Frontiere chiuse, Germania, Svezia e Danimarca: difendere Schengen, ma no all’invasione di richiedenti asilo

I rappresentanti dei tre Paesi convocati a Bruxelles dalla Commissione Ue dopo la scelta di non rispettare il patto sui confini mettono in luce tutte le difficoltà dell’Europa a trovare una …

I rappresentanti dei tre Paesi convocati a Bruxelles dalla Commissione Ue dopo la scelta di non rispettare il patto sui confini mettono in luce tutte le difficoltà dell’Europa a trovare una soluzione condivisa alla crisi dei rifugiati.

Per tutti il sistema Schengen va protetto, ma ognuno rivendica il diritto a qualche deroga per salvaguardare il proprio Paese. Mette in luce tutte le difficoltà della ricerca di una soluzione davvero europea alla crisi dei rifugiati l’incontro tra i rappresentanti di Germania, Svezia e Danimarca organizzato a Bruxelles dalla Commissione europea. Una “discussione costruttiva” durante la quale “tutti hanno concordato che Schengen e la libertà di movimento devono essere preservati sia per i cittadini che per l’economia”, riassume a fine incontro il commissario all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos. Peccato che a fianco alla decisione di limitare le misure allo “stretto necessario” per “tornare alla normalità il prima possibile”, ogni Paese abbia anche sostenuto di avere ottime ragioni per annullare, almeno temporaneamente, quella che viene definita come la più grande conquista dell’integrazione europea.

“Di sicuro in Danimarca non vogliamo essere la destinazione finale di migliaia e migliaia di richiedenti asilo”, chiarisce il ministro all’immigrazione danese, Inger Stojberg, avvertendo anche che il Paese sta monitorando la situazione ed è pronto a dare vita anche un sistema di responsabilità per i trasportatori, meccanismo adottato pochi giorni fa dalla Svezia che ha iniziato a multare le compagnie di trasporti che non conducano adeguati controlli sui viaggiatori condotti nel Paese. “Se necessario lo introdurremo” e “può avvenire con breve preavviso”, spiega il ministro della Danimarca che, come già avvenuto per la reintroduzione dei controlli alle frontiere, prendere la misura soprattutto come reazione alle mosse della Svezia. Ma i due Paesi annunciano di avere già messo in calendario, per gennaio, un incontro per tentare di coordinarsi.

“Tutti concordano che Schengen è molto vantaggioso per tutta l’Europa e dobbiamo fare tutto il possibile per rispettare il principio”, premette anche il ministro della giustizia e dell’immigrazione svedese, Morgan Johansson. Ma quando si passa alla pratica e alla situazione del proprio Paese le cose cambiano: “Per noi è stato necessario introdurre le misure” di sospensione di Schengen per “mantenere il controllo della situazione in Svezia” che “in autunno era diventata molto difficile”, ricorda il ministro. In cifre: “Lo scorso anno abbiamo avuto 160mila rifugiati, il numero più elevato di sempre, più del doppio del nostro record e se guardiamo solo gli ultimi 4 mesi in Svezia abbiamo avuto 115 mila richiedenti asilo di cui 26 mila bambini e minori non accompagnati che corrispondono a 100 classi scolastiche”. Insomma è vero che “le misure non devono essere messe in atto più a lungo di quanto ne abbiamo bisogno perché vogliamo che le persone si possano muovere liberamente in Europa ma la situazione in autunno è stata molto molto difficile per noi e non vogliamo tornare indietro a questa situazione”, chiarisce Johansson. Per giungere ad una soluzione, secondo lo svedese, “bisogna rispettare le regole, trattare le domande di asilo nel primo Paese come previsto dal sistema di Dublino che è la base del nostro sistema di asilo, ma servono anche strade per ridurre il flusso di migranti che arrivano soprattutto dalla Grecia e rafforzare i confini esterni dell’Ue”. Insomma lo sforzo deve essere complessivo perché “noi possiamo fare molto e lo abbiamo fatto ma non possiamo fare tutto, la responsabilità deve essere condivisa”, lamenta il ministro.

Posizione simile a quella della Germania che rivendica una chiusura dei confini “necessaria”, visto che il Paese ha ricevuto nel 2015 “3.200 rifugiati al giorno” e i numeri “non diminuiscono”. La situazione, secondo il segretario di Stato parlamentare del Ministero dell’Interno tedesco, Ole Schröder, è dovuta al fatto che “in Europa non abbiamo controlli alle frontiere funzionanti, soprattutto al confine greco-turco”. E questa, secondo Berlino non è la sola criticità visto che “il sistema Eurodac (per la registrazione dei migranti) non è applicato pienamente e il sistema di relocation non funziona”. Insomma “tutti vogliamo proteggere il sistema Schengen” ma “fino a che non ci sarà una soluzione europea per fare fronte alla pressione migratoria”, è convinto Schröder “avremo misure da parte dei singoli Stati membri”, come sta accadendo con la chiusura dei confini. Berlino, in ogni caso, sottolinea di non avere subito un “impatto negativo” dalla decisione della Danimarca di chiudere le frontiere con la Germania ma, dice, “bisogna controllare come la situazione si evolve”.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Eunews.it

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