Tom Clancy: The Division, è la fine del mondo

Un virus letale viene diffuso attraverso le banconote durante il Black Friday: prima la malattia, poi la caduta dei governi e l’anarchia. Solo la Divisione può salvare la …

Un virus letale viene diffuso attraverso le banconote durante il Black Friday: prima la malattia, poi la caduta dei governi e l’anarchia. Solo la Divisione può salvare la società.

Ormai è noto, tutti i videogame associati al nome di Tom Clancy, l’esperto di tematiche militari, scrittore di romanzi di fantapolitica e di Best Seller come “La grande fuga dell’Ottobre Rosso”, sono dei piccoli capolavori. Questa volta però, Ubisoft si è superata lanciando su Pc Xbox One e PlayStation 4 non un “semplice” sparatutto, ma un vero e proprio shooter-MMO in terza persona (gioco massivo multiplayer online ndr.), dove per vincere bisognerà unire le forze con gli altri giocatori. Alla stregua di molti altri titoli che hanno tratto ispirazione dagli scritti dell’autore, la trama che sta alla base di The Division è davvero molto intrigante, nonostante utilizzi uno scenario piuttosto inflazionato negli ultimi anni, ovvero quello catastrofistico/epidemico. Ma veniamo alla storia: un non meglio identificato gruppo terroristico decide di sfruttare l’enorme circolazione di banconote che avviene ogni anno negli Stati Uniti in concomitanza con il Black Friday (l’ultimo venerdì di novembre, durante il quale prodotti di consumo vengono venduti a prezzo fortemente scontato) per infettare una partita di esse con una versione potenziata del vaiolo. Tale meccanismo innescherà una situazione di estremo pericolo che sfocerà in morte, distruzione e caos in tutto il mondo.

Ma non tutto è perduto, infatti, pensata proprio per situazioni simili dal governo americano, ad entrare in gioco c’è una task force segreta, alle dirette dipendenze del Presidente degli Stati Uniti, composta di agenti “dormienti” altamente addestrati  e pronti a tutto per riportare l’ordine: la Divisione. Il giocatore vedrà all’inizio dell’avventura il suo orologio speciale illuminarsi, tale segnale è il richiamo segreto che gli agenti hanno per entrare in azione. Una volta raggiunta Brooklyn, il protagonista dovrà scendere in campo e sporcarsi le mani, visto che l’isola di Manhattan, dove si svolgeranno le missioni della trama, è sprofondata nell’anarchia, con bande armate che saccheggiano, uccidono, stuprano e mettono a ferro e fuoco la città. In questo scenario apocalittico, a catturare il giocatore ci è una ricostruzione eccelsa della Grande Mela: ricoperta da una coltre di neve, macchiata dal sangue degli innocenti, con palazzi in quarantena, ricoperta da cumuli di rifiuti, popolata di veicoli abbandonati e barricate di fortuna. Laa New York ricreata dai ragazzi di Massive Entertainment è magnifica, credibile, crudele e rappresenta una delle ambientazioni più affascinanti viste sull’attuale generazione di console e su Pc.

Ma veniamo adesso alla giocabilità vera e propria. Nello scenario sopra dipinto, quando si scende in strada e si mette mano alle bocche da fuoco, The Division tira fuori gli artigli miscelando con grande cura alcuni fra gli elementi migliori di alcune saghe recenti esaltandole e riuscendo a dar loro una connotazione personale. Tutto questo lavoro ha creato una ricetta davvero unica nel suo genere, che funziona a meraviglia, sebbene non sia esente da alcuni piccoli difetti. Giocando a The Division è impossibile non ricordare alcune meccaniche già viste in passato: Mass Effect 3 (per l’incrocio tra dinamiche da gioco di ruolo e sparatutto in terza persona), Destiny (per la sovrastruttura da MMO e il mondo persistente) e Borderlands (per il loot e delle statistiche).

