Partito comunista a Congresso, la Cina rialza il ‘Big Firewall’

Torna la 'Grande Muraglia' governativa del web, comunicazioni online censurate: Whatsapp va a singhiozzo e i social sono bloccati.

Si avvicina l’apertura del Congresso del Partito comunista cinese, un appuntamento che è visto dagli osservatori come un ulteriore rafforzamento del potere di Xi Jinping, e contestualmente si stringono gli spazi di libera espressione sul web.

In questi giorni, hanno segnalato diversi utenti, le comunicazioni su Whatsapp – il primo servizio di messaggeria nel mondo, ma non in Cina – risultano perturbate, in un paese che già pone barriere (in verità spesso abilmente aggirate dagli utenti) a Facebook, Twitter, YouTube e Google. A bloccare i contenuti l’ormai celebre “Grande Muraglia del web” (o “Grande Firewall”). Whatsapp ha una sua specificità all’interno dei servizi web popolari nel resto del mondo: le autorità non sono mai riuscite a effettuare un blocco totale, come invece è accaduto a Facebook, Twitter e via dicendo.

Anche perché il sistema di crittografia di questo servizio risulta parecchio complicato. Questo lo rende competittivo, per quanto il locale sistema di messaggeria WeChat della Tencent, un gigante cinese, rimanga quello più utilizzato dai cinesi. Ma WeChat è strettamente controllato dalle autorità. “Man mano che si avvicina la data del Congresso, le autorità imporranno una censura draconiana. E tutti sanno che WeChat non offre alcuna sicurezza”, ha spiegato Hu Jia, militante dei diritti dell’uomo che vive a Pechino.

In ogni caso, non sono solo i giganti occidentali a subire le pressioni del governo. Pechino ha annunciato pesanti ammende a diversi giganti internet locali, da Baidu a Weibo (il Twitter cinese), che sono accusati di essere veicolo per contenuti “osceni” e illeciti sui quali non eserciterebbero il controllo giuridicamente previsto. Tra i destinatari di queste sanzioni, anche la stessa Tencent per WeChat, che a dire dell’Amministrazione di Internet “ha mancato ai suoi doveri” di bloccare la propagazione di “contenuti violenti e terroristici, osceni o pornografici, oltre che voci”. Questi contenuti “mettono in pericolo la sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica e l’ordine sociale”, contravvenendo alla legge sulla cybersicurezza.

Questa normativa è stata approvata a giugno tra le proteste delle principali compagnie internazionali che operano in Cina. Il timore è che a esse possa essere richiesto di consegnare i codici sorgente, quelli di decrittazione e altri elementi che sono parte del loro patrimonio di segreti industriali. Inoltre un preoccupato interesse è stato posto sull’Articolo 9, che statuisce: “Gli operatori di rete (cioè tutte le compagnie che operano in rete, secondo la stessa norma, ndr.) devono obbedire alle norme sociali, all’etica, essere onesti e credibili, rispettare la sicurezza delle rete, accettare la supervisione pubblica e del governo e mantenere una responsabilità sociale”.

Inoltre, la norma statuisce che potranno esserci controlli a sorpresa su richiesta del governo ma anche delle associazioni commerciali. Questo, insomma, può voler dire che le aziende cinesi potranno richiedere controlli su quelle straniere. In questo senso, la normativa è stata interpretata come un attacco contro gli operatori internet stranieri.

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1 commento

  1.   

    non sia mai che un poco di democrazia faccia ammalare i cinesi.