Italy must choose between the euro and its own economic survival

“L’Italia deve scegliere tra l’euro e la sua propria sopravvivenza”. Mentre le sinistre italiane celebrano l’ultimo trionfo della loro ideologia fallimentare e degressiva,  le “Nozze gay”, sul Telegraph …

“L’Italia deve scegliere tra l’euro e la sua propria sopravvivenza”. Mentre le sinistre italiane celebrano l’ultimo trionfo della loro ideologia fallimentare e degressiva,  le “Nozze gay”, sul Telegraph Ambrose Evans-Pritchard (il miglior giornalista economico d’Europa, nella foto) fa’ la diagnosi  della nostra agonia.  Anche se molti elementi sono noti, la limpida organizzazione li rende spaventosi.

Dopo sette anni di  (relativa) espansione globale, solo l’Italia resta intrappolata nella trappola debito-deflazione e in una crisi bancaria “che non può combattere dentro le stretture paralizzanti dell’unione monetaria”. Ora “sta finendo il tempo concessole”: l’artificiale ripresa mondiale gonfiata dalla Federal Reserve e dal boom creditizio cinese è  alla fine. E anche l’effetto del  triplice stimolo dovuto al petrolio incredibilmente a buon prezzo, l’euro debole e la polverina magica di Draghi (che compra i titoli di debito col denaro creato dal nulla)  sta svanendo prima che il paese sia sfuggito dalla trappola della stagnazione.

Le stupide norme europee – che i nostri governi hanno firmato, pensando con  furbizia italiota di aggirarle, e i tedeschi avrebbero chiuso un occhio  – ci impongono di “rientrare” dal nostro debito pubblico, ridurlo dal 120% al 60 per cento del Pil,  al ritmo di tagli del 3,6% de debito sul Pil.  Il che si può fare – eccome no? – a patto di mantenere per vent’anni un bilancio in attivo, da dedicare al ri-pagamento del debito,  e un attivo tanto grande da coprire quel 3,6.

Ignazio Visco, governor of the Banca d'Italia, left, and Italian finance minister Pier Carlo Padoan, right

Un surplus che la recessione divenuta depressione e adesso deflazione, rende matematicamente impossibile. Infatti  solo un po’ d’inflazione  (con un po’ di crescita) può ridurre non la misura assoluta del debito (che resterà colossale), bensì il “rapporto debito-Pil”; facendo aumentare in termini monetari il Pil, rispetto al quale il debito sembra minore. Tutti gli anni i governi italioti hanno scritto nei loro bilanci di previsione una ottimistica riduzione del rapporto. Ogni anno hanno fallito. “Il debito è stato il 121% del Pil nel 2011,  123 nel 2012, 129%  nel 2013. Nel 2014, 132,7%”.  Per effetto meccanico della deflazione e per le austerità imposte dall’Europa.

Questi dati, in un paese serio, avrebbero portato da tempo al cambio di classe dirigente. Invece la nostra celebra il suo trionfo  dei “diritti civili”, con le facce della Cirinnà e Boldrini.  Tagli dopo tagli  (dei servizi pubblici, non dei loro stipendi), austerità dopo austerità (non per lorsignori),  supertassazione dopo supertassazione  (a carico dei produttori) non sono servite nemmeno a fa declinare questo rapporto. Il Fmi prevede per noi una crescita dell’1 per cento, già ottimistica. Lontanissima dal 3,6 necessario.

Ed ora, sta arrivando un’altra recessione  globale.  In che condizione ci arriviamo? Il giornalista ita il governatore i Bankitalia, Vincenzo Visco: “Abbiamo perso 9 punti percentuali di Pil e un quarto della nostra produzione industriale”.  Lui, Visco, ha presieduto la banca centrale con uno stipendio colossale, assistendo a questa distruzione,  e solo adesso  se ne accorge? In un paese normale, sarebbe stato da tempo fucilato alla schiena.

italy

Entriamo nella recessione 2.0  con le risorse produttive crollate, un sistema bancario fallito  governato da ladri e truffatori,  e senza aver fatto “le riforme”, le sole che contano: quelle razionalizzazioni e  snellimenti  che obbligano il settore pubblico a lavorare per la nazione, non contro di essa, come parassiti succhia-sangue.  “L’Italia è enormemente vulnerabile”,  dice Simon Tilford del Centre for European Reform. “E  il governo non  ha munizioni per scongiurare  la recessione” , o il nuovo collasso.  In questo tempo l’Italia ha perso il 30 per cento di competitività sul costo del lavoro contro a Germania, e la sua produttività è collassata del 5.9  per cento dal 2000.  Perché? Logico: perché abbiamo adottato la moneta tedesca senza diventare noi stesi antropologicamente dei tedeschi. Specie la “classe dirigente” e l’apparato di pubblico parassitismo ha sgavazzato nelle sue inefficienze, senza il minimo sforzo di ridurle.

