Più di Russia e Cina, è la Germania il vero problema dell’Occidente

L'ex potenza europea è in crisi: bollette alle stelle, deindustrializzazione, partiti anti-sistema alle porte. L'attuale recessione di Berlino però non è solo "tecnica", piuttosto il presagio di un terremoto che minaccia di scuotere tutta l'Unione Europea. La pessima Baerbock.

Nella crisi incombente delle democrazie europee, le cose sembrano sempre destinate a crollare, ma poi non succede (quasi) mai. L’ascesa dei sovranisti, ci avvertivano, ci avrebbe disconnettere dalla globalizzazione: gli eredi ideologici di Mussolini in Italia sono però rimasti nel solco euro-atlantista.

In Inghilterra, dopo la Brexit, i Tory si sono incartati. In Francia, Marie Le Pen non è ancora riuscita a conquistare l’Eliseo. Dalla Spagna dove i neofranchisti sono fuori dal governo alla Polonia dove e i cattolici reazionari hanno appena perso le elezioni, la rivolta delle destre sembra, per ora, poca roba. Eppure, nel cuore d’Europa sta prendendo forma una tempesta perfetta. Succede nella sua ex potenza egemone, la Germania.

L’invasione russa dell’Ucraina ha infranto la tradizionale riluttanza della politica tedesca nei confronti delle alleanze militari e del riarmo, e introdotto un concetto del tutto nuovo per diverse generazioni di tedeschi: quello di una “guerra giusta”. Dopo le esitazioni iniziali nel sostenere Kyiv e disconnettersi dal gas russo, oggi non c’è capitale europea più inflessibile, nella retorica contro Mosca, di Berlino.

Spartiacque, l’atto di guerra e di eco-terrorismo del Nord Stream

Per giungere a questa svolta la Germania ha dovuto, però, chiudere un occhio su un evento di una gravità inaudita: il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, una sua infrastruttura strategica. Nonostante diverse inchieste indichino negli ucraini i responsabili di quello che si può definire come un atto di guerra e di eco-terrorismo, il governo tedesco ha continuato, senza colpo ferire, a sostenere massicciamente il Paese da cui sembrerebbe essere provenuto l’attacco. Tutto bene, comunque, se non fosse che le svolte geopolitiche hanno bisogno di un contesto economico favorevole, per trovare consenso.

E invece, gli sviluppi recenti nei mercati energetici hanno spinto i prezzi all’ingrosso dell’energia europea a livelli senza precedenti nel 2022, creando un’enorme differenza di prezzi tra l’Europa e altre regioni. E in nessuna nazione dell’Unione la paura di una calo drastico della produzione industriale è più forte che in Germania, dove il settore manifatturiero costituisce oltre il 20% del Pil, e dove il basso costo dell’energia è stato uno storico volano dell’export.

Aziende in bancarotta e aiuti di stato

Confrontate con un mix letale di elevati costi energetici, carenza di manodopera – causa l’invecchiamento della popolazione e l’ostilità di parte importante dell’opinione pubblica per la forza lavoro straniera – e una moltitudine di ostacoli burocratici, molte delle più grandi aziende tedesche – dai giganti come Volkswagen e Siemens a una serie di aziende meno conosciute e più piccole – stanno finendo in bancarotta. E minacciano, in caso di mancati aiuti da parte dello Stato, di cercare terreni più fertili in Nord America e Asia.

Disconnettersi completamente da Russia e Cina, come gli Stati Uniti e altri attori occidentali suggeriscono, per la Germania non è dunque una soluzione indolore. La trasformazione verde, la cosiddetta Energiewende, non rende facili i propositi dei progressisti. Proprio mentre stava perdendo l’accesso al gas russo, la Germania ha spento tutti i reattori nucleari. E anche dopo quasi un quarto di secolo di sovvenzionamento all’espansione delle energie rinnovabili, la Germania non dispone ancora di abbastanza pale eoliche e pannelli solari per soddisfare la domanda, lasciando ai tedeschi una bolletta elettrica tre volte più alta della media internazionale.

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La pessima Annalena Baerbock

Non è un caso che il partito Grüne-Verdi, quello di Annalena Baerbock, la combattiva e poco diplomatica ministra degli Esteri di Berlino che ha chiamato il leader cinese Xi Jinping “un dittatore”, nonostante il Dragone resti per il settimo anno consecutivo il principale partner commerciale della Germania, sta crollando nei sondaggi. La stessa sorte sta capitando ai socialdemocratici.

L’attuale recessione di Berlino, insomma, non è solo “tecnica”, come spera la politica, ma piuttosto il presagio di un terremoto che minaccia di scuotere il Vecchio continente, iniettando ancora più agitazione in un paesaggio politico già polarizzato.

