Il sipario del potere russo: Putin oltre Putin

La longevità politica dell'uomo forte di Mosca è anche il risultato di un mix di potere tra Russia, media nazionali e internazionali, e Occidente.

di Annalisa Bottani

Vladimir Vladimirovich Putin, uomo al comando, non è una persona sola, ma una “grande mente collettiva”, un intero “sistema di governo”.

Lo dimostrano la campagna elettorale che sta portando avanti, pur non avendo ufficializzato la propria candidatura, mostrando agli elettori un’ampia varietà di profili politici.

A questo si aggiungono i cambiamenti delle ultime settimane, dalla “rapida” sostituzione dei governatori di alcuni regioni verso un modello sempre più centralizzato nelle mani del Cremlino in vista del 2018, alla rottamazione di molti esponenti della vecchia nomenklatura, spesso sostituiti con nuove leve a volte inesperte appartenenti a famiglie di spicco del paese.

È difficile, tuttavia, delineare l’identità di questa “mente collettiva”.

Secondo il giornalista e scrittore Mikhail Zygar, autore di “All the Kremlin’s men” (PublicAffairs, 2016),

ciascuno di noi ha inventato il proprio Putin. E ne potremmo creare molti altri ancora.

The “Body”, come viene chiamato dai fedelissimi, non è solo il frutto di un’operazione mirata portata avanti nel 1999 per “salvare” il paese dal collasso socioeconomico e dall’avidità degli oligarchi, ma è anche il risultato di una costruzione, più o meno consapevole, attuata dai gruppi di potere russi, dalla stampa, nazionale e internazionale, e dall’occidente.

Gli stessi “gruppi” che, in misura minore o maggiore, lo accompagnano da decenni ormai.

Putin, discorso di capodanno 2017

La storia è un cimitero di élites”, diceva Vilfredo Pareto. Ed è forse questa la prospettiva per comprendere meglio i lunghi diciassette anni che hanno visto regnare Putin, passando da Vlad “Cuor di Leone” a Vlad “Il Magnifico” fino all’attuale versione: Vlad “Il Terribile”.

Il grado di conflitto tra élites varia al variare della loro circolazione e della loro permeabilità reciproca. Solo quando avviene il fenomeno della circolazione, si può avere stabilità, senza dimenticare che la circolazione può essere non solo verticale (ascesa dal basso o declassamento dall’élite), ma anche orizzontale (movimenti all’interno dell’élite stessa).

Alexei Navalny

E, dunque, chi detiene il potere in Russia?

Giornalisti, sostenitori di Alexei Navalny e dissidenti possono rappresentare certamente una minaccia per il potere costituito.

Una prova? La reazione della polizia e delle autorità alle manifestazioni organizzate da Navalny il 7 ottobre in circa ottanta città, da Vladivostok a Khabarovsk, da Ulan-Ude a Chita, da Mosca a San Pietroburgo, che hanno visto scendere in piazza tanti cittadini, molti dei quali posti in stato di fermo.

Anche questa volta Navalny, organizzatore delle proteste e impegnato in un tour elettorale in molte località russe, è stato condannato il 2 ottobre a venti giorni di reclusione.

Malgrado l’ordine impartito alle forze dell’ordine di evitare un uso “eccessivo” della forza per non destare le critiche internazionali e l’assenza di folle oceaniche, quel giorno qualcosa è cambiato.

“Russia, ieri e oggi”

Il 7 ottobre in Russia non è un giorno qualunque. Per molti è, infatti, solo il giorno del compleanno di Putin, mentre per tutti gli altri, dai dissidenti all’opinione pubblica occidentale, è, dal 2006, l’anniversario della morte della giornalista Anna Politkovskaja. Un tragico evento interpretato come un “regalo a Putin”.

Navalny avrebbe, invece, definito, secondo Radio Free Europe Radio Liberty, la sua terza incarcerazione “un regalo di compleanno”. Il suo obiettivo era quello di rendere il 7 ottobre

il giorno in cui ogni persona degna farà due richieste: competizione politica e ammissione di Navalny al voto.

Il tutto avveniva mentre Putin a Sochi incontrava i membri del consiglio di sicurezza e Kadyrov, in Cecenia, organizzava una partita di calcio proprio in onore del presidente.

I leader mondiali più longevi

Dopo circa undici anni potrebbe (il condizionale è d’obbligo), dunque, cambiare lo storytelling di un solo giorno, magari il primo di tanti rispetto ai diciassette anni passati da Putin al potere, un record rispetto ad altri leader russi, fatta eccezione per Stalin (ventinove anni, dal 1924 al 1953).

