. Oltre al danno, dunque, la beffa.

Gli effetti negativi anche in Italia

La recessione tedesca non può che ripercuotersi anche sulle altre economie del continente: in Italia, ad esempio, è cominciata da metà dello scorso anno una recessione manifatturiera che ha contribuito anche alla contrazione complessiva del PIL nel secondo trimestre del 2023 con un calo dello 0,4%, invece che dello 0,3% come inizialmente era stato stimato. Si tratta comunque di una condizione che interessa la gran parte dei Paesi europei che si ritrovano ad affrontare una situazione di inflazione e, allo stesso tempo, un rallentamento economico: una condizione che in economia si indica con il termine “stagflazione”.

Lo stesso studio di Banca d’Italia, del resto, ha sottolineato come gli effetti negativi sulle forniture di metano siano “stagflazionistici”, “conducendo ad un calo dell’attività economica e ad una crescita significativa sia nei prezzi dell’energia che nei prezzi al consumo principali”. “Le nostre stime suggeriscono che la scarsità di gas causata dalla guerra sia stata un fattore chiave all’origine dell’impennata dell’inflazione in Europa nel 2022, e che probabilmente le sue ripercussioni si faranno sentire per tutto il 2023”, sono le conclusioni degli esperti di Bankitalia autori dello studio.

Fonte: L’Indipendente

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