Renzi, un ritorno alla Prima Repubblica in salsa democrat

I collegi plurinominali dell’Italicum, la nuova legge elettorale studiata dal professor Roberto D’Alimonte, più che rappresentare un salto nel futuro hanno in sé qualcosa d’antico e, in alcuni …

I collegi plurinominali dell’Italicum, la nuova legge elettorale studiata dal professor Roberto D’Alimonte, più che rappresentare un salto nel futuro hanno in sé qualcosa d’antico e, in alcuni casi, sembrano tagliati su misura per agevolare la vittoria del partito di Matteo Renzi.

Gli esempi più eclatanti sono vari. A partire dalla Toscana tanto cara al premier. Firenze è ovviamente salvaguardata nella sua unità con l’inserimento di alcuni Comuni limitrofi per raggiungere la soglia dei 600mila elettori componenti ciascun collegio dell’Italicum. Il resto della provincia, invece, è stato affastellato con Empoli, pezzi di Arezzo e di Pisa. Alla città della torre pendente è stato riservato l’affronto di unirsi agli odiati livornesi così come ai lucchesi di stare insieme a Massa. Il risultato è la «blindatura» di ciascuno dei sei collegi considerato che nella parte costiera della Toscana, Livorno esclusa, il centrodestra di tanto in tanto riesce a prevalere. Più che uno spostamento degli equilibri una conferma di quelli attuali.

Lo si vede ancor più chiaramente in Emilia Romagna e, soprattutto, in Friuli Venezia Giulia. La provincia di Ravenna è stata praticamente divisa in due per sostenere da una parte Ferrara e dall’altra, con Faenza, il comprensorio di Imola. Stesso discorso sulla linea dell’Isonzo. Trieste e Gorizia assieme a una quarantina di Comuni dell’Udinese fanno un collegio, mentre il resto della Regione è nell’altro. Considerata la marginale differenza tra gli schieramenti di centrodestra e centrosinistra (l’M5S è in progressivo arretramento), il Pd può rafforzare il suo presidio.

Si potrebbe obiettare che sia la matematica a imporre questi spacchettamenti e si tratta di un’obiezione fondata, ma collocando un Comune da una parte piuttosto che da un’altra si possono mutare le forze in gioco. Basta guardare la Provincia Bat (che non sta per «pipistrello» in inglese ma per Barletta-Andria-Trani). Barletta è storicamente di sinistra (adesso ne è sindaco l’ex portavoce di Napolitano Pasquale Cascella), Andria è storicamente di centrodestra, nel resto dei Comuni i candidati appoggiati da Silvio Berlusconi hanno sempre ben figurato. Si ricordi che era il collegio di Gabriella Carlucci prima del tradimento del 2011. Con il rinforzo di Ruvo e Corato, paesi rossi della provincia di Bari la Bat sarà un po’ più a sinistra. Idem per Mantova rafforzata dalla città di Cremona la cui provincia, invece, farà collegio con Lodi.

La grande novità rispetto al recente passato, però, è il ritorno delle grandi città. Milano, Torino, Roma e Napoli torneranno ad esprimere i loro deputati. Questa non è propriamente una buona notizia per il centrodestra meneghino. Storicamente Milano esprime sempre un voto radical snob . Alle ultime consultazioni territoriali nella capitale lombarda hanno infatti prevalso il sindaco Pisapia e il candidato Pd uscito sconfitto alle Regionali Ambrosoli. Nelle grandi città il centrodestra ha sempre fatto fatica. Ora sarà chiamato ad ampliare il radicamento territoriale a partire dai grandi Comuni.

Certo, il ballottaggio previsto dell’Italicum nel caso in cui la prima lista non superi il 40% su base nazionale riserva speranze. Ma al momento i sondaggi danno l’M5S come secondo partito. I numeri dei sondaggi, però, hanno un valore limitato al momento nel quale sono effettuati, mentre la nuova legge elettorale sarà utilizzabile solo a partire dall’anno prossimo (riforma del Senato permettendo). È chiaro, come dimostrato dal fortunato esempio delle Comunali di Venezia, che un «listone» unico di centrodestra (l’Italicum non consente coalizioni e apparentamenti al secondo turno, salvo modifiche future) avrebbe buone chance in un eventuale ballottaggio. Ma, ad oggi, i numeri dicono che Renzi un pezzettino di riconferma sta pensando già a come metterlo in cassaforte.

di Gian Maria De Francesco

Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Il Giornale

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