La sfida degli estremi

Dal declino dei partiti tradizionali è emerso Alternativa per la Germania (Afd), un partito di destra radicale con un seguito composto sia da elettori populisti filorussi che liberisti di stampo neonazista: una sorta di versione tedesca del trumpismo. Aprendo a temi che a lungo sono rimasti indicibili è arrivato al secondo posto nei sondaggi, a livello nazionale, superando il 20% e avvicinandosi al principale partito di centro-destra, l’Unione Cristiano-Democratica, che ora si trova nell’opposizione.

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La cosiddetta “barriera antincendio”, una regola non scritta nella politica tedesca che impedisce di formare coalizioni con Afd, sta iniziando a mostrare delle crepe, e nel caso in cui Afd dovesse conquistare abbastanza voti da presentarsi come un partner indispensabile nella formazione delle coalizioni, questa barriera rischia di crollare.

Fermare la marea nera?

Una cosa su cui sembrano essere d’accordo i partiti di governo è che l’ansia legata all’immigrazione sta crescendo, e così il cancelliere Olaf Scholz ha annunciato di voler “deportare su larga scala coloro che non hanno il diritto di rimanere in Germania”. Normalizzando, così, sempre di più il principale messaggio della destra.

Nel frattempo, vedendo la sua connessione con la classe lavoratrice affievolirsi, la sinistra radicale tedesca è attraversata da iniziative intellettuali volte a riconquistare con linguaggi nuovi il voto populista finito a destra. Il progetto più visibile è di gran lunga quello della socialista Sahra Wagenknecht, che mercoledì 25 ottobre ha annunciato l’addio definitivo alla sinistra di Die Linke e la creazione di un partito tutto suo, previsto per il 2024.

Contro la sinistra neoliberale

Wagenknecht ha un obiettivo primario: lottare senza quartiere contro il ceto medio riflessivo, in modo di rifondare il patto sociale sulla base di valori ampiamente condivisi anche dalla destra. Lo spiega nel suo saggio Contro la sinistra neoliberale, pubblicato in italiano da Fazi, casa editrice che nel 2018, in pieno boom Cinque stelle, aveva offerto ad Alessandro Di Battista una collana tutta sua. Per conquistare gli sconfitti bisogna farlo con una piattaforma conservatrice nella cultura e moderatamente socialdemocratica in economia, scrive la nostalgica di Jena, 54 anni. Lo fa scagliandosi, da una prospettiva sovranista anziché suprematista, contro l’immigrazione incontrollata, gli intellettuali cosmopoliti e il politicamente corretto.

Definita da Frankfurter Allemeine “antiavanguardia operaia”, Wagenknecht rifiuta dunque l’agenda del ceto accademico di sinistra e si rivolge ai disillusi dalla politica mainstream. Ma si tratta di un populismo radicalmente diverso da quello di un Bernie Sanders o di un Jeremy Corbyn. Un populismo personalistico, e tutto in negativo: Wagenknecht ci tiene a far sapere cosa “non è”. Non è di sinistra. È in prima fila, sul suo canale YouTube, contro i vaccini e gli obblighi vaccinali. È contraria alle riforme ecologiste, dicendo che danneggiano gli strati sociali più deboli. Sposa una linea di neutralità assoluta nella guerra d’Ucraina, con una marcata pendenza pro-Mosca. Alle prossime elezioni, avrà gioco facile a rinfacciare alla coalizione di Scholz la vicenda Nord Stream e il blocco russo delle forniture di gas naturale alla Germania, che ha rimosso effettivamente il perno del modello economico tedesco.

Un modello “rossobruno” per l’Europa

Il nuovo partito di Wagenknecht dovrebbe correre alle elezioni europee, così come alle cruciali elezioni dei Laender orientali Sassonia, Turingia, Brandeburgo il prossimo settembre. Secondo una nuova rilevazione di Bild, potrebbe addirittura puntare al 12% su scala nazionale, rubando voti un po’ a tutti, ma soprattutto all’ultradestra. Ed è proprio ad Afd, più che gli istruiti progressisti, che Wagenknecht spera di erodere il consenso.

Se l’effetto novità reggerà nei prossimi mesi, potrebbe un modello per tanta sinistra anti-imperialista e anti-woke senza casa politica in Europa. L’alleanza con Afd, per ora rigettata, potrebbe trovare nel governo giallo-verde italiano un importante precedente. Allargando lo sguardo, il progetto sarà probabilmente benedetto da influencer seguitissimi “al di là di destra e sinistra”, da Glenn Greenwald a Jeffrey Sachs. In caso di successo, anche relativo, molti a sinistra potrebbero convincersi che la speranza risieda in una linea nazional-populista e scaricare quella progressista-movimentista, avallando costruzione di una internazionale rossobruna più durevole. È anche questo un effetto della grande crisi esistenziale tedesca.

Fonte: Wired

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