Referendum, cresce il fronte del “no”. Renzi valuta rischi e spacchetta?

Il fronte del no al referendum sulle riforme costituzionali avanza a lunghe falcate ed è a un passo dal superare i “sì”. I trend di quasi tutti gli …

Il fronte del no al referendum sulle riforme costituzionali avanza a lunghe falcate ed è a un passo dal superare i “sì”.

I trend di quasi tutti gli istituti demoscopici confermano la tendenza dei cittadini italiani a voler mandare a casa questo governo e disfarsi di una riforma di cui, a onor del vero, pochi conoscono nel merito i principi cardine. L’ultimo sondaggio, in ordine di tempo, è quello della società Demos, i cui dati sono analizzati dal politologo Ilvo Diamanti, che accusa il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, di aver compiuto un errore madornale nel personalizzare il referendum.

La mossa dell’ex sindaco di Firenze ha distolto l’attenzione dagli argomenti contenuti nel disegno di legge costituzionale, di fatto bloccando la partita su di un solo risultato possibile: vittoria e legittimazione a continuare l’azione di governo, o sconfitta e uscita mesta di scena. La partita, però, sarebbe potuta essere giocata in maniera diversa, magari con la chiave dell’antipolitica per la riduzione delle seggiole e conseguenti risparmi per il popolo. Purtroppo, però, il tempo è scaduto: la percezione è che quello di ottobre – ma potrebbe slittare ai primi di novembre – sarà comunque un voto sull’operato di Renzi, Boschi, Alfano e alleati.

Scrive Diamanti che “lo scorso febbraio si esprimeva a favore della riforma una maggioranza molto ampia: 50%. Mentre i contrari erano la metà, 24%. Poco meno di quanti non rispondevano, perché indecisi, oppure perché la materia risultava loro poco comprensibile”, mentre adesso “la prospettiva appare molto più incerta. Il sostegno alla riforma, infatti, è sceso al 37%: 13 punti meno di 4 mesi fa. Mentre l’opposizione è, parallelamente, salita al 30%. Insieme, è cresciuta anche la componente di quanti non si esprimono: 33%”. Per questo la “distanza, a favore del ‘Sì’, dunque, è calata sensibilmente: da 26 a 7 punti. Ma tra coloro che si dicono certi di votare si è ridotta a 3 soli punti. Praticamente: nulla”.

Questi numeri spiegano perché, nel governo, si è attivata la corsa per cambiare rotta alla campagna referendaria. Non passa giorno senza che un esponente dell’Esecutivo, o un pezzo grosso della maggioranza, non tenti infatti, più o meno disperatamente, di riportare il dibattito sui contenuti. Domenica 10 luglio a Imola, durante un incontro alla Festa dell’Unità locale, ci ha provato ancora la “madre” della riforma, la ministra Maria Elena Boschi: “Raccontiamoci cosa c’è in questa riforma. Abbiamo voglia di ricominciare a parlare di questa scelta così importante, perché non basta essere convinti di aver fatto la scelta giusta e aspettare: si rischia di essere travolti dagli altri. Dobbiamo essere protagonisti”.

Per riuscire nel suo intento, il braccio destro di Renzi ha tentato anche la carta della paura, facendo riecheggiare i fantasmi di un altro referendum, quello che il 24 giugno scorso ha decretato di fatto l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. “Il giorno dopo Brexit gli inglesi si rammaricavano – ha detto Boschi – perché non avevano capito come avrebbero cambiato le loro vite. Noi ora abbiamo bisogno di stare tra la gente perché tutti possano essere consapevoli e decidere tutti insieme”.

L’unica cosa certa è che da qui a ottobre (o novembre) sarà una sfida quotidiana e sempre più aspra tra il fronte del sì e quello del no. Senza esclusioni di colpi. L’estate più calda degli ultimi 10 anni della politica italiana sarà decisiva in vista di un autunno che sarà inevitabilmente di fuoco.

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