Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina

Intelligenza artificiale, veicoli a guida autonoma, tecnologie green, smart city, riconoscimento facciale: per noi è il futuro, ma in Cina è già realtà. In Red Mirror (Laterza) Simone Pieranni racconta i cambiamenti epocali di Pechino. E perché ci riguardano da vicino.

(WSC) Roma – Pubblichiamo un estratto scelto da China Files del libro Red Mirror di Simone Pieranni, in uscita il 14 maggio con Editori Laterza. Intelligenza artificiale, veicoli a guida autonoma, tecnologie green, smart city, riconoscimento facciale: per noi è il futuro, ma in Cina è già realtà. In Red Mirror, Pieranni racconta i cambiamenti epocali sperimentati dal gigante asiatico nell’ultimo decennio e perché ci riguardano da vicino.

Uscito dagli uffici della Terminus ho pr eso un taxi per tornare a casa. Nel tragitto ho dato un’occhiata sullo smartphone alle news provenienti dall’Italia. E ho trovato questa notizia, riportata da Il Sole 24 ore: «Controlli informali tra vicini di casa, per individuare situazioni anomale che possano generare apprensione, informando gli abitanti della zona. “Non si tratta di effettuare ronde”, chiarisce fin dalle prime righe la proposta di legge sottoscritta da un’ottantina di deputati della Lega. Piuttosto, la soluzione a cui i rappresentanti del Carroccio hanno pensato è un controllo di vicinato». Per i cinesi arruolare cittadini che controllino altri cittadini non è una novità. Accade da sempre nelle comunità cinesi, con precedenti antichissimi, risalenti persino alla storia imperiale: durante il breve ma fondamentale periodo della dinastia Qin (221 – 206 a.C.) nella vita quotidiana la società era organizzata in modo perfettamente militare; tutti gli abitanti erano divisi in gruppi di cinque o dieci famiglie che lavoravano insieme e si controllavano a vicenda. Nacque già all’epoca un sistema totale di sorveglianza all’interno del quale ogni persona era obbligata a denunciare comportamenti considerati «deviati». Ma per rimanere più vicini alla nostra epoca, anche durante il maoismo le unità di lavoro e poi successivamente i tanti cittadini impegnati in attività di controllo reciproco hanno proseguito questa tradizione. E ancora oggi non sarà difficile trovare nei quartiere di Pechino anziani con una fascia rossa al braccio incaricati di controllare la zona, in grado di raccontare ogni minimo particolare della vita di quasi tutti gli abitanti.

Forse anche per questi rimandi più o meno lontani nel tempo, i cinesi sembrano accettare facilmente lo sviluppo «cittadino» in nome della «sicurezza» e della deterrenza (ottenuta anche tramite modelli predittivi adottati dalle polizie locali) nei confronti dei criminali.

Oggi gli «occhi acuti» della Cina non sono solo un’ispirazione: sono una realtà. Terminus – come altre aziende cinesi – è in corsa per un mercato in continua espansione. Per la stampa nazionale, includendo «sistemi di videosorveglianza, controllo accessi, allarmi della polizia, sistemi di ispezione di sicurezza» e altro ancora, il mercato della sicurezza pubblica era stimato in 90 miliardi di dollari a fine 2017 e si prevede una crescita a 162 miliardi nel 2023, secondo le stime della China Security And Protection Industry Association. Si tratta di una tendenza globale, influenzata e non poco da quanto avviene in Cina: il mercato globale della videosorveglianza è stato valutato a 40,37 miliardi di dollari nel 2018 e dovrebbe raggiungere un valore di 95,98 miliardi di dollari entro il 2024.