In queste settimane molti analisti si sono chiesti se sia davvero possibile ipotizzare un suo declino politico, almeno nel medio periodo, contraddicendo una visione che propone una totale identificazione tra il leader e il paese.

Ed è nell’aria l’ipotesi che questo possa essere anche essere il suo ultimo mandato.

Soprattutto considerando l’avanzata crescente di Navalny, un “alieno”, secondo Zygar, che dal 2011 a oggi è l’unico leader politico presente in Russia.

Proteste in Russia

Le proteste, la capacità di mobilitare migliaia di cittadini, a colpi di scoop sulla corruzione ormai dilagante nel paese, sul tenore di vita dei servitori dello stato e, persino, sulla presunta “dacia segreta” di Putin gli hanno conferito un enorme potenziale politico che in questo momento può essere capitalizzato, secondo Newsweek, solo mostrando che le elezioni con un solo candidato sono una farsa.

E, considerata la persistente impossibilità a candidarsi, l’obiettivo non è solo quello di raccogliere voti, ma anche di creare una struttura politica che possa resistere nel lungo periodo.

Ma sempre Zygar ci ricorda che nel 2012 Navalny aveva già intuito un elemento chiave per capire la lunga “carriera” di Putin: il suo obiettivo “non è quello di spaventare l’opposizione, ma di colpire chi lo circonda”, gli unici che potrebbero davvero rivoltarsi e distruggerlo, rendendolo prigioniero del sistema – la “verticale del potere” – che lui stesso ha creato.

Percentuale di ricchezza nelle mani dell’1 per cento della popolazione

E si tratta di gruppi articolati e complessi che hanno ramificazioni, talvolta, molto differenti tra loro. Il termine, spesso fuorviante, “oligarchi” non restituisce la complessità di un sistema di potere che potrebbe contribuire a modificare lo status quo.

Dunque, chi sono queste élites?

Secondo il Professore Stanislav Markus, vi sono alcuni gruppi di rilievo: il primo è quello degli “amici”, legati tra loro da una cooperativa di dacie estive – “Ozero” – situata vicino a San Pietroburgo e fondata prima dell’ascesa al potere di Putin con alcuni uomini d’affari che hanno avuto una grande influenza sul percorso politico del paese.

Igor Sechin

Il secondo gruppo sarebbe, invece, composto dai cosiddetti “silogarchi”, un termine derivante dalla crasi di siloviki e oligarchi.

Con siloviki “uomini della forza” (tra cui rientrano Igor Sechin, leader dei siloviki, e Ceo di Rosneft, la compagnia petrolifera partecipata con una quota maggioritaria dal governo russo, e Sergei Ivanov, ex agente del Kgb ed ex capo di gabinetto del presidente inserito nella lista nera americana delle sanzioni) si intende il gruppo, poco coeso peraltro, composto dalle persone provenienti dall’apparato di sicurezza inserite nell’amministrazione e nelle aziende statali.

Gli oligarchi provengono, invece, dai settori dell’economia e della finanza e hanno sempre attirato la stampa internazionale non solo per le strategie spregiudicate messe in atto in questi decenni, ma per un bizzarro stile di vita basato, prevalentemente, sul “dio denaro”.

Secondo lo storico Edward L. Keenan, dopo lo sgretolamento dell’Unione Sovietica, a causa della difficile transizione da un’economia di stampo sovietico a una di mercato e della capacità di accumulare ingenti quantitativi di denaro grazie alle privatizzazioni degli asset statali, il sistema degli oligarchi russi era comparabile al sistema dei Boiari del tardo Medioevo.

Mikhail Khodorkovsky

La cerchia dei setti banchieri – la c.d. “Semibankirschina” – ha avuto, malgrado i dissidi interni, un ruolo determinante nella vita economica e politica prima dell’avvento di Putin. Boris Berezovsky, Mikhail Khodorkovsky, Mikhail Fridman, Pyotr Aven, Vladimir Gusinsky, Vladimir Potanin, Alexander Smolensky. Erano compresi, inoltre, anche altri due oligarchi Vladimir Vinogradov e Vitaly Malkin.

Alcuni di questi, con l’avvento di Putin, hanno perso completamente il potere, tra cui Gusinsky, Berezovsky, (deceduto misteriosamente nel 2013) che chiese l’asilo politico in Inghilterra, e Mikhail Khodorkowski, ex Ceo della società Yukos, fortemente critico nei confronti di Putin e, dunque, condannato nel 2003 a venti anni di reclusione, ma scarcerato dopo dieci anni a seguito della grazia presidenziale.

