La guerra delle etichette

Il livello del dibattito politico sta crollando rapidamente, in tutto il mondo. Da qualche anno ormai assistiamo ad un inesorabile decadimento dei contenuti nella discussione politica a livello …

Il livello del dibattito politico sta crollando rapidamente, in tutto il mondo. Da qualche anno ormai assistiamo ad un inesorabile decadimento dei contenuti nella discussione politica a livello di mainstream, negli Stati Uniti come in Europa.

In America, Ted Cruz attacca Donald Trump dicendo che è un “pagliaccio e un incapace”. Trump gli risponde dicendo che Cruz è un “mentitore seriale”, e che “mia moglie è molto più bella della tua”.

In Italia, Cuperlo attacca la Boschi dicendo che lei “vota come Verdini”, e lei risponde che Cuperlo “vota come Casapound”. Praticamente, il primo dà alla seconda della “traditrice ideologica”, la seconda dà al primo del nazifascista.

Già da tempo, la sinistra del PD ha appiccicato a Renzi l’etichetta di “nuovo Berlusconi”, mentre Renzi ha appiccicato ai suoi nemici l’etichetta di “gufi”.

Da prima ancora, il PD ha appiccicato al Movimento Cinque Stelle l’etichetta di “antipolitica”, mentre i Cinque Stelle hanno risposto appiccicando al PD l’etichetta di “amici dei banchieri”.

Idem per il dibattito sull’immigrazione, che ormai è diventato uno scontro sterile fra coloro che etichettano i loro avversari come “buonisti”, e questi ultimi che etichettano i primi come “xenofobi”.

Insomma, si potrebbe andare avanti con nuovi esempi all’infinito, ma il concetto mi sembra chiaro: mentre i contenuti scendono a zero, il ricorso alla “etichettatura” è ormai diventato un’arma irrinunciabile nel dibattito politico. Questo a sua volta si è trasformato in una specie di battaglia quotidiana fra tweet e contro tweet.

Non si può infatti non vedere come vi sia una correlazione fra questa profonda mutazione nel dibattito politico e l’avvento delle nuove tecnologie di comunicazione istantanea (che non a caso limitano i messaggi a 140 caratteri per volta).

L’unica cosa che ci si domanda a questo punto è la seguente: esisterà ancora, fra 20 o trent’anni, qualcuno in grado di costruire un ragionamento solido, logico e ben argomentato, oppure le generazioni che ci seguiranno sono già condannate fin da oggi ad esprimersi con semplici etichette e contro etichette?

Con un “mi piace” o “non mi piace”?

Perché se questa fosse la risposta, la distanza che ci separa dalla nuova dittatura mondiale – il cosiddetto, temutissimo Nuovo Ordine Mondiale – sarebbe ormai ridotta ad una questione millimetrica.

Questo Nuovo Ordine Mondiale infatti rischia di arrivare non per un dominio fisico di qualcuno sul resto del mondo, ma per il dominio da parte di qualcuno sulle menti del mondo intero.

Con buona pace di Aristotele, Kant e Schopenhauer.

di Massimo Mazzucco

Fonte: www.luogocomune.net

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