Fbi sblocca (finalmente) l’iPhone del terrorista islamico. Finita la farsa Apple

L’intervento di una “terza parte” la cui identità non è stata rivelata ha permesso di accedere ai dati contenuti nello smartphone. La Corte federale californiana ritira l’ingiunzione contro …

L’intervento di una “terza parte” la cui identità non è stata rivelata ha permesso di accedere ai dati contenuti nello smartphone. La Corte federale californiana ritira l’ingiunzione contro Cupertino.

L’Fbi ha trovato un modo di ‘entrare’ nel cellulare dell’attentatore di San Bernardino senza l’aiuto della Apple. Non è chiaro quale sia il metodo individuato dagli agenti federali, ma ciò consente al Dipartimento della Giustizia Usa di non procedere con una azione legale nei confronti della Apple per avere accesso alle informazioni contenute nel cellulare, considerate indispensabili per l’inchiesta.

La casa di Cupertino si era sin dall’inizio detta contraria ad intervenire per ragioni di privacy, pronta ad affrontare una serie di processi, fino alla Corte Suprema.

Lo sblocco dello smartphone usato dai killer che uccisero 12 persone in un centro di assistenza per disabili è stato possibile grazie “al recente aiuto di una terza figura”, la cui identità non à stata divulgata, ha spiegato il procuratore federale della California centrale Eileen Decker, che ha di conseguenza chiesto alla Corte federale di annullare l’ingiunzione contro Apple per procedere alla decrittazione dei dati contenuti nell’iPhone.

E’ un altro colpo di scena, forse il più clamoroso, nel braccio di ferro che oppone il governo degli Stati Uniti ad Apple, riguardo alla privacy degli iPhone e le indagini su attentati terroristici o altri crimini. Il caso più scottante era proprio quello che riguardava l’iPhone usato dai due terroristi che fecero la strage di San Bernardino, in California, nel dicembre scorso. Già nei giorni scorsi, alla vigilia di un’udienza in un tribunale della California, in cui il dipartimento di Giustizia doveva appoggiare la richiesta dell’Fbi – cioè l’ingiunzione ad Apple di fornire una chiave o “porta d’accesso” per superare le difese del codice crittato dell’iPhone – improvvisamente lo stesso dipartimento aveva chiesto di cancellare l’udienza. Clamorosa era stata la spiegazione dietro la richiesta, accolta dal giudice. Il dipartimento di Giustizia, che ha alle sue dipendenze anche l’Fbi in quanto polizia giudiziaria, avrebbe trovato “un modo di entrare nell’iPhone di Syed Farook”, l’autore della strage di San Bernardino. Senza bisogno di aiuti da parte dei tecnici Apple.

L’impossibile è dunque diventato realtà? Per mesi lo scontro tra l’amministrazione Obama e il chief executive di Apple, Tim Cook, si era basato su questo presupposto condiviso: gli iPhone di nuova generazione – come quello usato dai terroristi di San Bernardino – sarebbero impenetrabili nella configurazione attuale, senza l’assenso del proprietario. Tra i dispositivi di sicurezza citati c’è l’auto-distruzione dei dati dopo una serie di tentativi falliti di comporre il pin. Perciò gli inquirenti che si occupano della strage di San Bernardino avevano chiesto ad Apple di far scrivere ai suoi ingegneri un nuovo codice software, descritto in parole semplici come una “porta di servizio”, un accesso di emergenza per carpire i dati dell’iPhone dietro mandato del giudice. Cook aveva opposto un categorico rifiuto, minacciando di portare la questione di ricorso in ricorso fino alla Corte suprema. La vicenda aveva spaccato in due il Paese. E adesso il messaggio che arriva dal dipartimento di Giustizia, ribalta tutto: non c’è più bisogno di Apple, gli esperti dell’Fbi avrebbero trovato il modo per fare da soli. Questo non solo rilancia il dibattito sulla privacy, le sue regole e le sue tutele, ma può infliggere un colpo duro all’immagine di Apple. L’unica cosa che fin qui nessuno aveva messo in discussione era proprio la totale impenetrabilità dei prodotti Apple. Quella di Cook era non solo una battaglia di principi etico-giuridici ma anche (forse soprattutto) una battaglia di marketing per affermare di fronte alla sua clientela globale il messaggio “siete sicuri, nessuno può spiarvi, Apple sta dalla vostra parte”. Ora quel messaggio sembra meno credibile. E la notizia era arrivata, come anticipazione, proprio nel giorno della presentazione dei nuovi prodotti Apple, durante la quale Cook era tornato sul tema della sicurezza e sullo scontro con l’Fbi.

La svolta è in un documento consegnato dai legali del dipartimento di Giustizia alla giudice federale Sheri Pym della corte distrettuale della California, dove si cita un “soggetto esterno” (quindi né Apple né Fbi) che avrebbe dimostrato l’esistenza di un modo per sbloccare l’accesso all’iPhone di Syed Farook. “Dobbiamo eseguire dei test – si leggeva nel documento presentato al giudice dal governo – e se si dimostrerà la sua efficacia non avremo più bisogno dell’assistenza di Apple”. Il dipartimento di Giustizia aveva promesso aggiornamenti sull’esperimento entro il 5 aprile, ma la risposta, evidentemente, è arrivata molto prima.

Da parte sua, Apple aveva fatto sapere tramite uno dei suoi legali di non essere a conoscenza delle tecniche che l’Fbi intendeva usare per lo sblocco dell’iPhone e di non sapere quale soluzione avesse trovato il governo. Al contempo, l’azienda di Cupertino si aspettava che se le indagini avessero proseguito su questa strada, le autorità avrebbero condiviso le informazioni sulle criticità dell’iPhone.

Soltanto qualche giorno fa Edward Snowden aveva dichiarato che l’Fbi non aveva bisogno dei tecnici di Apple per sbloccare l’iPhone di Syed Farook. L’ex analista della National Security Agency americana – autore della clamorosa rivelazione del programma di sorveglianza elettronica segreta messa a punto dall’agenzia governativa ai danni dei cittadini Usa e del resto del mondo – aveva anche indicato il possibile metodo da utilizzare.

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