Afghanistan: i talebani si finanziano col business del marmo. Il governo sa, ma tace

I talebani si finanziano anche grazie al governo afgano. E’ un paradosso che può costare davvero caro, in tutti i sensi, al potere esecutivo del Paese, che ha deciso di …

I talebani si finanziano anche grazie al governo afgano. E’ un paradosso che può costare davvero caro, in tutti i sensi, al potere esecutivo del Paese, che ha deciso di estrarre il marmo, una delle materie prime presenti sul territorio più redditizie, non avvalendosi di società in proprio, quelle che in Italia sarebbero delle partecipate, ma affidandosi a ditte private che a loro volta sono costrette a pagare tasse salatissime ai gruppi talebani, che controllano zone molto ricche della preziosa roccia, come la provincia di Helmand, chiedendo anche lauti diritti di estrazione.

In poche parole, il governo paga ditte per estrarre marmo che poi versano le loro tasse ai gruppi ritenuti fuorilegge dallo stesso governo. Secondo le ultime stime delle Nazioni Unite, solo nel 2014 i talebani hanno intascato una cifra record di circa 15 milioni di dollari (10 milioni di euro) nella sola provincia di Helmand. Si parla di introiti che oggi oscillano tra i 50.000 e i 60.000 dollari al giorno, 18 milioni di dollari all’anno.

La Usaid, l’agenzia governativa americana che si occupa dello sviluppo degli investimenti in Afghanistan, stima in 500 milioni di euro il potenziale delle esportazioni di marmo, mentre l’Onu ha calcolato che le riserve hanno un importo compreso tra i 100 e i 140 miliardi di euro. Un business che ovviamente a gruppi come i talebani fa gola e dunque vogliono difendere con le unghie e con i denti, ma soprattutto sono pronti a difenderlo con la violenza, anche a costo di creare una nuova, ennesima scia di sangue innocente.

Perché oltre a riscuotere le gabelle, i taliban commerciano illegalmente per proprio conto. Le Nazioni Unite hanno individuato le vie dove viene contrabbandato il marmo, che sono le stesse utilizzate per far circolare illegalmente armi e droga. Dalle miniere nelle desolate province di Khanashin e Dishu, si snoda attraverso Badamchar, rifugio di contrabbandieri descritto dalla Nato come “una zona di comando e di controllo dei talebani”, con depositi di munizioni, fabbriche di bombe e campi di addestramento di combattenti stranieri. Questo percorso è una spina dorsale della rivolta, che il governo e i suoi sostenitori internazionali non hanno mai rotto. Ma ora la comunità internazionale chiede al governo afghano di intervenire, e di farlo subito, con decisione e in maniera quanto più definitiva è possibile.

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