Mettiamo qui i puntini sulle i:

La produttività del lavoro è rimasta altissima, persino superiore a quella tedesca,  in certi settori produttivi (del Nord). Benissimo, sono quelli che la sanguisuga pubblica ha più penalizzato ipertassandoli, facendogli mancare le infrastrutture, trattandoli da “evasori” e quindi assoggettandoli a un controllo asfissiante e  sospettoso,   da potenza occupante straniera – tutte cose che si sono tradotte in costi inutili e dunque “perdita di competitività del lavoro”.

Non basta: questi signori hanno accettato senza discutere (forse senza capire) la “ricetta” impostaci da Berlino e Bruxelles: la “svalutazione interna”. Capite cosa significa?  Invece della svalutazione esterna (della moneta) hanno svalutato i nostri lavoratori  del settore privato (ossia produttivo) , costretti a  tagli dei salari, ormai da fame.  Loro, tagli dei salari, nessuno…

“Cercare di guadagnare competitività con la svalutazione interna   [tagli salariali  ai  privati] non fa’ che invelenire la dinamica del debito e perpetuare la depressione. Il risultato è l’implosione industriale”, che in Italia “è sotto i nostri occhi”.

Uno degli effetti è  che le banche italiani sono strapiene di  crediti andati a male, su cui i debitori non pagano più gli interessi.   360 miliardi, il 19 per cento del bilancio del sistema bancario.  Il peggiore dei G-20, forse più di quello della Cina (che però è la prima manifattura mondiale, mentre noi abbiamo de-industrializzato). Attenzione:   parte di questo orrore  è dovuto ai furbastri  come topi nel formaggio siedono nei  cda delle banche, che davano prestiti agli amici o a  sé stessi.  Ma se pensate, come strillano i media e le sinistre più a sinistra, che è  stato “il papà della Boschi” e quindi tutto si risolve  chiedendo “le dimissioni della Boschi”, siete ancora prigionieri della demenza italiota, nella sua eterna lite di condominio sragionante.

Il problema è alquanto più  grave. “E’ normale avere nel sistema bancario un’alta quota di crediti andati a male, dopo tanti anni di una recessione così profonda”, dice infatti Lorenzo Codogno,  già economista al Tesoro ed oggi alla London School of Economics.   La Banca Centrale Europea  peggiora la situazione,   “insistendo ad esigere”  dalle banche malandate che accantonino sempre maggiori riserve. “Non dovrebbe farlo, perché non fa che aggravare la instabilità”.

disocc sud

Ma lo  ordinano le regole europee. Come le norme europee sul bail-in (che pure il nostro governo e il nostro Visco hanno firmato!) son quelle che impediscono alle banche di cancellare dai loro libri contabili i  crediti peggiori,  quelli cadaverici, che ammontano a 83,6 miliardi: perché se lo fanno sono forzate dall’Europa a ricapitalizzazioni forzate –  in tempi dove i capitali sono scomparsi – e tagliare i creditori , come hanno visto i depositanti di Banca Etruria e Montepaschi.

“Le norme sul bail-in sono fonte  di gravi rischi di liquidità e di instabilità finanziaria” ha dichiarato Visco, quasi non fosse stato lui ad accettarle, e dovrebbero essere riviste prima di innescare una corsa agli sportelli de sistema bancario italiota (corsa che pare già avvenuta, con emorragie di capitali fuggenti all’estero).   E questo per quanto riguarda le colpe dei nostri cosiddetti dirigenti, la cui incompetenza  dovrebbe essere punita.