Altri si sono aggiunti nel tempo. Roman Abramovich, Oleg Deripaska, Alisher Usmanov, i fratelli Rotenberg, solo per citarne alcuni.

Nei primi anni del mandato di Putin (dal 2000 al 2004 circa) si verificò una prima significativa resa dei conti: chi non si allineava rischiava di perdere tutto. 

E secondo quanto riportato nella miniserie tv diretta dal regista Oliver Stone “The Putin Interviews”, Putin ha specificato che gli uomini d’affari che non si sono adeguati “guadagnavano milioni o miliardi non grazie alle loro capacità imprenditoriali, ma perché riuscivano a manovrare il governo a loro piacimento.”

Nel famoso “barbecue meeting” del 2001 Putin riunì una dozzina di uomini d’affari nella sua residenza di Novo-Ogaryovo per chiarire un concetto chiave:

Non interferite nelle questioni politiche.

Accettando questo assunto di base, nessun oligarca avrebbe avuto problemi con la legge.

Una regola che finora è rimasta intatta.

Dall’alleanza tra gli oligarchi e i silovichi sarebbero nati i silogarchi (“oligarchi di stato”), ossia coloro che non hanno necessariamente un legame con Putin, ma hanno saputo utilizzare a proprio vantaggio i network dell’Fsb (ex Kgb) o dell’apparato militare per aumentare in maniera significativa il proprio patrimonio personale.

Mentre il gruppo degli amici può contare sull’accesso diretto al capo, il secondo è distribuito in maniera quasi sproporzionata nei consigli di amministrazione.

Gli oligarchi sono stati affiancati dagli oligarchi di stato, i silogarchi (siloviki + oligarchi) che nel corso di un decennio sono stati inseriti nei gangli dell’amministrazione, della burocrazia e delle aziende statali.

Infine, un altro gruppo è formato dagli outsider che sono, comunque, riusciti, malgrado l’assenza di legami diretti con Putin, a ottenere benefici grazie alla propria posizione nella Duma o all’intercessione della Russian Union of Industrialists and Entrepreneurs – RUIE.

Secondo il Professor John P. Willerton, vi è anche un’altra categoria trasversale che è formata da economisti e avvocati di San Pietroburgo (German Gref, Alexander Kudrin, Dmitry Medvedev, Dmitry Kozak etc.), vicini a Putin quando lavorava per il sindaco della città Sobchak.

Convinti della necessità di dare impulso allo sviluppo del mercato (in particolare, del settore privato), di aumentare la qualità della vita e di ridurre la presenza statale nella vita economica del paese, gli esponenti del gruppo ritenevano fosse necessario avviare le riforme costituzionali, legali, amministrative, in grado di costruire un sistema democratico.

Boris Eltsin con Putin

Ovviamente tra questi gruppi compositi non possiamo dimenticare “la Famiglia”, ossia i parenti e le persone legate al Presidente Eltsin.

In particolare, la figlia Tatiana Yumasheva nel 2011, collaborando con storici e giornalisti, decise di creare un blog “20 Years ago” in cui si poteva rivivere il collasso dell’Unione Sovietica e assistere all’affermarsi di una nuova Russia democratica, di cui il padre, a suo avviso, era un simbolo.

Con Surkov cercò anche di creare un nuovo partito fondato sul progetto “Right Cause” basato a sua volta su un partito liberale “Union of Right Forces”, il cui destino fu, tuttavia, fallimentare.

Il saggio di Zygar evidenzia bene la labirintica distribuzione del potere e la rotazione spesso imprevedibile, di uomini di potere che hanno accompagnato Putin in questi anni, cercando di portare avanti – nelle diverse fasi politiche della sua gestione da primo ministro e presidente – un’agenda politica specifica in grado di modificare il volto della Russia: da Alexander Voloshin a Vladislav Surkov, da Igor Shuvalov a Sergei Ivanov, da Igor Sechin a Vyacheslav Volodin, da Alexei Kudrin a Sergey Shoigu, solo per citarne alcuni.

Il tutto mentre Putin passava da riformatore in lotta contro oligarchi e corruzione a custode del potere fino a raggiungere l’attuale profilo dello Zar deciso a perseguire la sovranità assoluta.

A questo si accompagnavano, tuttavia, forti dissidi “a corte” tra i suoi collaboratori.

