Il rischio Ilva a Taranto: tutti gli occhi puntati su Barbara Lezzi

Scatenati i commentatori dei quotidiani contro il M5S, ritenuto responsabile del maggior problema per il fragile governo Conte 2.

I principali commentatori dei quotidiani italiani non trattano bene il M5S, ritenuto responsabile di quel che al momento è il maggior problema da risolvere dal fragile governo Conte 2. Ecco i pareri di Antonio Polito, Corriere della Sera, Stefano Folli, la Repubblica, Marco Zatterin, La Stampa e Giuseppe Turani, il Giorno.

Antonio Polito, Corriere della Sera 

Il caso Ilva è solo uno degli ultimi tentativi di suicidio politico da parte del governo Pd-M5S. Lo scrive Antonio Polito sul Corriere della Sera: “Dall’Iva all’Ilva, breve storia di un governo. Quanto breve non sappiamo. Magari sarà anche lunga. Ma se continua così non è detto che sia un bene. In qualcuno dei suoi artefici sembra infatti albergare l’illusione che più i sondaggi vanno giù e più durerà, per evitare una catastrofe elettorale, sempre in attesa del prossimo Godot: il voto in Emilia di gennaio, e se si sopravvive a quello le nomine negli enti di primavera, e se si incassano quelle vediamo come arrivare a Pasqua. Non è così. I governi camminano sulle gambe del Paese. O cadono. La desolante condizione del governo Conte 2 deriva da una ragione molto semplice: non ha una maggioranza. Ciò che è peggio, il governo non ha nemmeno una vera maggioranza politica, pur disponendo di quella numerica in Parlamento. Esattamente come nel Conte 1, i rapporti tra i partiti che la compongono sono infatti basati sul «mors tua vita mea», non su una convenienza reciproca a far bene. Ognuno è convinto che il mal comune del governo possa essere un mezzo gaudio per sé. Con l’aggravante che stavolta il gioco è a tre: oltre alla competition tra i due big c’è Renzi, che cerca disperatamente voti a danno di tutti, pur ripetendo a tutti di stare sereni. Ai difetti storici della sinistra italiana si aggiungono poi le tare demagogiche del Movimento Cinque Stelle e la sua profonda divisione interna, ormai quasi esistenziale. Si deve a questa se il governo Conte rischia di passare alla storia per aver fatto chiudere l’Ilva di Taranto, l’1,4% del Pil nazionale. È ovvio che l’Italia non se lo può permettere. Le ragioni che consigliarono qualche mese fa di evitare una nuova (e permanente) campagna elettorale, sono oggi rese finanche più valide dall’aggravarsi della prospettiva economica e della tensione socia- le. Ma i partiti che sono al governo devono sapere che se continueranno a tradire quelle ragioni per un sondaggio si prenderanno sulle spalle una colpa che gli italiani non dimenticheranno; mettendo così a rischio, oltre che le sorti del Paese, anche le proprie”.

Stefano Folli, la Repubblica
Stefano Folli su Repubblica prende spunto dal caso Ilva per descrivere come “i grillini d’acciaio schiacciano il Pd”. “C’è un nome – sottolinea – che domina le cronache dedicate al disastro dell’Ilva ed è quello di Barbara Lezzi, senatrice dei Cinque Stelle ed ex ministro per il Sud nel governo Conte-1, sospettata di nutrire propositi di vendetta dopo la sua esclusione dal nuovo esecutivo. Carlo Calenda, ma non solo lui, la giudica responsabile più di altri per la rottura con ArcelorMittal: sarebbe suo l’emendamento che ha eliminato lo scudo legale, ovvia garanzia per l’investitore straniero, e ha innescato la grande fuga. Comunque sia, Barbara Lezzi si è guadagnata il suo quarto d’ora di celebrità e forse ha posto le basi per un rilancio della sua carriera politica, magari come candidata alla presidenza della Regione Puglia. Ma quello che colpisce è la spavalderia con cui la senatrice ha raccontato di come sia la Lega sia il Pd sono stati messi nel sacco da lei e dunque giocati — quasi a loro insaputa, par di capire — per ottenere la decadenza dello scudo. Il resto è storia nota, fino ai frettolosi tentativi del Pd e di Renzi, in queste ore, volti a reintrodurre le fatidiche garanzie legali. Il che pone il ceto politico di fronte a un bivio fatale, ammesso che si riesca davvero a restaurare la protezione giudiziaria in modo credibile. Ecco allora che sullo sfondo prende forma l’intervento pubblico, magari attraverso una forma di nazionalizzazione più o meno mascherata. Bisogna però tornare dove abbiamo cominciato: alla figura emblematica di Barbara Lezzi. Nessuno meglio di lei incarna l’inesistente classe dirigente espressa dal M5S: inesistente e priva di competenze, ma in grado di contaminare in negativo il Pd. Che di fronte ai grillini è cedevole e remissivo in forme sorprendenti. Doveva essere il Pd, con la sua tradizione ed esperienza, a fagocitare gli inesperti 5S fino a rendere convincente l’alleanza a due proprio sul terreno dei contenuti e delle riforme. Ma sta accadendo proprio l’opposto”.