Ma le colpe europee sono ancor peggiori. In questo frangente, invece di dare una mano, Bruxelles, Francoforte e Berlino  si intromettono e ostacolano tutte le soluzioni che il governo renzicchio (o il governicchio Renzi) prova per uscirne.  La soluzione anglosassone, la bad bank in cui accumulare i cediti andati a mal, è  stata bocciata perché contro le regole europee; la BCE insiste  chiedere le ricapitalizzazioni, che impediscono alle banche di alleggerirsi dei crediti defunti; han consentito al fondo Atlante, un ibrido quasi bad-bank,   forzando le banche relativamente sane e le assicurazioni a cacciare 4,25 miliardi per “salvare” le banche fallite.  Salvataggio,   va’ dal saccheggio dei  fondi-avvoltoio che  già  fanno i giri attorno a Unicredit e alle altre,  e  comprerebbero per un euro il monte-risparmi degli italiani, le centinaia di miliardi che tanto da sempre fa’ gola alla finanza globale.  La “soluzione” Atlante, permessa dall’Europa, non farà che trascinare nel panano le banche relativamente più sane, aggravando la crisi sistemica.  E qui “il papà della Boschi” non è il problema.

Il problema è il sistema  monetario europeo.  Che funziona a senso unico (come vuole Berlino): “I paesi devono obbedire ad una plétora di regole e regolazioni – ma quando la crisi colpisce uno dei paesi, non gli arriva alcuna solidarietà, alcun aiuto”.  Non c’è alcun vantaggio né beneficio ad attenersi alle  regole. Allora perché restare nell’euro?  Se ad obbedire ci si perde, e non si ottiene nessun soccorso dalla solidarietà monetaria europea (inesistente).

Evans- Pritchard dice che alcuni industriali italiani (“poteri forti”, in italiano nel testo)  gli hanno sussurrato che il ritorno alla  lira  non sarebbe poi un gran male.  Meglio tardi che mi, “poteri forti” de miei stivali. Il 48 per cento degli italiani c’è arrivato prima di voi, è già disposto ad uscire dal modo scorsoio chiamato euro. Il punto è che forse è tardi. Salvini e Grillo  ci sono arrivati, ed hanno dietro due grossi partiti. Forse perfino il governo Renzi e il PD può decidere, alla fine, per salvare se stesso, di uscire dall’euro, spera il giornalista britannico.

Ma  forse è troppo tardi.  Abbiamo aspettato troppo, addormentati da Monti, dai Bersani, dai Visco e da Padoan.

Svalutare farà bene, se poi l’industria lavora a pieno ritmo; ma quale industria? È stata stroncata al 25%.   E le competenze dei lavoratori da rimettere al lavoro con salari in lire, ci sono ancora, dopo dieci anni di  desertificazione?

Il tasso di disoccupazione uficiale,11,4 per cento, non inganni: bisogna aggiungerci l’altro 12 per cento degli scoraggiati che non cercano più lavoro,” Il triplo della media UE. Vogliamo quindi dire la verità? Un buon 23  per cento sono fuori dal lavoro da troppi anni per riprendere in  pieno.

E i giovani? La disoccupazione  giovanile è 65% in Calabria, 56% in Sicily, and 53% in Campania”  – queste regioni modello, dove i governi  locali si pagano così tanto e sprecano così bene in combutta con la rispettive camorre – , “nonostante centomila all’anno se  ne vadano dal Mezzogiorno, e il tasso di natalità  nei territori che furono dei Borboni è il più basso dal 1862, da quando il Regno delle Due Sicilie ha cominciato a raccogliere le statistiche. La pauperizzazione è al livello della Grecia, la produzione industriale è crollata del 35 per cento e gli investimenti del 59% rispetto al 2008”.  Insomma il Sud è gi probabilmente avvitato in quel giro della morte che porta da  una crisi ciclica ad uno stato di sottosviluppo permanente.  L’Africa  è il vostro traguardo, meridionali. E temo che la cosa nemmeno vi dispiaccia.  Gli studenti (chiamiamoli così) della scuola pubblica italiana (chiamiamola scuola) si stanno rifiutando di sottoporsi ai test INVALSI: naturalmente istigati dai loro insegnanti,  perché i test INVALSI  provano la loro incompetenza  come docenti.  Ovviamente sono “de sinistra” gli insegnanti anti-INVALSI, gli studenti, e la stampa che li sostiene, in prima linea   Il Manifesto.  E’ la protesta dei fancazzisti che si vogliono far mantenere. E la chiamano la Sinistra.

di Maurizio Blondet

Fonte: www.maurizioblondet.com

 

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Di seguito la traduzione integrale dell’articolo di Ambrose Evans-Pritchard “Italy must choose between the euro and its own economic survival”, a cura di Voci dall’Estero:

di Ambrose Evans-Pritchard, 11 maggio 2016

L’Italia sta esaurendo il tempo a disposizione, dal punto di vista economico. Dopo sette anni di espansione globale, che si sta esaurendo, il paese è ancora bloccato nella deflazione del debito e in una crisi bancaria che non è in grado di affrontare dentro i vincoli paralizzanti dell’Unione Monetaria.