Dissidi che hanno certamente aiutato a manovrare meglio chi gli era accanto, in quanto le tattiche di Putin, proiettate spesso nel breve periodo, coglievano di sorpresa gli interlocutori, disorientandoli e rendendo ardua la costruzione di progetti alternativi a quelli putiniani.

Dunque, nuovi nomi affiancano i vecchi e viceversa in una girandola di strategie imprevedibili.

La partita è sempre aperta e vale anche per le posizioni di vertice.

Basti pensare non solo alla notizia smentita dal Cremlino di un candidato – Ksenia Sobchak – scelto dal governo stesso come possibile rivale alle presidenziali, ma anche ai nomi che circolano in questi giorni per il ruolo di primo ministro, dal capo della banca centrale Nabiullina al sindaco di Mosca Sobyanin al ministro dell’industria Manturov.

Dmitry Medvedev con Putin

A tale proposito, è bene ricordare l’amaro confronto, raccontato da Zygar, tra Putin e Medvedev prima delle elezioni presidenziali nel 2012, a seguito di alcune affermazioni pubbliche di Medvedev sulla politica estera poco gradite a Putin:

[…] Nel 2008”, disse Putin, “ero il politico numero in Russia. Avrei potuto farmi rieleggere, ma la costituzione non lo consentiva. Ho seguito le regole e dato il potere a te (ndr Medvedev). Ma eravamo d’accordo che, a tempo debito, ci saremmo seduti e avremmo deciso che fare. Ora quel giorno è giunto. Io sono ancora il politico numero 1 e tu il secondo […] Tu sei più giovane, questo è un vantaggio. Ma io ho più esperienza, un vantaggio per me. Vi è una differenza chiave: i miei numeri, in termini di sondaggi, sono più alti.

Putin, dunque, propose a Medvedev di mantenere il ticket Putin – Medvedev che accettò senza controbattere.

La domanda che in molti si pongono è se sia realmente possibile ipotizzare una “spinta al cambiamento” da parte di questi gruppi (in particolare, la business community) capace di sovvertire l’ordine politico e sociale creato da Putin.

Sempre secondo il Professor Stanislav Markus, paradossalmente è l’assenza dello stato di diritto a garantire maggiori rendite agli uomini d’affari.

E fare affari in uno stato democratico può presentare vantaggi (prosperità economica, riduzione della dipendenza dalle autorità governative etc.), ma anche significativi svantaggi (regolamentazione dei monopoli, maggior tassazione, possibile collasso del sistema politico etc.).

Polizia russa contro Greenpeace

Di certo è prematuro sostenere che gli uomini d’affari russi siano pienamente soddisfatti dello status quo. Ciò che desiderano dal Cremlino sono l’affidabilità delle élites politiche e il miglioramento delle relazioni con l’occidente, soprattutto in questa fase perpetua di sanzioni.

Sarebbe necessaria, inoltre, una figura di “arbitro” che attualmente è assente: Putin, infatti, mantiene un ruolo interventista che può portare i singoli oligarchi oppure figure politiche a perdere improvvisamente il proprio status, come Sergei Pugachev, uomo fidato di Putin nel corso del primo mandato, in esilio dal 2012.

Nella riunione del 21 settembre tra Putin stesso e la business community, il presidente ha specificato l’obiettivo di questi incontri: non solo elencare dati e fare previsioni, ascoltare proposte e analisi, ma

avviare un confronto sulle posizioni reciproche riguardanti lo sviluppo economico complessivo e quello dei singoli settori.

In realtà l’elemento che manca a questi gruppi di potere è la capacità di essere un “team” coeso, di far sentire la propria voce grazie all’avvio di un’azione congiunta.

Ed è, dunque, sempre più difficile contrastare “the Body”, soprattutto quando vengono applicate, in maniera irregolare, regole mai scritte.

Chi potrebbe, dunque, dare avvio a questo immenso cambiamento?

I gruppi di potere insieme al popolo che mantiene sempre un ruolo cruciale. Ma, come noto, “la natura disprezza il vuoto”. Ed è proprio l’angoscia di quella voragine che inghiottì il paese dopo lo sgretolamento dell’Unione Sovietica a frenare molti cittadini, convinti che dopo lo Zar vi sarà davvero solo il diluvio.

ladimir Vladimirovich Putin, uomo al comando, non è una persona sola, ma una “grande mente collettiva”, un intero “sistema di governo”.

Lo dimostrano la campagna elettorale che sta portando avanti, pur non avendo ufficializzato la propria candidatura, mostrando agli elettori un’ampia varietà di profili politici.

