Un paese in controluce

Queste sono storie italianissime. Perché è parlando la nostra lingua che si sono unite come coriandoli in un punto convenuto. E perché raccontano la memoria degli italiani per i …

Queste sono storie italianissime. Perché è parlando la nostra lingua che si sono unite come coriandoli in un punto convenuto. E perché raccontano la memoria degli italiani per i fatti della loro terra. Ho fatto un piccolo esperimento. Chi si fa sentire nei dolorosi anniversari civili di cui questo paese è ricolmo (mafia, terrorismo, stragi…), chi cerca i parenti delle vittime per dir loro “io ricordo”, “io ci sono”? Naturalmente conoscere e avere pianto i fatti non significa averne memoria urgente giusto in quel giorno, ognuno ha le sue preoccupazioni. Però è utile lo stesso vedere che cosa accade.

Per esempio il 3 settembre: strage di via Carini a Palermo, trentatré anni fa, ormai un terzo di secolo. Un prefetto antimafia, la sua seconda moglie, un giovane e coraggioso poliziotto di scorta. Prima notizia. Sono centinaia e centinaia, migliaia, i messaggi che arrivano, tra incontri personali alle commemorazioni, telefonate, sms, mail e interventi via facebook. Dal giorno prima, dalla sera prima. Non è il 25 aprile, non è una data nazionale. Eppure sono tanti, in frenesia. Il paese sono 60 milioni di persone, certo, ma questi grappoli di nomi sono ugualmente tanti. Chi glielo fa fare?, ti domandi. Come fanno a pensarci trentatré anni dopo, tra lavoro, famiglia, vacanze o dolori personali? Ci sono molti familiari di vittime, seconda notizia; perché la storia di questo paese ne ha ormai prodotto una vastissima, speciale comunità. Diventati parlamentari, alti funzionari, direttori di giornali, ma molti tuttora sconosciuti o dimenticati, per quanto terribili siano le loro storie. Che si conoscono, si cercano, diventano amici, costruiscono solidarietà di granito. Ecco, non sempre la comunità che si materializza in queste occasioni è la stessa delle oleografie pubbliche.

Poi c’è il vecchio carabiniere, che porta in tasca la foto del “suo” generale e la mostra a tutti. O l’anziano sconosciuto, che ancora ricorda dov’era a quell’ora e si commuove. C’è il giornalista che si occupa di mafia. C’è l’editore con cui hai studiato. Il manager con cui hai lavorato insieme da ragazzo. La consigliera di zona, l’assessore che ti ha invitato per dibattiti al suo paese, l’amministratore della tua città. Tanti insegnanti, tante insegnanti, questa specie maltrattata e vilipesa senza la quale chissà che cosa sarebbe la memoria della nazione tra le nuove generazioni. Che ricordano, loro sì. Mentre alla messa ufficiale a Santa Maria delle Grazie, il luogo in cui si tenne allora un funerale di popolo, i tre nomi sventurati vengono pronunciati come fossero morti in un incidente stradale. Nessuna qualifica, nessuna storia, nessuna parola evangelica essi meritano. Memoria senza memoria.

di Nando Dalla Chiesa

Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato su Il Fatto Quotidiano

segnalato da Laura

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