Tutto questo però non è un male, ma anzi rispecchia in maniera genuina le promesse fatte da Ubisoft negli ultimi mesi: il prodotto sviluppato da Massive Entertainment è un gdr solidissimo che sostituisce alla consuete dinamiche a turni dei combattimenti, sparatorie in tempo reale in uno scenario fantastico e incredibilmente realistico sia per grafica che per contesto. Nei combattimenti a fare la differenza, però, non è tanto la precisione balistica del giocatore ma il “loadout” del protagonista, ovvero la scelta delle armi (suddivise per colore in base alla rarità ndr.), delle loro modifiche e le statistiche che si è scelto di potenziare. Tutto questo poi è reso ancora più interessante grazie a un gran numero di abilità attive e passive sbloccabili ottenibili ampliando la base strategica all’interno di Manhattan e aumentando di grado. Se, a prima vista, il gioco non differisce poi molto da qualsiasi sparatutto in terza persona a base di coperture, scavando più a fondo le differenze sono molteplici ed evidenti: prima fra tutte è l’energia dei nemici, questi infatti assorbono un numero esorbitante di proiettili prima di soccombere, perché il sistema che gestisce i danni è governato dalle statistiche di attacco e difesa, alla maniera di un gioco di ruolo e non di uno sparatutto.

Come in Borderlands le armi sono divise per colori e per statistiche, richiedono un livello minimo per essere equipaggiate e sono modificabili dal giocatore, che può aggiungervi mirini, calci, caricatori, perfino mimetiche personalo. Per quanto riguarda la propria uniforme, insieme ai sei diversi pezzi di armatura indossabili, sarà possibile indossare vestiti e corazzature che si troveranno esplorando Manhattan e uccidendo i nemici. Parlando di personalizzazione, il livello raggiunto da The Division è davvero altissimo ad eccezione dell’editor iniziale, un pochino troppo povero. Ma per quanto riguarda il resto, il giocatore ha a disposizione migliaia di possibili combinazioni, che vanno a sostituite le build nel senso più classico del termine, visto che non c’è una suddivisione in classi. Se si entra nel loop in cui ci si affanna per andare alla ricerca delle armi più rare, anche a costo di ripetere ossessivamente le stesse missioni per decine di volte, The Division può sforare senza troppe difficoltà la barriera delle diverse centinaia di ore di gioco, tra single e multiplayer.

Pur essendo evidentemente pensato per la cooperativa, con un matchmacking rapido fino a quattro giocatori contemporaneamente il prodotto firmato da Massive Entertainment riesce a divertire anche da soli,  tra missioni principali (una quindicina), missioni secondarie, incontri e istanze casuali. Se però si volesse giocare le missioni a un livello di difficoltà maggiore, l’unico modo di trionfare e quindi di ricevere ricompense davvero molto buone è quello di cooperare con le altre persone che popolano i server o con i propri amici. Alla luce di questo, e di elementi come la pulizia del codice, la genuinità dell’infrastruttura di rete che ha retto in maniera erculea all’assalto dei primi giorni, non si può non applaudire a Ubisoft che ha saputo dimostrare di aver fatto tesoro degli errori commessi con il multiplayer di Assassin’s Creed Unity e di essersi rimboccata le maniche.

Per quanto riguarda la crescita del proprio alter ego virtuale, i potenziamenti della base saranno legati ai tre rami delle abilità: medico, ingegnerre e difensore, cosa che costringerà i giocatori a prediligere alcune missioni rispetto ad altre nel caso in cui ci si voglia specializzare velocemente in uno dei ruoli. Quindi le abilità, i talenti e i vantaggi verranno introdotti in questo modo, non saranno date salendo di livello. La ristrutturazione dell’edificio base, inoltre, arricchirà il quartier generale stesso, progressivamente, di nuove funzioni come un mercante della Zona Nera, uno al quale dare i crediti Phoenix, un tavolo nel quale respeccare le armi o delle casse dalle quali ottenere ogni giorno materiali aggiuntivi per il crafting. Le abilità da selezionare sono al momento solo nove, più le tre Special, ma queste possono essere a loro volta modificate per ottenere un effetto specifico. La combinazione tra le tre abilità selezionate e i quattro talenti che è possibile equipaggiare, infatti, garantirà anche in questo caso una grande varietà e tante possibilità per modificare pesantemente il proprio stile di gioco.

Detto questo è arrivato il momento di parlare della tanto citata, quanto temuta Zona Nera.  Al centro della mappa e dell’esperienza finale di The Division, c’è infatti quest’area dedicata esclusivamente ad attività multiplayer. In termini narrativi, si tratta dell’area di New York all’interno della quale le autorità avevano inizialmente confinato la maggior parte degli infetti, per poi abbandonarla a sé stessa nel momento in cui la situazione è diventata ingestibile. L’intera zona è accessibile sin dai primi livelli del proprio personaggio, durante i quali bisogna però fare attenzione all’area raggiunta. Il livello dei nemici controllati dalla CPU varia infatti a seconda di quest’ultima: si passa così dalla ZN1, consigliata fino al livello 12, alla ZN6, adatta invece solo a chi ha quasi raggiunto il livello 30.