A questo si aggiungono i cambiamenti delle ultime settimane, dalla “rapida” sostituzione dei governatori di alcuni regioni verso un modello sempre più centralizzato nelle mani del Cremlino in vista del 2018, alla rottamazione di molti esponenti della vecchia nomenklatura, spesso sostituiti con nuove leve a volte inesperte appartenenti a famiglie di spicco del paese.

È difficile, tuttavia, delineare l’identità di questa “mente collettiva”.

Secondo il giornalista e scrittore Mikhail Zygar, autore di “All the Kremlin’s men” (PublicAffairs, 2016),

ciascuno di noi ha inventato il proprio Putin. E ne potremmo creare molti altri ancora.

The “Body”, come viene chiamato dai fedelissimi, non è solo il frutto di un’operazione mirata portata avanti nel 1999 per “salvare” il paese dal collasso socioeconomico e dall’avidità degli oligarchi, ma è anche il risultato di una costruzione, più o meno consapevole, attuata dai gruppi di potere russi, dalla stampa, nazionale e internazionale, e dall’occidente.

Gli stessi “gruppi” che, in misura minore o maggiore, lo accompagnano da decenni ormai.

Putin, discorso di capodanno 2017

La storia è un cimitero di élites”, diceva Vilfredo Pareto. Ed è forse questa la prospettiva per comprendere meglio i lunghi diciassette anni che hanno visto regnare Putin, passando da Vlad “Cuor di Leone” a Vlad “Il Magnifico” fino all’attuale versione: Vlad “Il Terribile”.

Il grado di conflitto tra élites varia al variare della loro circolazione e della loro permeabilità reciproca. Solo quando avviene il fenomeno della circolazione, si può avere stabilità, senza dimenticare che la circolazione può essere non solo verticale (ascesa dal basso o declassamento dall’élite), ma anche orizzontale (movimenti all’interno dell’élite stessa).

Alexei Navalny

E, dunque, chi detiene il potere in Russia?

Giornalisti, sostenitori di Alexei Navalny e dissidenti possono rappresentare certamente una minaccia per il potere costituito.

Una prova? La reazione della polizia e delle autorità alle manifestazioni organizzate da Navalny il 7 ottobre in circa ottanta città, da Vladivostok a Khabarovsk, da Ulan-Ude a Chita, da Mosca a San Pietroburgo, che hanno visto scendere in piazza tanti cittadini, molti dei quali posti in stato di fermo.

Anche questa volta Navalny, organizzatore delle proteste e impegnato in un tour elettorale in molte località russe, è stato condannato il 2 ottobre a venti giorni di reclusione.

Malgrado l’ordine impartito alle forze dell’ordine di evitare un uso “eccessivo” della forza per non destare le critiche internazionali e l’assenza di folle oceaniche, quel giorno qualcosa è cambiato.

“Russia, ieri e oggi”

Il 7 ottobre in Russia non è un giorno qualunque. Per molti è, infatti, solo il giorno del compleanno di Putin, mentre per tutti gli altri, dai dissidenti all’opinione pubblica occidentale, è, dal 2006, l’anniversario della morte della giornalista Anna Politkovskaja. Un tragico evento interpretato come un “regalo a Putin”.

Navalny avrebbe, invece, definito, secondo Radio Free Europe Radio Liberty, la sua terza incarcerazione “un regalo di compleanno”. Il suo obiettivo era quello di rendere il 7 ottobre

il giorno in cui ogni persona degna farà due richieste: competizione politica e ammissione di Navalny al voto.

Il tutto avveniva mentre Putin a Sochi incontrava i membri del consiglio di sicurezza e Kadyrov, in Cecenia, organizzava una partita di calcio proprio in onore del presidente.

I leader mondiali più longevi

Dopo circa undici anni potrebbe (il condizionale è d’obbligo), dunque, cambiare lo storytelling di un solo giorno, magari il primo di tanti rispetto ai diciassette anni passati da Putin al potere, un record rispetto ad altri leader russi, fatta eccezione per Stalin (ventinove anni, dal 1924 al 1953).

In queste settimane molti analisti si sono chiesti se sia davvero possibile ipotizzare un suo declino politico, almeno nel medio periodo, contraddicendo una visione che propone una totale identificazione tra il leader e il paese.

Ed è nell’aria l’ipotesi che questo possa essere anche essere il suo ultimo mandato.