Abbiamo perso il nove percento del PIL dall’inizio della crisi, nonché un quarto della nostra produzione industriale“, ha detto Ignazio Visco, il triste governatore della Banca d’Italia.

Ogni anno Roma prevede speranzosamente una discesa del rapporto tra debito pubblico e PIL, e ogni anno puntualmente questo aumenta. Il motivo è sempre lo stesso. Le condizioni deflattive impediscono al PIL nominale di crescere abbastanza da superare il debito.

Gli ipotetici risparmi provenienti da una drastica austerità fiscale – i tagli negli investimenti pubblici – vengono schiacciati dalla inesorabile aritmetica dell’effetto denominatore. Il rapporto debito/pil era 121 percento nel 2011, 123 nel 2013, 129 nel 2013.

Quest’anno l’incremento si è quasi appiattito, restando sul 132,7 percento, aiutato da un euro debole, petrolio ai minimi, e dalla polverina magica del quantitative easing di Mario Draghi. Questo triplo stimolo si sta però esaurendo prima ancora che il paese esca dalla trappola della stagnazione. Il Fondo Monetario Internazionale si aspetta una crescita di appena l’1 percento per quest’anno.

La finestra globale, in ogni caso, si sta chiudendo. L’aumento dei salari americani porterà probabilmente la Federal Reserve ad aumentare il tasso d’interesse, e la speculazione selvaggia spingerà certamente la Cina a limitare il suo boom di credito. L’Italia a quel punto cadrà di nuovo in recessione – forse all’inizio del prossimo anno – con tutti gli indicatori macroeconomici ad un livello peggiore di quanto fossero nel 2008, e con metà del paese pronto a una rivolta politica.

L’Italia è enormemente vulnerabile. Ha attraversato un’intera fase di ripresa globale senza vedere alcuna crescita“, ha detto Simon Tilford del Centre for European Reform. “L’inflazione ‘core’ è ad un livello pericolosamente basso. Il governo non ha praticamente alcuno strumento operativo per combattere la recessione“.

L’Italia ha bisogno di riforme profonde, ma queste sono per loro natura recessive nel breve termine. Si possono fare solo accompagnandole a forti investimenti per compensare lo shock, ha detto Tilford. Ma non si vede alcun New Deal all’orizzonte.

Da un punto di vista legale il Fiscal Compact concordato con l’UE obbliga l’Italia a fare l’esatto opposto: accumulare surplus primari abbastanza grandi da tagliare il 3,6 percento del rapporto debito/PIL ogni anno per vent’anni. Vi viene da ridere o da piangere?

C’è il rischio concreto che Matteo Renzi decida che l’unico modo di restare al potere sia quello di arrivare alle prossime elezioni guidando una piattaforma politica anti-euro. La gente sta diventando sempre più favorevole al rischio politico“, ha detto Tilford.

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In effetti l’ultimo sondaggio Ipsos MORI mostra che il 48 percento degli italiani voterebbe per uscire sia dall’euro che dall’Unione Europea, se ne avesse la possibilità.

Il Movimento Cinque Stelle del comico Beppe Grillo non è scomparso, e Grillo stesso sta ancora parlando di default sul debito e di recupero della lira per rompere la stretta del mercantilismo tedesco (per come la vede lui). Il suo partito è in testa nei sondaggi nazionali con il 28 percento, ed è in posizione favorevole per vincere le elezioni municipali a Roma il prossimo mese.

A destra, la stella nascente è la Lega Nord di Matteo Salvini, il quale al forum di Pescara dello scorso anno [al convegno “Euro, Mercati, Democrazia 2015: Ripensare l’unione dell’Europa”, organizzato dall’associazione A/Simmetrie, NdT] mi disse che l’euro è “un crimine contro l’umanità” – nientemeno – il che vi dà l’idea del punto a cui si trova il dibattito politico.