Una volta arrivati al cap, l’intera Zona Nera si riadatterà al raggiungimento dell’obiettivo, proponendo al giocatore sfide appropriate in tutte le sue aree. Quest’area è anche l’unica dove è possibile godere delle dinamiche PvP: nei panni degli agenti rinnegati, i giocatori possono uccidere i loro colleghi ottenendo bonus particolari, ma guadagnando uno status di ricercato che ne segnala la presenza sulla mappa a tutti coloro che invece lavorano in co-op. Nonostante nella Zona Nera non esistano missioni ma ci siano solo scontri nati “per caso”, l’esperienza di gioco è davvero intrigante, almeno nel breve periodo. Per mantenere vivo l’interesse col passare del tempo, Ubisoft dovrà però necessariamente pianificare qualcosa che vada oltre il recupero di oggetti da casse chiuse e scontri casuali tra giocatori. Purtroppo però The Division non è il gioco perfetto, infatti nonostante l’esplorazione dell’enorme mappa di gioco porti in dote collezionabili ed armi rare sparse un po’ ovunque, e nonostante  tutti i pregi sopra elencati e la gran dose di divertimento che si prova nelle prime ore, una volta raggiunto il level cap al grado 30, la curva di interesse si abbassa perché le cose da fare subiscono un calo notevole. Come accaduto anche con Destiny, la ripetitività è infatti il maggior nemico della produzione targata Ubisoft.

Esattamente come già successo al succitato titolo Bungie, se la struttura a missioni si rivela assai soddisfacente sul breve periodo, già all’alba della ventina di ore di gioco chi sta dinanzi lo schermo comincia ad accusare una generale sensazione di mancanza di varietà non solo negli obiettivi da portare a termine, ma anche nelle tipologie di nemici da affrontare, nelle aree in cui avvengono gli scontri a fuoco. Così, missione dopo missione, scema l’entusiasmo, delegando alla sola Zona Nera, l’area competitiva/cooperativa sita al centro della mappa, un minimo di varietà rispetto alla formula solita: sebbene questo sia un difetto soggettivo, il suo peso non è trascurabile per quanti decideranno di acquistare il titolo. Fortunatamente però, a differenza di quanto visto con Destiny, gli sviluppatori sono già pronti con un piano per rimpolpare spesso le attività di gioco con contenuti gratuiti e altri a pagamento. Ad esempio il primo raid, ovvero una missione lunga e difficilissima, tipica di questo genere di giochi e che chiede la cooperazione di più giocatori, è attesa a breve e a costo zero.

Parlando dell’aspetto grafico tecnico, The Division è assolutamente un videogioco con gli attributi. Tutti gli ambienti esterni sono ricreati con un dettaglio spesso maniacale e con un’eccezionale varietà degli scenari. Gli effetti di luce, il particellare, le condizioni meteorologiche e il ciclo giorno/notte contribuiscono poi a rendere Manhattan veramente molto credibile e stimolante da esplorare. Stonano tuttavia gli interni che, al di fuori di quelli utilizzati per le missioni principali, sono tutti particolarmente scarni, poveri di dettagli e troppo simili fra loro. Ottimi invece i modelli dei personaggi, le animazioni e più in generale la realizzazione di tutto l’equipaggiamento. Per quanto riguarda il comparto audio, Ubisoft ha inserito un doppiaggio in lingua Italiana devvero impeccabile e una colonna sonora devvero da brivido. Buono anche tutto ciò che riguarda la riproduzione degli effetti delle armi, delle esplosioni e degli ambienti circostanti. Tirando le somme, questo Tom Clancy’s The Division ci ha davvero convinti. Nonostante il rischio di ripetitività, tipico di tutti gli MMO, il gioco di Ubisoft ha una grandissima carica di coinvolgimento. Il piacere poi di giocare sempre con gli amici e di sentirsi una squadra aumenta lo cherme complessivo della produzione rendendola una fra le migliori attualmente in circolazione. A nostro giudizio lasciarselo scappare sarebbe un vero errore.