Soprattutto considerando l’avanzata crescente di Navalny, un “alieno”, secondo Zygar, che dal 2011 a oggi è l’unico leader politico presente in Russia.

Proteste in Russia

Le proteste, la capacità di mobilitare migliaia di cittadini, a colpi di scoop sulla corruzione ormai dilagante nel paese, sul tenore di vita dei servitori dello stato e, persino, sulla presunta “dacia segreta” di Putin gli hanno conferito un enorme potenziale politico che in questo momento può essere capitalizzato, secondo Newsweek, solo mostrando che le elezioni con un solo candidato sono una farsa.

E, considerata la persistente impossibilità a candidarsi, l’obiettivo non è solo quello di raccogliere voti, ma anche di creare una struttura politica che possa resistere nel lungo periodo.

Ma sempre Zygar ci ricorda che nel 2012 Navalny aveva già intuito un elemento chiave per capire la lunga “carriera” di Putin: il suo obiettivo “non è quello di spaventare l’opposizione, ma di colpire chi lo circonda”, gli unici che potrebbero davvero rivoltarsi e distruggerlo, rendendolo prigioniero del sistema – la “verticale del potere” – che lui stesso ha creato.

Percentuale di ricchezza nelle mani dell’1 per cento della popolazione

E si tratta di gruppi articolati e complessi che hanno ramificazioni, talvolta, molto differenti tra loro. Il termine, spesso fuorviante, “oligarchi” non restituisce la complessità di un sistema di potere che potrebbe contribuire a modificare lo status quo.

Dunque, chi sono queste élites?

Secondo il Professore Stanislav Markus, vi sono alcuni gruppi di rilievo: il primo è quello degli “amici”, legati tra loro da una cooperativa di dacie estive – “Ozero” – situata vicino a San Pietroburgo e fondata prima dell’ascesa al potere di Putin con alcuni uomini d’affari che hanno avuto una grande influenza sul percorso politico del paese.

Igor Sechin

Il secondo gruppo sarebbe, invece, composto dai cosiddetti “silogarchi”, un termine derivante dalla crasi di siloviki e oligarchi.

Con siloviki “uomini della forza” (tra cui rientrano Igor Sechin, leader dei siloviki, e Ceo di Rosneft, la compagnia petrolifera partecipata con una quota maggioritaria dal governo russo, e Sergei Ivanov, ex agente del Kgb ed ex capo di gabinetto del presidente inserito nella lista nera americana delle sanzioni) si intende il gruppo, poco coeso peraltro, composto dalle persone provenienti dall’apparato di sicurezza inserite nell’amministrazione e nelle aziende statali.

Gli oligarchi provengono, invece, dai settori dell’economia e della finanza e hanno sempre attirato la stampa internazionale non solo per le strategie spregiudicate messe in atto in questi decenni, ma per un bizzarro stile di vita basato, prevalentemente, sul “dio denaro”.

Secondo lo storico Edward L. Keenan, dopo lo sgretolamento dell’Unione Sovietica, a causa della difficile transizione da un’economia di stampo sovietico a una di mercato e della capacità di accumulare ingenti quantitativi di denaro grazie alle privatizzazioni degli asset statali, il sistema degli oligarchi russi era comparabile al sistema dei Boiari del tardo Medioevo.

Mikhail Khodorkovsky

La cerchia dei setti banchieri – la c.d. “Semibankirschina” – ha avuto, malgrado i dissidi interni, un ruolo determinante nella vita economica e politica prima dell’avvento di Putin. Boris Berezovsky, Mikhail Khodorkovsky, Mikhail Fridman, Pyotr Aven, Vladimir Gusinsky, Vladimir Potanin, Alexander Smolensky. Erano compresi, inoltre, anche altri due oligarchi Vladimir Vinogradov e Vitaly Malkin.

Alcuni di questi, con l’avvento di Putin, hanno perso completamente il potere, tra cui Gusinsky, Berezovsky, (deceduto misteriosamente nel 2013) che chiese l’asilo politico in Inghilterra, e Mikhail Khodorkowski, ex Ceo della società Yukos, fortemente critico nei confronti di Putin e, dunque, condannato nel 2003 a venti anni di reclusione, ma scarcerato dopo dieci anni a seguito della grazia presidenziale.

Altri si sono aggiunti nel tempo. Roman Abramovich, Oleg Deripaska, Alisher Usmanov, i fratelli Rotenberg, solo per citarne alcuni.

Nei primi anni del mandato di Putin (dal 2000 al 2004 circa) si verificò una prima significativa resa dei conti: chi non si allineava rischiava di perdere tutto. 