Il tasso di disoccupazione ufficiale è all’11,4 percento. È ingannevolmente basso. La Commissione Europea dice che un altro 12 percento c’è ma non risulta nei dati, trattandosi dei lavoratori scoraggiati, che non cercano più lavoro, a un tasso triplo rispetto alla media UE.

La disoccupazione giovanile è al 65 percento il Calabria, al 56 percento in Sicilia, al 53 percento in Campania, e questo nonostante un esodo di 100.000 persone ogni anno dal Mezzogiorno – che spesso si dirigono verso Londra.

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L’istituto di ricerca SVIMEZ dice che il tasso di natalità nei territori ex-borbonici è al minimo dal 1862, da quando si iniziarono a raccogliere i dati. L’impoverimento è comparabile a quello della Grecia. La produzione industriale è diminuita del 35 percento dal 2008, gli investimenti del 59 percento.

SVIMEZ avverte che la spirale discendente sta trasformando una crisi ciclica in “uno stato permanente di sottosviluppo“. In breve, il Sud Italia è vicino al collasso sociale, e c’è ben poco che il Primo Ministro, Matteo Renzi, possa fare realmente, a meno di recuperare la sovranità economica dell’Italia.

La storia del catastrofico calvario dell’Italia nell’euro è lunga e complessa. Il paese aveva un ampio surplus commerciale con la Germania a metà degli anni ’90, prima che i tassi di cambio fossero fissati definitivamente. Erano i tempi in cui si poteva ancora recuperare competitività e reddito con la svalutazione della moneta, per la grande irritazione delle camere di Commercio tedesche.

Basti dire che l’Italia ha perso il 30 percento di competitività in termini di costo del lavoro per unità di prodotto rispetto alla Germania nel corso degli ultimi quindici anni, in parte perché la Germania ha compresso essa stessa i salari per guadagnare una marcia rispetto agli altri, ma anche perché la globalizzazione ha colpito i due paesi in modo differente. L’Italia è inciampata su un “cattivo equilibrio”. La sua produttività è scesa del 5,9 percento dal 2000, un crollo spaventoso.

Parlare di colpe non serve a nulla. La critica antropologica all’Unione Monetaria Europea è sempre stata che non sarebbe riuscita a mettere assieme paesi europei così diversi e spesso contrastanti, con culture eterogenee, entro un’unico recinto – e infatti non ci è riuscita.

Puoi dare la colpa a questo o quel governo italiano, ma l’unica questione rilevante oggi è che l’Italia ora non riesce a uscire dalla trappola. Gli sforzi per riguadagnare competitività tramite svalutazione interna non fanno altro che peggiorare la dinamica del debito e prolungare la depressione. Il risultato, che abbiamo davanti ai nostri occhi, è l’implosione industriale.

In questa miscela altamente infiammabile dovete poi aggiungere la crisi bancaria, che espone ulteriormente il carattere disfunzionale dell’unione monetaria, e che sta peggiorando di giorno in giorno. Il prezzo delle azioni bancarie della maggiore manca italiana, Unicredit, oggi è caduto del 4,5 percento. Nel corso degli ultimi sei mesi ha perso metà del suo valore, a dimostrare la situazione di un settore gravato da 360 miliardi di euro di crediti deteriorati – il 19 percento dei bilanci delle banche italiane.

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Si tratta del valore più alto nel G20, sebbene alcuni dicano che il dato per la Cina sia molto vicino. Le banche deono ancora depennare 83,6 miliardi di euro di crediti in sofferenza. Non lo hanno ancora fatto per un motivo. Il loro coefficiente patrimoniale è troppo basso, di qui i timori per una ricapitalizzazione forzata e del bail-in secondo le nuove normative europee.

Tutto ciò è politicamente esplosivo. Decine di migliaia di risparmiatori italiani in piccole banche hanno già visto calare l’ascia, scoprendo con orrore che i loro risparmi sono stati spazzati via. La Banca d’Italia ha detto che la nuova normativa sul bail-in è diventata “una fonte di grave rischio per la liquidità e di instabilità finanziaria“, e dovrebbe essere riconsiderata e rivista prima di scatenare una corsa agli sportelli.

Il governo voleva cercare di seguire il modello anglo-sassone e creare una “bad bank” con fondi pubblici su cui depositare i crediti in sofferenza, ma ciò è stato reso impossibile dalle regole dell’eurozona. “In pratica stanno tentando tutte le vie possibili“, ha detto Lorenzo Codogno, ex capo economista del Tesoro italiano, che ora lavora presso la London School of Economics.

