Banche in crisi, super-vertice di emergenza al Tesoro con Padoan, Visco e i banchieri

La cessione di Banca Marche, Etruria, Carife e CariChieti è al centro del vertice convocato per oggi al Ministero dell’Economia. Con il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, …

La cessione di Banca Marche, Etruria, Carife e CariChieti è al centro del vertice convocato per oggi al Ministero dell’Economia. Con il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, saranno presenti il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, i vertici di Unicredit, Intesa Sanpaolo e Ubi, e i rappresentanti dell’Acri (le fondazioni bancarie), dell’Associazione bancaria italiana e del Fondo Atlante.

L’incontro, secondo quanto ricostruito, si è reso necessario dopo che la Bce ha imposto una serie di condizioni a Ubi Banca per procedere all’acquisto di tre delle quattro banche: Etruria, Banca Marche e CariChieti. Condizioni che comprendono anche un aumento di capitale – circa 600 milioni, secondo indiscrezioni – che porrebbero ulteriori difficoltà di esecuzioni per Ubi e potenziali ricadute negative sul sistema bancario italiano, già alla prese con la difficile soluzione del caso Monte dei Paschi e il necessario rafforzamento patrimoniale di Unicredit. Per questo l’incontro, pur resosi necessario alla luce della vicenda delle quattro banche, servirà come un momento di riflessione sulle crisi del sistema bancario.

Il Fondo di risoluzione

Strettamente collegato al tema delle quattro banche c’è ad esempio il finanziamento del Fondo di risoluzione. Si tratta dello strumento istituito presso Bankitalia che ha reso possibile l’operazione del novembre scorso, con la separazione dei crediti in sofferenza delle quattro banche e la nascita delle cosiddette “good banks”. Il Fondo è attualmente l’azionista delle quattro nuove banche ed è stato finanziato con un prestito concesso proprio da Unicredit, Intesa Sanpaolo e Ubi Banca da 1,6 miliardi di euro complessivi e garantito dalla Cdp. Il piano iniziale prevedeva che le tre banche che avevano concesso il prestito sarebbero state rimborsate con i proventi della vendita. Ma la situazione attuale è che se anche Ubi procedesse con l’acquisto di tre delle quattro l’incasso del Fondo sarebbe praticamente nullo, con l’offerta della ex popolare lombarda che si configurerebbe di fatto come un nuovo salvataggio dei piccoli istituti dopo quello di novembre scorso e un’offerta economica “prossima allo zero”, aveva spiegato una fonte nei giorni scorsi.

Il rimborso del prestito

Ma questa circostanza renderebbe di fatto impossibile rimborsare il prestito da 1,6 miliardi, lasciando a qual punto aperte due strade: far scattare la garanzia della Cassa depositi e prestiti oppure chiamare un nuovo giro di finanziamento al sistema bancario. Eventualità che le banche però, già provate dai contributi per i salvataggi, da quelli per Atlante, dal fondo “privato” costituto al Fidt per intervenire sulle crisi di minore entità – che ha avuto il suo battesimo con CariCesena nei giorni scorsi – e dalle nuove imposizione europee non hanno intenzione di far passare.

Il salvataggio di Mps

Sullo sfondo resta la complessa vicenda di Monte dei Paschi, per la quale solo con la presentazione del piano, il 24 ottobre prossimo, sarà possibile avere chiarezza su tempi e modalità di esecuzione della sua “messa in sicurezza”.

Fonte: La Stampa

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Ma è braccio di ferro con la Bce per sbloccare l’acquisto degli istituti

Una parola brutta e difficile, Rwa. Sta per Risk weighted asset e chi lo considerasse un mero tecnicismo commetterebbe un errore madornale. Intorno a questa parola e alle sue implicazioni si gioca una parte sostanziale della complicata partita per puntellare il traballante sistema bancario nazionale. Gli Rwa si possono tradurre come «attività ponderate per il rischio» e sono dei modelli statistici sulla base dei quali le banche devono accantonare capitale per ogni prestito effettuato in funzione della rischio associato a quel tipo di prestito. Dire se l’accantonamento è adeguato spetta alla Bce.

