Premio “Nobel” per la Letteratura, la questione è tutta geopolitica

Dopo Dylan non può vincere un altro americano, così restano in corsa Rushdie (India), Oz (Israele) e Magris (Italia). Gray (Scozia) outsider.

Si assegna giovedì 5 ottobre, alle 13 ora italiana, il premio “Nobel” per la Letteratura e, nell’incertezza, tra gli esperti c’è una sola convinzione: dopo due edizioni insolite, col premio assegnato prima a Svetlana Aleksievic, autrice di reportage più che di fiction, e poi a un cantante, Bob Dylan, l’edizione 2017 dovrebbe segnare un ritorno alla tradizione.

Di nomi di favoriti ce ne sono parecchi – e in in pole position le fonti danno l’anglo-indiano Salman Rushdie, l’israeliano Amos Oz e l’italiano Claudio Magris – ma all’ultimo momento alcune fonti evocano il nome di un outsider davvero impensato: il grande e misconosciuto autore scozzese Alasdair Gray, l’autore di “Lanark” (in Italia l’ha tradotto una piccola casa editrice, Safarà), un’epopea psichedelica e anti-epica in quattro libri considerata dai critici la vera e propria ‘divina commedia’ in lingua anglosassone.

Di nomi, come sempre, ne circolano tantissimi. Philip Roth, don De Lillo e soprattutto Thomas Pynchon avrebbero tutte le carte in regola per stracciare la concorrenza ma l’affermazione di Dylan l’anno scorso riduce praticamente a zero le possibilità di successo di un altro statunitense. Ed è sempre per analoghi motivi di geopolitica letteraria che il pur quotatissimo autore cinese Yan Lianke non sembra avere grandi opportunità, troppo recenti le vittorie di Gao Xingjian nel 2000 e soprattutto di Mo Yan nel 2012.

Per capire a chi andrà la vittoria sembra quindi il caso di guardare altrove. A parte l’ipotesi Gray, il nodo sembra come al solito ‘politico’. Se sul nome del siriano Adonis grava l’ombra di un atteggiamento troppo tiepido nei confronti del regime di Assad, l’israeliano Amos Oz ha le credenziali in ordine: un’opera letteraria di grandissimo spessore e un impegno cristallino per la pace in Medio Oriente. Di altra natura la candidatura di Salman Rushdie, penalizzato a lungo dalla fatwa iraniana. Adesso, dopo l’accordo sul nucleare iraniano, il clima è molto diverso e premiare Rusdhie darebbe un segnale in quel senso, anche a… Donald Trump (che dell’accordo con Teheran vorrebbe fare carta straccia).

Infine, la candidatura Magris. Due gli elementi a favore dell’autore triestino: letterato purissimo, Magris è comunque autore di opere non strettamente di fiction e in questo senso l’accademia di Svezia avrebbe la possibilità, con lui, di restare nel solco della tradizione senza rinnegare le innovazioni degli ultimi anni. Inoltre premiare Magris significherebbe omaggiare la ‘vecchia’ Europa in una fase storica in cui l’unità europea è fortemente in discussione (e gli esperti citano naturalmente la Brexit ma anche la crisi dei migranti). Quanto agli outsider, la lista è infinita ma per esperti e bookmaker i nomi da tenere inconsiderazione in ultima analisi sono tre o quattro: il keniano Ngugi wa Thiong’o, il giapponese Murakami, il portoghese Lobo Antunes e l’albanese Ismail Kadarè.

A meno che, senza allontanarsi troppo di confini degli States, l’accademia non voglia premiare la canadese Margaret Atwood anche sulla scia del rinnovato successo del suo romanzo, “The Handmaid’s Tale”, di recente adattato in serie televisiva. Sarebbe anche un modo per bilanciare il palmares del premio in termini di genere: su 113 premiati solo 14 sono state donne.

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