La politica di sorveglianza bancaria della BCE ha peggiorato le cose. “Continuano a chiedere alle banche di mettere altro denaro. È ovvio avere molti crediti in sofferenza dopo una lunga e profonda recessione, la BCE non dovrebbe comportarsi così. Sta in effetti creando instabilità“, ha detto.

Alla fine il governo italiano ha lanciato il fondo “Atlante”, fondo ibrido di 4,25 miliardi di euro, costringendo banche e assicuratori a partecipare. L’obiettivo è di riassorbire una parte del credito deteriorato, di impedire la svendita degli asset ai fondi avvoltoio stranieri ad un livello che spazzerebbe via il capitale, e di impedire che Unicredit sia costretta a ricapitalizzarsi in condizioni di mercato ostile.

Atlante è pieno di rischi. Silvia Merler, di Bruegel, dice che questa iniziativa mette nel pantano anche le banche sane, aumentando di conseguenza il rischio sistemico. Non è riuscita comunque a guadagnare ulteriore tempo.

L’Italia è ora nella peggiore delle condizioni possibili. Non può intraprendere azioni normali da paese sovrano per stabilizzare il sistema bancario a causa delle interferenze e delle regole europee, e d’altra parte non c’è alcun sistema bancario europeo degno di questo nome, o sistema di assicurazione dei depositi condiviso, su cui scaricare i pesi. “Saremo seriamente nei guai se ci sarà un’altra recessione“, ha detto Codogno.

Il modo in cui l’unione bancaria sta funzionando, nel suo insieme, è sintomatico delle pratiche usate in UE. I paesi devono rispettare una sfilza di regole e leggi, ma quando arriva una crisi non c’è alcuna solidarietà: nessuno dei benefici di un’unione bancaria è destinato ad arrivare“, ha detto Tilford.

Matteo Renzi è di fronte a una scelta molto spiacevole. O decide di mandare al diavolo le autorità UE o se ne resta impotente a guardare l’implosione del sistema bancario italiano e l’avvitamento del paese nel default sul debito.

L’Italia non è la Grecia. Non può essere soggiogato con la forza. Oltretutto i “poteri forti” dell’industria italiana stanno iniziando a bisbigliare che un’espulsione dall’eurozona non sarebbe poi così male.

Potrebbe essere in realtà l’unico modo di evitare una deindustrializzazione catastrofica del paese, prima che sia troppo tardi.

 

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2 commenti

  1.   

     

    Veramente la Soluzione e’ molto esplicita : l’Italia per salvarsi deve uscire dall’Euro, dice Pritchard, anche se e’ forse troppo tardi..
    Infatti ,  altre non ne esistono, e attendere che la nave  affondi non credo convenga  a nessuno .
    Per certo non ci sono piu’ le condizioni in cui un Paese gia’ stremato possa  recuperare le forze in alcun modo, per rompere questo vincolo maligno , anche nel caso di una Brexit.
    Renzi, ha completato l’opera di Monti e gli Italiani ora, sfiancati, possono al massimo litigare fra loro, mentre osservano i politici dell’ultima spiaggia cambiare poltrona, pur concedendo liberta’ su organi, adozioni, gay, e sdoganado sodoma e gomorra come risarcimento per l’induzione alla poverta’ ed alla sottomissione al potere dei Banchieri.
    Non puo’ esistere, credo, un paese in cui i politici  possono disporre come vogliono, dei soldi dei Cittadini  . Per questo motivo stanno ritirando la moneta dalla circolazione, e cosi’  ogni speranza sara’ persa.

  2.   

    letto tutto, non fa una piega. Era tempo che non leggevo una diagnosi tanto lucida sulla crisi italiana, anche se presa para-para da Ambrose Evans-Pritchard, che da anni non ha mai cambiato la sua linea british antieuropea. D’accordo su tutto, vero, ma come al solito…. non viene proposta NESSUNA soluzione. Anche l’uscita dall’euro non sarebbe una soluzione, lo si capisce dall’articolo. Grillo ci ha rinunciato da un pezzo e i 5 stelle (sempre con il piede in 4 staffe, pur di governare ormai hanno la saliva alla bocca….Di Maio in testa) non faranno mai il referendum sull’euro che avevano proposto. Salvini, non voglio neanche parlarne, mi viene il voltastomaco.
    (oggi pomeriggio lento in studio, ma che sta succedendo, bohh??)