Le cose impossibili che chiediamo alla Cina e quelle che non chiediamo

Da quattro mesi l'amministrazione Trump, con il supporto del governo inglese, sostenuta da un barrage mediatico che comprende gran parte dei giornali italiani esagera e sbaglia con i diktat a Pechino. Così peggiora lo scenario geopolitico.

di Marco Marazzi

(WSC) ROMA – La politica è sangue e merda, diceva qualcuno, e quella internazionale forse lo è ancora di più. Era quindi prevedibile che qualche paese sfruttasse il momento di debolezza ed impopolarità della Cina dovuto alla dibattuta gestione iniziale del Covid-19 per assestarle qualche altro colpo. Ci si può stupire di un tale atteggiamento solo se si crede nel mondo “immaginato” da John Lennon; infatti i cinesi, pragmatici e non idealisti, non se ne stupiscono e rispondono per le rime.  Detto questo però, è doveroso distinguere cosa è possibile ottenere da un paese così grande e complesso e cosa non è possibile ottenere anzi finisce per esasperare una situazione creando ulteriori danni ad un mondo già sofferente.   

Da quattro mesi ormai l’amministrazione Trump, con il supporto del governo inglese, e sostenuta da un barrage mediatico completamente allineato sia in America che nel Regno Unito (inclusi gran parte dei grandi giornali italiani) sta chiedendo alla Cina di fare cose impossibili.  Mentre non le sta chiedendo di fare cose possibili.  

Partiamo dalle cose impossibili: 

  1. Alla Cina viene chiesto di continuare ad onorare un impegno preso a inizio gennaio di importare ulteriori 200 miliardi di merci e servizi americani in due anni (spesso, ricordiamolo, a scapito di merci o servizi europei); impegno preso obtorto collo per evitare ulteriori dazi americani.  Allo stesso tempo, però, le viene chiesto di accettare che le sue aziende tecnologicamente più avanzate vengano ostacolate senza alcun riguardo alle regole del WTO non solo in America, ma adesso – su pressione USA – anche in alcuni paesi europei.  La recente saga che coinvolge Tik Tok, una app di successo di proprietà di azienda privata cinese che sembra debba finire per forza nelle mani di un investitore americano per evitare “problemi” non è una storia edificante.  
  2. Alla Cina viene chiesto di risolvere in pochi mesi i problemi di due regioni come il Xinjiang e il Tibet che costituiscono UN TERZO del territorio del paese, sollevando – in questa fase storica – questioni che vanno avanti da decenni, con tutti loro i lati problematici.  E tutto questo le viene chiesto di fare in un momento in cui (a torto o ragione) i cittadini temono una disgregazione del paese a causa di spinte centrifughe: basta passare due giorni sui social cinesi per coglierne il senso.  E quando il suo vicino amico/nemico di sempre, l’India, sembra pronta ad approfittare di qualsiasi passo falso, come farebbe – nel mondo reale e non ideale – qualsiasi altro paese.   Restiamo intesi: se ci sono violazioni dei diritti di minoranze etniche, ovunque esse avvengano, è giustissimo fare pressioni perché non avvengano, ma chiudere l’occhio su alcuni paesi e concentrarsi solo su altri non rende l’argomentazione convincente. 
  3. Alla Cina viene chiesto di rinunciare a considerare strategici il Mar Cinese Meridionale e lo stretto di Malacca, da cui passano le merci che vanno ad Ovest ed entra gran parte del petrolio importato dalla Cina. Per fare un paragone è come se si chiedesse agli USA di ignorare un ipotetico controllo cinese del canale di Panama o la presenza di portaerei russe nel Golfo del Messico.  Certo, la situazione nel Mar Cinese Meridionale è resa complessa dalle pretese territoriali marittime contrastanti dei vari paesi, ma non è ignorando la preoccupazione cinese su Malacca che si risolverà, anzi.  Allo stesso tempo, viene chiesto alla Cina di accettare, sic et simpliciter, una dichiarazione di indipendenza di Taiwan: un tema che si trascina da altri 50 anni andrebbe cioè risolto in poche settimane, possibilmente prima delle elezioni americane, e sempre nel momento di maggior debolezza economica di Pechino. Che possibilità c’è che questo avvenga?  
  4. Alla Cina infine, da lato europeo, viene chiesto di accelerare negoziati con l’Unione Europea per un accordo sugli investimenti che sono andati avanti per 7 anni, chiedendole di fare in un anno riforme sostanziali delle proprie aziende di stato (leggi: privatizzazioni) che nel breve termine potrebbero causare disoccupazione galoppante e disordini sociali.  Questo viene chiesto nel momento di maggior debolezza economica degli ultimi 10 anni. Come reagirebbe l’opinione pubblica cinese a una “capitolazione” su questo argomento in questo momento storico?  

Tralascio per pietà l’ultima allarmante richiesta di Mike Pompeo al Partito Comunista cinese, al potere da più di 70 anni e con 92 milioni di iscritti di farsi semplicemente “da parte” (perché lo dice lui), fortunatamente una richiesta non ripresa da alcun altro leader mondiale.   

Ma il problema è questo: anche ammesso e assolutamente non concesso che la Cina ceda su qualsiasi posizione di cui sopra, quali sarebbero gli effetti benefici immediati per i cittadini del cosiddetto “occidente”? Quali e quanti per gli americani e quali e quanti per gli europei? E quali per quelli cinesi, del cui consenso va comunque tenuto conto?  Non è assolutamente chiaro.   

Tuttavia, c’è un’unica cosa che andrebbe chiesta alla Cina e che avrebbe benefici futuri immediati sia sui propri cittadini che sul resto del mondo:  scoprire cosa non ha funzionato nell’allerta iniziale sui casi di “polmonite atipica” a Wuhan, completare in modo trasparente le ricerche sull’origine animale del virus e il passaggio da animale ad uomo, e – se origini e ritardi iniziali verranno confermati – spiegarci in maniera chiara quali misure sono state adottate per evitare analoghi fenomeni in futuro e in che modo sarà possibile per il mondo verificare tali misure.  Non al fine di attribuire “colpe” o assurde richieste di risarcimento (mai successo per un paese origine di epidemie passate), ma per rendere più semplice la convivenza obbligata con una nazione così grande,  potenza nucleare e seconda economia al mondo e con un 1/5 degli abitanti della terra, senza la quale non potremo risolvere alcuno dei problemi globali che fino all’arrivo del Covid-19 ci preoccupavano, e che saranno lì ad attenderci dopo il Covid-19.  

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