GIUDIZIO GLOBALE:

GRAFICA: 9,5

SONORO: 9,5

GAMEPLAY: 9,5

LONGEVITA’: 9

VOTO FINALE: 9,5

di Francesco Pellegrino Lise

Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Il Tempo, che ringraziamo

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Segnata in rosso sul calendario di molti videogiocatori, la data dello scorso otto marzo ha portato in dote su PC, PS4 e Xbox One Tom Clancy’s The Division, peculiare incrocio tra un MMO, un gioco di ruolo e uno sparatutto in terza persona, sviluppato da Massive Entertainment e prodotto da Ubisoft: dopo aver speso decine di ore nella New York ferita e imbruttita dagli avvenimenti raccontati nell’incipit del gioco, siamo pronti a raccontarvi come ci si sente ad imbracciare la propria arma ed avventurarsi per le strade della Grande Mela.
Come ci si sente, insomma, ad essere uno dei membri della Divisione: pensate di averne la stoffa?

Who you gonna call?
Se dalle mura spuntano fantasmi arrabbiati, o la città è distrutta da una specie di omino Michelin con un cappello da marinaio, vi conviene chiamare i Ghostbusters (quelli veri, non le controparti femminili viste nel recente trailer, per carità!), ma se il problema è un’improvvisa e virulenta epidemia di vaiolo, allora il numero da comporre è quello della Divisione: una squadra di soldati elite, alle dirette dipendenze del Presidente degli Stati Uniti, che vive una vita normale, svolgendo lavori comuni come tutti gli altri comuni mortali.
Quando, però, un gruppo non meglio identificato di terroristi non trova di meglio da fare che infettare una partita di dollari con una versione potenziata del vaiolo, diffondendo poi le banconote in concomitanza con il Black Friday, l’apoteosi del consumismo occidentale, questi soldati emergono dall’ombra, svestono i panni dei dottori, dei costruttori, degli operai e vestono quelli dell’ultima speranza per riportare ordine in mezzo al caos.
L’incipit di The Division è di quelli che accalappiano subito l’attenzione, sebbene lo scenario epidemico vada molto in voga negli ultimi anni: peccato, allora, che, dopo un inizio così promettente e con un’ambientazione incredibilmente evocativa alle spalle, l’arco narrativo del titolo si riveli abbastanza scontato, con dialoghi poco significativi e nessun colpo di scena davvero inaspettato.
Se la fantasia di un autore di grande spessore come Tom Clancy dona alla premessa e alle primissime ore di gioco un fascino che solamente un’opera tratta da un libro potrebbe avere, sul lungo periodo il gameplay prende il sopravvento, cosa che, in sé, non sarebbe un problema, se non fosse che le motivazioni dietro le azioni del giocatore e i personaggi che si alternano su schermo scoloriscono di ora in ora, lasciando spazio alle sparatorie senza reclamare spazio, senza mai regalare un guizzo.
Non che in ambito MMO si sia visto troppo di meglio, in verità, ma quando ci si prende la briga di ricreare una città in maniera tanto brillante, è quasi un delitto non accompagnare ad essa una storia godibile ed articolata.
Sì, perché la New York in cui saremo chiamati a muoverci è incredibile: divisa tra gli addobbi natalizi e la neve sporca di sangue, cartelloni pubblicitari abnormi e barricate improvvisate, bossoli sparsi per le strade e cadaveri abbandonati alle intemperie, la Grande Mela ricreata da Massive Entertainment si candida prepotentemente al ruolo di ambientazione più affascinante di questi primi anni dell’attuale generazione di console.
Il consiglio è di approfittare della (relativa) calma tra una missione e l’altra per scoprirne gli interni, esplorarne i parchi, controllarne i tetti: con la complicità del ciclo giorno/notte e del meteo dinamico, vi sembrerà davvero di essere in visita a Manhattan.

