La Repubblica agnellizzata con Molinari direttore gioca sul vecchio asse Pd-Usa-Nato

Dietro al cambio di direzione al quotidiano Exor, tentativo di rinsaldare rapporto tra dem e ambienti atlantici, isolando Salvini, privilegiando la Meloni e schiacciando M5S.

di Lao Xi

(WSC) Roma – Praticamente poche ore dopo il cambio di direzione a Repubblica, il vecchio sodalizio tra il giornale e il Pd appare essersi rinsaldato su nuove basi.  Si è passati da Carlo Verdelli, favorevole a Giuseppe Conte, a Maurizio Molinari, più critico sul Governo; parallelamente il Pd, prima strenuo sostenitore del premier, ha assunto toni più critici dopo il suo discorso di domenica sulla fase 2. Anche la Cei, fino a ieri sostenitrice del Governo, si è unita alle critiche, e Italia viva di Matteo Renzi, in maggioranza ma già dubbiosa, si è scostata di più.

Conte non cadrà per questo, egli ha provato di avere sette vite. Ma forse qualcosa di nuovo è in moto. Molinari non è un uomo di sinistra e non ha diretto un giornale di sinistra a La Stampa. Egli è un nobile conservatore di una volta, con solidi rapporti in America e in Israele, due colonne della politica estera italiana. 

Dietro di lui c’è una proprietà, la famiglia Agnelli guidata da John Elkann, che per molti anni ha rappresentato importanti interessi del Paese. Il nuovo direttore ed evidentemente la proprietà forse sono molto preoccupati della confusione crescente in Italia, di certi strepiti sull’euro che spingono in alto lo spread, e in generale di un rischio di default economico e sociale. 

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Sono interessi legittimi, che riguardano le prospettive di lungo termine del Paese, che non hanno coloriture “di sinistra” ma dovrebbero incorporare la sinistra. Occorrerebbe quindi una profonda operazione “interclassista” come quella operata dalla Dc degli anni 50 e in questo il nuovo corso di Repubblica potrebbe e dovrebbe combaciare con il nuovo corso del Pd, non più troppo condizionato da certe spinte populiste.

Il problema, però, al di là degli eventi di oggi, non è semplice da risolvere. Innanzitutto la “emergenza coronavirus” non è questione di settimane, ma di mesi e forse di anni. Al di là del numero di malati e morti, i danni strutturali a tutte le economie del mondo saranno devastanti. 

Fintanto che non ci sarà un vaccino o una cura certa, i consumi resteranno depressi, al di là di ogni passo avanti nella produzione. Non ci si accalcherà più per andare a un ristorante, a un cinema, a un bar, in vacanza, su un treno, in un negozio. E la calca è lo spirito del consumo. 

Le frizioni crescenti tra Usa e Cina stanno rapidamente ridisegnando la politica nazionale e internazionale ovunque, con impatti enormi nella catena della produzione. L’Italia sarà obbligata a scegliere da che parte stare con chiarezza.

Il terremoto economico potrebbe significare anche l’impoverimento drammatico di ampie fasce della società. La Dc conquistò il consenso con riforme agrarie e la crescita economica che strapparono alla povertà più abbietta milioni di persone. Era il New Deal italiano.

Il timore dell’impoverimento, la sfiducia nei vecchi gruppi dirigenti hanno portato in auge i vari tipi di populismo italiano. Se non si darà risposta a queste preoccupazioni legittime ogni operazione di buona amministrazione statale, destinata a pagare nel medio-lungo termine, si scontrerà con la rabbia del breve periodo aizzata dal populista di turno.

In questo senso due grandi sfide all’asse Repubblica-Pd paiono emergere, una a destra e l’altra a sinistra. A sinistra pare consolidarsi un nuovo filone con l’alleanza M5s-Fatto Quotidiano. A destra sembra di vedere invece il tramonto di Matteo Salvini mentre sorge l’astro di Giorgia Meloni. La debolezza di questi movimenti ai lati è che essi hanno pochi riferimenti internazionali veri e quei pochi sono “sbagliati”. Non basta la foto con Trump per avere rapporti con il mondo conservatore americano internazionale, come non basta una stretta di mano con Xi Jinping per vantare relazioni strutturate con la Cina. Inoltre, al di là della rabbia urlata, giustamente o ingiustamente, i vari populismi non hanno dato risposte concrete.

Visto da lontano, il problema dell’Italia rimane quello enorme di avere perso il suo destino. Essa era marca sudorientale della Nato nella prima Guerra fredda. Negli ultimi 30 anni non è più stata un confine, ha perso il senso del suo destino e si è concentrata solo su se stessa come se il mondo non esistesse.

Nessuno dei tre blocchi ha un progetto per l’Italia. Il blocco Pd-Repubblica ha il senso dell’appartenenza profonda all’abbraccio atlantico, tanto più importante in quanto manca ai due lati. Ciò è un punto iniziale fondamentale, ma poi rimane anche soltanto un punto di inizio. Se l’Italia prende solo ordini e non contribuisce positivamente al nuovo ordine globale poi passa in terza fila. Inoltre, serve un altro New Deal italiano. Alla fine sarà con questo che si governerà il Paese o lo si perderà.

Questo articolo, che non necessariamente rispecchia la linea editoriale di Kissinger, è stato in origine pubblicato da IlSussidario.net, che ringraziamo.

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