E secondo quanto riportato nella miniserie tv diretta dal regista Oliver Stone “The Putin Interviews”, Putin ha specificato che gli uomini d’affari che non si sono adeguati “guadagnavano milioni o miliardi non grazie alle loro capacità imprenditoriali, ma perché riuscivano a manovrare il governo a loro piacimento.”

Nel famoso “barbecue meeting” del 2001 Putin riunì una dozzina di uomini d’affari nella sua residenza di Novo-Ogaryovo per chiarire un concetto chiave:

Non interferite nelle questioni politiche.

Accettando questo assunto di base, nessun oligarca avrebbe avuto problemi con la legge.

Una regola che finora è rimasta intatta.

Dall’alleanza tra gli oligarchi e i silovichi sarebbero nati i silogarchi (“oligarchi di stato”), ossia coloro che non hanno necessariamente un legame con Putin, ma hanno saputo utilizzare a proprio vantaggio i network dell’Fsb (ex Kgb) o dell’apparato militare per aumentare in maniera significativa il proprio patrimonio personale.

Mentre il gruppo degli amici può contare sull’accesso diretto al capo, il secondo è distribuito in maniera quasi sproporzionata nei consigli di amministrazione.

Gli oligarchi sono stati affiancati dagli oligarchi di stato, i silogarchi (siloviki + oligarchi) che nel corso di un decennio sono stati inseriti nei gangli dell’amministrazione, della burocrazia e delle aziende statali.

Infine, un altro gruppo è formato dagli outsider che sono, comunque, riusciti, malgrado l’assenza di legami diretti con Putin, a ottenere benefici grazie alla propria posizione nella Duma o all’intercessione della Russian Union of Industrialists and Entrepreneurs – RUIE.

Secondo il Professor John P. Willerton, vi è anche un’altra categoria trasversale che è formata da economisti e avvocati di San Pietroburgo (German Gref, Alexander Kudrin, Dmitry Medvedev, Dmitry Kozak etc.), vicini a Putin quando lavorava per il sindaco della città Sobchak.

Convinti della necessità di dare impulso allo sviluppo del mercato (in particolare, del settore privato), di aumentare la qualità della vita e di ridurre la presenza statale nella vita economica del paese, gli esponenti del gruppo ritenevano fosse necessario avviare le riforme costituzionali, legali, amministrative, in grado di costruire un sistema democratico.

Boris Eltsin con Putin

Ovviamente tra questi gruppi compositi non possiamo dimenticare “la Famiglia”, ossia i parenti e le persone legate al Presidente Eltsin.

In particolare, la figlia Tatiana Yumasheva nel 2011, collaborando con storici e giornalisti, decise di creare un blog “20 Years ago” in cui si poteva rivivere il collasso dell’Unione Sovietica e assistere all’affermarsi di una nuova Russia democratica, di cui il padre, a suo avviso, era un simbolo.

Con Surkov cercò anche di creare un nuovo partito fondato sul progetto “Right Cause” basato a sua volta su un partito liberale “Union of Right Forces”, il cui destino fu, tuttavia, fallimentare.

Il saggio di Zygar evidenzia bene la labirintica distribuzione del potere e la rotazione spesso imprevedibile, di uomini di potere che hanno accompagnato Putin in questi anni, cercando di portare avanti – nelle diverse fasi politiche della sua gestione da primo ministro e presidente – un’agenda politica specifica in grado di modificare il volto della Russia: da Alexander Voloshin a Vladislav Surkov, da Igor Shuvalov a Sergei Ivanov, da Igor Sechin a Vyacheslav Volodin, da Alexei Kudrin a Sergey Shoigu, solo per citarne alcuni.

Il tutto mentre Putin passava da riformatore in lotta contro oligarchi e corruzione a custode del potere fino a raggiungere l’attuale profilo dello Zar deciso a perseguire la sovranità assoluta.

A questo si accompagnavano, tuttavia, forti dissidi “a corte” tra i suoi collaboratori.

Dissidi che hanno certamente aiutato a manovrare meglio chi gli era accanto, in quanto le tattiche di Putin, proiettate spesso nel breve periodo, coglievano di sorpresa gli interlocutori, disorientandoli e rendendo ardua la costruzione di progetti alternativi a quelli putiniani.

Dunque, nuovi nomi affiancano i vecchi e viceversa in una girandola di strategie imprevedibili.

La partita è sempre aperta e vale anche per le posizioni di vertice.