Una delle condizioni poste da Ubi Banca per l’acquisto di Banca Marche, Etruria e CariChieti è quella di poter utilizzare per gli Rwa delle tre banche i propri modelli. Sterilizzando di fatto le perdite passate senza farle pesare nei propri conti. Secondo gli analisti se la Bce fosse d’accordo, Ubi Banca potrebbe recuperare circa 400 milioni di euro di capitale. Non è l’unica condizione richiesta dall’istituto guidato da Victor Massiah. C’è anche la possibilità di far pesare l’avviamento negativo dei tre istituti o il recupero fiscale delle ingenti perdite accumulate con la risoluzione. Su gli Rwa però la posizione della Vigilanza di Francoforte è particolarmente rigida. La differenza tra fare l’operazione e non farla passa da lì. Per questo Ubi ha chiesto al governo un intervento deciso, «politico», per sbloccare una questione che per quanto tecnica può avere pesanti risvolti sistemici. La posta in gioco è la stabilità del sistema bancario, che proprio a partire dalla risoluzione delle quattro banche, nel novembre scorso, non ha più avuto pace.

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Per capire quanto pesano gli Rwa, serve raccontare che proprio su questo punto il piano di Montepaschi presentato lo scorso 29 luglio è rimasto incerto fino all’ultimo. Senza il via libera della Bce a non considerare l’operazione di scorporo delle sofferenze per 27,7 miliardi, arrivato in extremis nella mattinata del 29 luglio, Mps avrebbe dovuto lanciare un aumento da sette miliardi invece che cinque. Date le difficoltà che incontra la banca senese per far partire una operazione da cinque miliardi, è ragionevole pensare che chiedere sette miliardi avrebbe significato decretare da subito la fine della storia.

Così come adesso sull’operazione proposta da Ubi incombe il «no» della Bce sugli Rwa che rischia di mandare a monte l’acquisto, con conseguenze imprevedibili per l’intero sistema bancario. A cominciare dal Fondo di risoluzione, azionista delle quattro banche, che ha ricevuto un prestito da 1,65 miliardi proprio da Ubi, Unicredit e Intesa, garantito dalla Cdp. Non casualmente, quattro dei soggetti presenti ieri al Mef. Avrebbe dovuto essere rimborsato con l’incasso della vendita delle quattro ma l’incasso sarà zero, ragionevolmente.

Sull’operazione incombe anche l’impegno preso con Bruxelles di vendere entro il 30 settembre. Termine trascorso senza comunicazioni ufficiali di proroga ma con generiche rassicurazioni che niente sarebbe accaduto se si fosse andati più in là. A questo punto giova ricordare che lo scorso 30 luglio vennero dichiarate non ricevibili le offerte di due fondi Usa, Apollo e Lone Star, per l’acquisto di tutte e quattro. Le cronache hanno riferito di ragioni «più formali che sostanziali», ma nessuna motivazione ufficiale è mai arrivata. L’offerta di Apollo, secondo quanto ricostruito da più fonti, prevedeva anche una forma di ristoro per i risparmiatori. Con gli obbligazioni che avrebbero ricevuto azioni e i vecchi azionisti degli warrant. Questione più di sostanza che di forma.

Fonte: La Stampa

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Mossa a sorpresa del governo per salvare le quattro banche

Vertice blindato al Tesoro con Bankitalia, Cdp e i colossi del credito. L’operazione Ubi non può fallire, cresce il pressing su Intesa e Unicredit

Il nuovo muro contro muro con la Bce rischia di far saltare la cessione di tre delle quattro famigerate «good banks» italiane salvate a fine 2015 dal Fondo di risoluzione mandando in tilt il delicato equilibrio che governo e Bankitalia hanno costruito in questi mesi allo scopo di puntellare il sistema del credito. Per il governo l’operazione-Ubi, unica pretendente rimasta in campo, «non può assolutamente fallire». Perché, complice la fibrillazione innescata dal disastro della Deutsche bank, un eventuale flop potrebbe creare un effetto contagio e arrivare a mettere a rischio un piano ben più importante, anche dal punto di vista politico, come il salvataggio del Monte dei Paschi. Dopo che il Tesoro, la scorsa settimana, ha ottenuto da Bruxelles una nuova proroga per la cessione di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Carife, da Francoforte è infatti arrivato uno stop che rischia di compromettere tutta l’operazione. E per questo ora si cerca di correre ai ripari.

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Il «caso Deutsche» e noi

Il tema banche è stato al centro del vertice blindatissimo che si è tenuto ieri nel tardo pomeriggio al Tesoro. «Non si è entrati nel dettaglio di singoli casi», hanno fatto sapere in serata fonti del Mef, ma ci si sarebbe limitati ad analizzare lo stato del nostro sistema bancario anche alla luce delle tensioni sui mercati internazionali degli ultimi tempi. Nel corso delle due ore di confronto «tutti» avrebbero avuto modo di conoscere «tutto», spiega un’altra fonte. «Dobbiamo avere un dialogo continuo su questa situazione di transizione, per irrobustire il sistema» aveva dichiarato nel pomeriggio il ministro Padoan anticipando il senso del vertice col gotha bancario nazionale.