L’Italia non è da meno: nel 2019 la giunta del comune di Roma ha discusso a lungo delle videocamere «anti vandali» della Huawei, suscitando reazioni negative, compresa un’interrogazione parlamentare che avrebbe dimostrato che in realtà il comune di Roma ancora non può installare videocamere «intelligenti» per una questione di budget. Ma la tendenza è quella. A Firenze non si usa tecnologia cinese, ma il sindaco Nardella nell’agosto 2019 ha potuto esultare – a dimostrazione di come sulle politiche di sicurezza non ci siano praticamente più differenze tra destra e sinistra – dichiarando Firenze «la città più videosorvegliata d’Italia». Nel febbraio 2019 è stata la volta di Cagliari annunciare la sperimentazione di un progetto di smart city che ruota intorno allo Ioc (Intelligence operator system), un mega calcolatore capace di controllare ogni ambito del progetto, realizzato grazie ai finanziamenti e alla tecnologia fornita dalla cinese Huawei.

La Cina non solo ha un’influenza sulle tendenze gobali, ma ha la capacità di imporre sul mercato mondiale i propri prodotti, e a dimostrarlo sono proprio gli Stati Uniti.  Per esempio, l’esercito americano ha cominciato ad acquistare prodotti di videosorveglianza cinese. Le motivazioni: il prezzo e le performance. Secondo un’inchiesta del Financial Times, la base dell’esercito di Fort Drum nel giugno del 2018 ha acquisito telecamere Hikvision per un valore di 30mila dollari. Una gara d’appalto per telecamere di sicurezza del campo base Marine Corps di Lejeune nel gennaio 2019 ha rilevato – per altro – che solo le apparecchiature Hikvision funzionerebbero in rete con altre telecamere, dando così la possibilità di accedere anche a dati sensibili provenienti da altri strumenti tecnologici utilizzati. Si tratta della più grande paura degli americani in questo momento: che un’azienda cinese possa sorvegliare la popolazione americana, governanti compresi e acquisire così dati sensibili fondamentali per la sicurezza nazionale. Per ora siamo di fronte a sospetti, perché prove al momento non ne esistono.

La rapida espansione nel mercato statunitense della sorveglianza di Hikvision, il cui 42% appartiene al governo cinese, è partita nel 2010 quando ha iniziato a vendere a prezzi molto più bassi prodotti alternativi ai dispositivi realizzati da marchi come Axis e Bosch. Nel 2016 l’azienda cinese era diventata il secondo più grande fornitore di prodotti di videosorveglianza negli Stati Uniti, con l’8,5 per cento del mercato delle telecamere di sorveglianza. Sono stati – in particolare – i prezzi ad attirare le piccole imprese e le forze dell’ordine locali verso la Cina. Joseph Patty, ex responsabile della sorveglianza del Police Department di Memphis, che ora gestisce un’attività di consulenza in materia di sicurezza, ha affermato che il marchio è diventato così popolare principalmente per il prezzo. Naturalmente la presenza di videocamere di fabbricazione cinese, in rete, ha destato immediati sospetti, sostenuti dalla direttiva del governo americano di proibire l’acquisto di tecnologia cinese per il suo comparto militare. Ma a fine luglio del 2019 «le telecamere prodotte da Hikvision – scrive il quotidiano finanziario britannico – rimangono al loro posto presso la base aeronautica di Peterson in Colorado, la sede del comando di difesa aerospaziale nordamericana (Norad) e il quartier generale dell’Air Force Space Command». Anche i dipartimenti di polizia di Stati tra cui Massachusetts, Colorado e Tennessee si affidano ancora alle telecamere Hikvision. Il solo dipartimento di polizia di Memphis ne ha almeno 1.500. Perché? Perché contano le performance.

Come riportato dai media internazionali, infatti, il sistema di Hikvision è in grado di identificare accuratamente i volti indipendentemente dall’etnia, mentre alcune tecnologie sviluppate in Occidente sono accurate solo per quanto riguarda la popolazione bianca. Questo avviene per un motivo molto semplice: la possibilità che la Cina ha di sperimentare e perfezionare il proprio armamentario securitario è immenso, grazie all’enorme quantità di dati che ha a disposizione. E può contare su aree dove mettere a punto la propria tecnologia. Concentriamoci su due zone in particolare, l’Africa e la regione cinese dello Xinjiang.

Fonte: China Files

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