Basti pensare non solo alla notizia smentita dal Cremlino di un candidato – Ksenia Sobchak – scelto dal governo stesso come possibile rivale alle presidenziali, ma anche ai nomi che circolano in questi giorni per il ruolo di primo ministro, dal capo della banca centrale Nabiullina al sindaco di Mosca Sobyanin al ministro dell’industria Manturov.

Dmitry Medvedev con Putin

A tale proposito, è bene ricordare l’amaro confronto, raccontato da Zygar, tra Putin e Medvedev prima delle elezioni presidenziali nel 2012, a seguito di alcune affermazioni pubbliche di Medvedev sulla politica estera poco gradite a Putin:

[…] Nel 2008”, disse Putin, “ero il politico numero in Russia. Avrei potuto farmi rieleggere, ma la costituzione non lo consentiva. Ho seguito le regole e dato il potere a te (ndr Medvedev). Ma eravamo d’accordo che, a tempo debito, ci saremmo seduti e avremmo deciso che fare. Ora quel giorno è giunto. Io sono ancora il politico numero 1 e tu il secondo […] Tu sei più giovane, questo è un vantaggio. Ma io ho più esperienza, un vantaggio per me. Vi è una differenza chiave: i miei numeri, in termini di sondaggi, sono più alti.

Putin, dunque, propose a Medvedev di mantenere il ticket Putin – Medvedev che accettò senza controbattere.

La domanda che in molti si pongono è se sia realmente possibile ipotizzare una “spinta al cambiamento” da parte di questi gruppi (in particolare, la business community) capace di sovvertire l’ordine politico e sociale creato da Putin.

Sempre secondo il Professor Stanislav Markus, paradossalmente è l’assenza dello stato di diritto a garantire maggiori rendite agli uomini d’affari.

E fare affari in uno stato democratico può presentare vantaggi (prosperità economica, riduzione della dipendenza dalle autorità governative etc.), ma anche significativi svantaggi (regolamentazione dei monopoli, maggior tassazione, possibile collasso del sistema politico etc.).

Polizia russa contro Greenpeace

Di certo è prematuro sostenere che gli uomini d’affari russi siano pienamente soddisfatti dello status quo. Ciò che desiderano dal Cremlino sono l’affidabilità delle élites politiche e il miglioramento delle relazioni con l’occidente, soprattutto in questa fase perpetua di sanzioni.

Sarebbe necessaria, inoltre, una figura di “arbitro” che attualmente è assente: Putin, infatti, mantiene un ruolo interventista che può portare i singoli oligarchi oppure figure politiche a perdere improvvisamente il proprio status, come Sergei Pugachev, uomo fidato di Putin nel corso del primo mandato, in esilio dal 2012.

Nella riunione del 21 settembre tra Putin stesso e la business community, il presidente ha specificato l’obiettivo di questi incontri: non solo elencare dati e fare previsioni, ascoltare proposte e analisi, ma

avviare un confronto sulle posizioni reciproche riguardanti lo sviluppo economico complessivo e quello dei singoli settori.

In realtà l’elemento che manca a questi gruppi di potere è la capacità di essere un “team” coeso, di far sentire la propria voce grazie all’avvio di un’azione congiunta.

Ed è, dunque, sempre più difficile contrastare “the Body”, soprattutto quando vengono applicate, in maniera irregolare, regole mai scritte.

Chi potrebbe, dunque, dare avvio a questo immenso cambiamento?

I gruppi di potere insieme al popolo che mantiene sempre un ruolo cruciale. Ma, come noto, “la natura disprezza il vuoto”. Ed è proprio l’angoscia di quella voragine che inghiottì il paese dopo lo sgretolamento dell’Unione Sovietica a frenare molti cittadini, convinti che dopo lo Zar vi sarà davvero solo il diluvio.

Fonte: https://ytali.com/2017/10/13/il-sipario-del-potere-russo-putin-oltre-putin/

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1 commento

  1.   

    Aspettando il declino di Putin la Gemania affonda a passo dell’oca :
    Cdu 29,2%  – Spd 19,5%  –   Afd 13,6
    Si noti anche come l’ultimo sondaggio sia stato eseguito su di un campione di 5,044 persone: cinque volte tanto la norma, per essere davvero sicuri dei risultati.
    Nessuno più si sogna di dire che è tutta colpa di Mr Putin. 
    https://senzanubi.wordpress.com/2017/11/23/germania-affonda-a-passo-delloca-cdu-29-2-spd-19-5-afd-13-6/