Marco Zatterin, La Stampa
Anche la Stampa, con Marco Zatterin, dedica l’editoriale alla vicenda Ilva, ma lo fa con un taglio più ‘strategico-industriale’: “Se si compie l’immane sforzo di guardare al caso Ilva senza farsi distrarre dalle troppe e confuse voci della politica, la scena si presenta drammaticamente chiara. Un anno fa, Arcelor Mittal ha affittato per 18 mesi l’Ilva di Taranto con l’impegno di acquisirla il primo giugno prossimo, per un totale di 1,8 miliardi; contestualmente, il colosso siderurgico euroindiano s’è impegnato a investimenti ambientali (1,1 miliardi) e industriali (1,2). È stata una gara vinta al rialzo ad un prezzo non da saldo: «Hanno pagato una bicicletta usata al prezzo di una nuova», è il senno fuggito dal cuore d’un analista di lungo corso. Eppure, è apparso il migliore degli accordi possibili, ai lavoratori, ai signori dei palazzi romani come ai tecnici di Bruxelles, scesi in agosto per vedere l’aria che tira e quella che respiriamo, e rientrati a casa soddisfatti. A dodici mesi dal passaggio di mano, Arcelor Mittal ha fatto saltare il tavolo. Con calma si può ragionare sulla possibilità che abbiano compiuto un passo più lungo della gamba con quella firma del 2018. Errore o no, si sono infilati in una posizione scomoda. I dazi americani li espongono sempre di più alla concorrenza asiatica e turca, mentre la domanda europea è in forte calo e, secondo le stime, lo sarà almeno per altri due trimestri. È un pasticcio con una sola soluzione accettabile: salvare il potenziale industriale rimasto della più grande fabbrica siderurgica d’Europa, dare un futuro a quasi ventimila lavoratori (indotto compreso), e assicurare la tutela della salute dei tarantini che rischiano di pagare il prezzo più alto e duraturo dello stallo. Per centrare questo obiettivo, ci sono due vie: ripristinare le condizioni per realizzare il piano Mittal, ribadendo lo scudo penale con tutti i suoi rischi, senza però riaprire la trattativa sui contenuti industriali; oppure rompere con gli euroindiani, buttandosi in una disputa giuridica complessa e potenzialmente costosa, trovando al contempo un nuovo socio (chi, a queste condizioni?) oppure ripubblicizzando profilati e affini (con quali soldi?). Quale sia la risposta che si vorrà e riuscirà a dare, ce n’è un’altra che non si può rinviare L’Ilva è l’ennesimo brutale inciampo per una classe politica ondivaga e stonata. Rischia di innescare una crisi lunga e difficile, durante la quale non bisognerebbe dimenticarsi di chi produce, di chi lavora, di chi respira. Servirebbe una decisione presa nell’ambito di una strategia industriale seria e moderna, concertata, credibile e mantenuta nel tempo”.

Giuseppe Turani, il Giorno
Sul Giorno, Giuseppe Turani, attacca la (non) politica industriale del M5S, ritenuta la causa profonda della vicenda Ilva: “L’assurda, e a tratti incomprensibile, vicenda che si sta snodando intorno all’Ilva di Taranto è forse meno assurda di quanto si pensi. In realtà da quelle parti si sta riproponendo un vecchio conflitto italiano: quello fra il libero mercato e lo statalismo. In termini ancora più chiari: i 5 stelle non vogliono che l’Ilva passi di mano (a ArcelorMittal) per- ché pensano che la soluzione migliore sia la nazionalizzazione. La ragione è molto semplice: una volta di proprietà dello Stato sarà agevole procedere a smantellare l’impianto, nei tempi e nei modi che si riterranno opportuni. L’Ilva rappresenta il primo, grande, passo verso la tanto agognata ‘decrescita felice’, verso una società cioè con meno cose, meno consumi, meno opportunità. Il tutto sotto il controllo dello Stato. I 5 stelle, sapendo che inseguono un sogno assurdo (una società quasi silvo-pastorale), non vogliono la libera concorrenza, la competizione, perché questo comporta che i giocatori siano tanti e non tutti controllabili. Non vogliono, cioè, ciò che ha fatto grandi altri paesi, a partire dagli Stati Uniti. E è inutile chiedersi il perché, esattamente come non ci si chiede perché certe comunità decidano di vivere senza luce elettrica o senza mezzi a motore. Sono convinti che il mondo dell’altro ieri fosse migliore, più umano, più ricco di valori importanti. Naturalmente non è vero niente. Le società silvo-pastorali erano crudeli, povere, sessuofobiche, si moriva giovani, la cultura e l’istruzione giravano poco. Non a caso sono un modello fallimentare, da cui anche il cosiddetto “terzo mondo” cerca con ogni mezzo di fuggire. Noi siamo gli unici che sembriamo volerci tornare. Lo Stato moderno deve diventare imprenditore solo in casi eccezionali. Il suo compito primario è fare le regole perché tutti i giocatori possano esprimersi al meglio: antitrust, Consob, ecc. Noi tutte queste cose le abbiamo fatte in ritardo, e sembra che a molti diano ancora fastidio”.

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