Gioco di ruolo con le pistole
La definizione del titolo, che spesso abbiamo sentito accostare ai recenti episodi della saga di Fallout, si adatta perfettamente a definire The Division, anche se non esaurisce gli elementi che ne compongono il gameplay: Ubisoft aveva promesso un gioco di ruolo, e ha mantenuto la parola.
Sebbene si giochi come uno sparatutto in terza persona fortemente basato sulle coperture, il prodotto Massive Entertainment è prima di tutto un GDR, governato da numeri, statistiche, crescite di livello e modificatori di varia natura: per questo motivo, sulla falsariga di quanto visto in Destiny, i nemici si rivelano delle vere e proprio spugne di proiettili, capaci di assorbire centinaia di punti danno prima di capitolare.
Gli oltranzisti degli headshot, quindi, siano avvisati: giocare a The Division pensando di sparare e basta, senza spendere del tempo tra gli efficienti menu di gioco a customizzare il proprio arsenale, aggiungendo mod alle bocche da fuoco e attivando talenti ed abilità, farebbe meglio a rivolgersi altrove: la personalizzazione, il micromanagement, la ricerca affannosa del loot più pregiato sono elementi essenziali dell’impalcatura messa in piedi da Massive, e non possono essere bypassati giocando.
Le sparatorie, dal canto loro, ricalcano quanto visto altrove, con un ruolo fondamentale rivestito dalle coperture, tempi di ricarica delle abilità attive in stile MMO e un buon feedback delle armi in seguito ai colpi inferti, ma anche, purtroppo, una costante sensazione di stare giocando con ammennicoli troppo simili tra loro.
Soprattutto le armi automatiche, infatti, non sono sufficientemente caratterizzate, assomigliandosi tutte un po’ troppo, e finiscono con il togliere un po’ di gusto alla fase di loot, molla fondamentale per la progressione in prodotti di questo tipo.
Analogamente, il fatto che le missioni si risolvano tutte con sparatorie contro un gran numero di nemici, con ondate che convergono sul campo di battaglia e un immancabile boss a concluderle, non giova alla varietà e al ritmo dell’offerta ludica, che, pur tremendamente solida, tende alla ripetitività già dopo una decina di ore.
Considerando che, a differenza del già citato prodotto Bungie, i contenuti in The Division non mancano (nemmeno per i lupi solitari, a dire il vero), e che, quindi, saranno necessarie almeno una ventina di ore per completare la campagna principale e una manciata di quest secondarie, ecco che lo spettro della ripetitività assume contorni più definiti.
Discorso analogo anche per i nemici: le quattro diverse gang che si spartiscono il devastato territorio di Manhattan sono sufficientemente differenziate tra loro in quanto a loadout e pericolosità, ma sono tutte mosse dalle stesse routine di intelligenza artificiale ed impiegano, quindi, le medesime tattiche di accerchiamento per tentare di accoppare il giocatore.
Come Diablo e Borderlands ci insegnano, comunque, per certe categorie di giochi (e grazie alla promessa di oggetti sempre migliori) la ripetitività è connaturata all’esperienza di gioco e rovina solo in parte il divertimento: fortunatamente, è questo il caso della produzione Ubisoft, anche grazie alle varianti garantite da una squadra affiatata di quattro giocatori.

Confortante solidità
Frastornata dalle sterili polemiche che seguirono il presunto downgrade rispetto al trailer d’annuncio, la community videoludica avrebbe potuto avere qualche dubbio riguardo al comparto tecnico della produzione Ubisoft, che, invece, si dimostra quantomai solida e capace di riservare scorci mozzafiato di una New York sanguinante.
Il motore di gioco, lo Snowdrop Engine, gestisce con grande naturalezza non solo l’imponente mole poligonale del titolo ma anche il framerate, ancorato ai trenta frame per secondo su Xbox One, la versione su cui è stato effettuato il test.
Il ciclo giorno/notte impreziosisce l’avanzamento, così come il meteo dinamico, ed entrambi possono influenzare anche significativamente le sparatorie: distinguere un nemico durante una tempesta di neve è impresa ardua, tanto quanto farlo di notte in una zona poco illuminata: insieme ad una direzione artistica ispiratissima, piccoli particolari come questi contribuiscono grandemente ad immergere il giocatore nel mondo immaginato dal team di sviluppo, con ovvie ripercussioni sulla qualità dell’esperienza di gioco.
Qualche magagna c’è, nella fattispecie il caricamento ritardato delle texture superficiali dopo viaggi rapidi e cutscene e la scarsa distruttibilità delle ambientazioni, piuttosto pigre nel reagire alle sollecitazioni derivanti da una sventagliata di mitra o da una granata incendiaria, ma, nel complesso, parliamo di un titolo bello da vedere e dalle prestazioni solide.
Il discorso riguarda anche la stabilità del netcode e la rapidità del matchmaking, che assicurano la quasi totale assenza di lag e l’estrema semplicità, per i giocatori, nel connettersi e godersi una partita cooperativa nel giro di una manciata di secondi, indipendentemente dalla provenienza geografica dei giocatori coinvolti.
Degno di nota anche il doppiaggio, con qualche grande firma che si accompagna a voci magari meno note ma ugualmente azzeccate, per tonalità ed intensità recitativa.
L’augurio, quindi, è che Ubisoft e Massive supportino la loro creatura non solo per il primo anno di vita (come già confermato) ma anche oltre, per farne un punto di riferimento dello shooting multigiocatore tanto su console quanto su PC.

di Gianluca Arena

Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da www.spaziogames.it, che ringraziamo

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