I problemi sul tappeto sono molti e spesso fortemente intrecciati tra loro. Chiamano in causa la Commissione Ue e la Banca centrale europea (che ora a Ubi chiede un aumento di capitale da 600 milioni che la popolare bergamasca giudica inaccettabile), e vanno dalla gestione delle sofferenze, al possibile ruolo del Fondo interbancario di garanzia (ultima spiaggia per evitare la liquidazione di Carife) e di altri big come Intesa e Unicredit, col maxi aumento di capitale di Mps che resta la grande incognita dei prossimi mesi. Ma sul quale, ancora ieri, Padoan è stato molto netto: «non ci sono piani alternativi: ci sarà un’offerta al mercato che sono convinto che avrà successo». Assolutamente escluso un intervento pubblico, «nessuna intromissione».

Secondo fonti del Mef quello di ieri è stato di un incontro «di routine, che fa parte di una consuetudine che si va consolidando». Però non capita spesso di vedere riuniti assieme il ministro dell’Economia, il governatore di Bankitalia, i vertici delle tre banche più importanti (Intesa, Unicredit e Ubi), i rappresentanti di Acri e Abi (il dg Giovanni Sabatini), il presidente della Cassa Depositi Costamagna e il numero uno del Fondo Atlante Penati. «Il governo farà di tutto per non far fallire l’operazione Ubi», spiegava ieri una fonte dell’esecutivo. E per evitare che un eventuale contraccolpo possa arrivare a compromettere i piani per Mps.

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A caccia di nuovi fondi

Come già avvenuto in passato ci si vorrebbe affidare alle cosiddette «soluzioni di sistema». Con un occhio a Cdp e Fondo Atlante ma soprattutto a Banca Intesa ed Unicredit, verso le quali sarebbe già ripartito il pressing. Da loro, che pure hanno già finanziato ampiamente i due fondi Atlante ed erogato assieme ad Ubi un prestito ponte da 1,6 miliardi destinato alle 4 «good banks», ci si aspetta un ulteriore sforzo, ad esempio per togliere dal groppone di Ubi i 3,4 miliardi di nuove sofferenze che le 4 banche hanno generato da inizio anno. Ma Intesa non ne vuole sapere e Unicredit ha altri guai di suo, per cui entrambe fanno muro. Per ora.

Fonte: La Stampa

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La riunione odierna al Mef con i massimi esponenti di Bankitalia e dei principali istituti è un’occasione per fare il punto su situazioni di transizione e non di crisi. Lo ha detto il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, specificando di non vedere al momento la necessità di intervento pubblico sulle banche.

Sulla questione MPS, il titolare del dicastero di via XX settembre nel corso di una video intervista condotta dal direttore de Il Foglio, Claudio Cerasa, ha dichiarato che il piano della banca senese “finirà con una ricapitalizzazione di 5 miliardi di euro. Non ci saranno piani alternativi, ma un’offerta al mercato che avrà successo”. Non c’è “nessun ruolo intrusivo” del governo sul Monte dei Paschi di Siena, ha aggiunto poi il ministro.

Guardando all’estero, Padoan ha poi rilevato che “se una banca come Deutsche Bank ha un problema si avrebbero impatti su tutto il sistema”.

Frattanto, il numero uno del dicastero di Via XX Settembre ha anche altri grattacapi in merito al sistema creditizio: la soluzione alla questione dei rimborsi ai risparmiatori frodati con le obbligazioni delle banche fallite: Banca Popolare dell’Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti.

Le misure assunte dal governo, infatti, lasciano fuori alcune categorie di risparmiatori, quelli che hanno acquistato i bond sul mercato secondario e non direttamente dalla banca che li ha emessi, i quali rischiano di non ottenere un rimborso. Il problema è al centro di un’interrogazione alla Camera da parte dell’onorevole Giovanni Paglia (SI-SEL), che chiede al Ministro dell’Economia e delle Finanze Padoan “quali iniziative di competenza intenda assumere per porvi celermente rimedio”.

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1 commento

  1.   

    non mi pare che quei 2 brillino  nel firmamento.  uno non azzecca una previsione l’altro controlla poco e tutto sommato male. speriamo che me la cavo. Ma dico io non è che ce ne sono di migliori in circolazione oppure dobbiamo accontentarci?