L’executive order di Trump sui social media è un bluff, zero sostanza

Il presidente ha preso di mira Twitter (su cui ha 80 milioni di follower) Facebook e altre grandi piattaforme, ma non nessun potere reale su come farle funzionare.

(WSC) NEW YORK – Ieri pomeriggio Trump ha firmato un ordine esecutivo che ha come obiettivo non solo Twitter ma tutti i social media. Per capire cosa era successo, va letto l’antefatto: Trump vuole chiudere i social.

La Casa Bianca ordinerà alle agenzie federali americane di interrompere la pubblicità sulle piattaforme di social media che discriminano politicamente, e chiederà alla Federal Trade Commission di indagare se i social maltrattano o escludono gli utenti.

Il tema è l’immunità legale

Più significativamente, Trump chiederà alla Federal Communications Commission (FCC) di proporre regolamenti che “chiariscano” il significato della Sezione 230 del Communications Decency Act, la legge federale che offre alle piattaforme Internet un’ampia immunità legale sul modo in cui scelgono di regolamentare o meno il contenuto dei post degli utenti.

È una minaccia, non così velata, di punire Twitter e altre piattaforme social come Facebook e Instagram per presunti pregiudizi contro i conservatori, il che apre a costose controversie. Grottesco è che Trump se la prenda con Twitter, piattaforma che per anni gli ha lasciato scrivere menzogne, fake news e pesanti insulti diretti a persone e istituzioni,  dove l’attuale rozzo e populista presidente degli Stati Uniti ha 80 milioni di follower.

«Quando iniziano i saccheggi, si spara». Twitter segnala
un altro post di Trump
per incitamento alla violenza

In ogni caso, preferenze politiche a parte, accadrà che la Casa Bianca ordinerà alle agenzie federali americane di “interrompere la pubblicità” sulle piattaforme di social media che discriminano politicamente e chiederà alla Federal Trade Commission di indagare se i social maltrattano gli utenti.

Più significativamente, chiederà alla Federal Communications Commission (FCC) di proporre regolamenti che “chiariscano” il significato della Sezione 230 del Communications Decency Act, la legge federale degli Stati Uniti che offre alle piattaforme Internet un’ampia immunità legale sul modo in cui scelgono di regolamentare o meno il contenuto dei post degli utenti.

È una minaccia, non così velata, di punire Twitter e altre piattaforme social come Facebook e Instagram per presunti pregiudizi contro i conservatori, il che apre a costose controversie in tribunale.

Va chiarita subito una cosa: per motivi legali, quest’ultima parte è una sciocchezza.

La FCC ha poco o nessun potere sulla portata e interpretazione della Sezione 230, perché la legge stessa è estremamente chiara.

Approvata nel 1996, è stata progettata per risolvere un problema che affliggeva i forum nei primi anni di Internet.

Secondo la dottrina legale prevalente all’epoca, un sito non era responsabile per i contenuti pubblicati dai suoi utenti; per motivi legali, si è preferito qualificare un sito come “distributore”, piuttosto che “editore”.

L’imposizione di qualsiasi tipo di moderazione dei contenuti, tuttavia, ha esposto un sito alla responsabilità dell’editore.

Ciò ha creato un forte incentivo per consentire a tutti di non rispettare nemmeno gli standard minimi su contenuti che toccano temi come l’oscenità, il razzismo, la calunnia, l’hate speech.

La sezione 230 ha affrontato questo problema lasciando che i siti web mantengano la loro immunità e anche che moderino i contenuti degli utenti ma come ritengono più opportuno e senza obblighi,  “sia che tale materiale sia protetto costituzionalmente o meno”.

In altre parole, la legge offre agli operatori di siti web – come Kissinger per esempio – essenzialmente la possibilità di decidere quale tipo di discorso è consentito sui loro social, purché non utilizzino tali poteri in modo tale da violare i propri termini di servizio o mettere in atto comportamenti ‘fraudolenti’.

Infatti Kissinger ha un disclaimer che va accettato prima che un utente possa scrivere post sul social:

Regole di scrittura e comportamento di Wallstreetcina.com

Negli Stati Uniti, questo quadro legislativo non lascia molto spazio a Trump o alla FCC.

“La FCC ha un’autorità di regolamentazione generale, ma deve esserci ancora qualcosa che deve effettivamente fare”, ha affermato Harold Feld, vicepresidente senior presso Public Knowledge, un think tank con sede a Washington DC focalizzato sulla politica tecnologica e delle comunicazioni.

“Se si guarda allo statuto, non c’è nulla che la FCC possa interpretare perché non c’è ambiguità nello statuto”.

 

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