Donne italiane sopra i cinquanta ‘drogate’ di farmaci

Casalinghe, mamme o professioniste in carriera prendono di tutto, da ansiolitici a dimagranti e analgesici, spesso di nascosto. Una vera tossicodipendenza che neanche i familiari conoscono. _____________________ Pensano …

Casalinghe, mamme o professioniste in carriera prendono di tutto, da ansiolitici a dimagranti e analgesici, spesso di nascosto. Una vera tossicodipendenza che neanche i familiari conoscono.

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Pensano di poter fare a meno della ricetta del medico, pescano a caso nell’armadietto delle medicine, finiscono le confezioni lasciate a metà. E prendono pastiglie come fossero caramelle.

Sono i farmaco-dipendenti, categoria sempre più diffusa in Italia, soprattutto fra le donne attorno ai 50 anni. Che siano casalinghe, mamme o professioniste in carriera fanno pasticci tali da sovrapporre problema a problema. In particolar modo quando si tratta di psicofarmaci. Ad esempio, alternano con disinvoltura energizzanti per tirarsi su e sonniferi per non essere agitate di notte. Oppure mollano a metà le cure contro la depressione non appena si sentono un po’ meglio.

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Abitudini deleterie che spesso portano a una specie di «corto circuito» fisico. E che si concentrano soprattutto negli anni in cui le donne affrontano menopausa e crisi di mezza età, in cui si sentono schiacciate dallo stress e dai mille ruoli che ricoprono durante la giornata. In Italia si contano 3 milioni di donne in cura. Se è vero che solo il 15% segue le terapie con rigore, significa che sono più di due milioni quelle che pasticciano con boccette e blister.

«Molte pazienti – spiega Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria – interrompono la cura anti depressione dopo un paio di mesi. Così non risolvono nulla, anzi. È come se il gesso a un braccio fratturato venisse portato solo per una settimana: il braccio si romperà di nuovo e le conseguenze della frattura saranno più gravi e difficili da riparare».

Il discorso non vale solo per le donne né solo per gli psicofarmaci ma per i medicinali in genere, presi con posologia fai-da-te dal 60% dei pazienti. «Questa abitudine rischia di portare ad alchimie davvero pericolose» spiega Mencacci. Sia sul sistema nervoso sia sugli altri apparati. Di contro sarebbe bene fare una telefonata in più al medico o, almeno, chiedere un’indicazione al farmacista. Invece vige la regola del passaparola che, semmai, va bene per i comuni farmaci da banco.

E poi c’è Google, che rende tutti medici ad honorem contribuendo ad alimentare errori e mix pericolosi. «Ci siamo chieste spesso perché le pazienti non seguono le terapie o perché prendono solo mezza pastiglia, facendo di testa loro – spiega Nicoletta Orthmann, referente scientifico dell’Osservatorio sulla salute della donna -. Bisogna lavorare molto sul rispetto della terapia, sia per la depressione sia per le altre terapie, cardiache o contro l’ipertensione. Un ruolo fondamentale ce l’ha il medico: è lui a dover motivare nel modo giusto la paziente, a spiegare che ci vuole un po’ di tempo perché i farmaci facciano effetto e a dire cosa può succedere se interrompe o si dimentica di prendere le pastiglie».

USI E ABUSI

L’approccio comune ai farmaci è quello del «purché mi passi in fretta», sia che si tratti di mal di testa o di influenza. Ma un uso esagerato di anti infiammatori provoca disturbi gastrici o coliti intestinali che, a loro volta, vengono tamponate con altrettanti farmaci. E via di questo passo. Insomma, siamo nell’epoca in cui c’è una pastiglietta per tutto e contro tutto. In media ogni italiano prende 1,8 dosi di medicinali al giorno, con una buona quota «rosa»: le donne sono le vere habitué della farmacia, il 10 per cento in più rispetto agli uomini.

L’ultimo rapporto Osmed, firmato dall’agenzia del farmaco Aifa, parla di una spesa di 29 miliardi di euro nel 2015, l’8,6 per cento in più rispetto all’anno precedente. Scatola dopo scatola, le dipendenze maturate sono parecchie. Irrinunciabili diventano antidolorifici, ansiolitici (a base di benzodiazepine), i barbiturici, i dimagranti, i narcotici (ad esempio morfina e metadone), i sonniferi, gli stimolanti. E si calcola che le prescrizioni inappropriate da parte dei medici di base siano, seppur in calo, ancora superiori al 30%. A testimoniare che va rivista anche la cultura della prescrizione facile. Le regioni in cui l’utilizzo di farmaci e antibiotici è cresciuto in maniera più significativa sono soprattutto quelle del Sud, con Lazio, Campania, Puglia e Sardegna in testa. Di contro, i consumi più bassi si registrano nella provincia autonoma di Bolzano, in Liguria e in Friuli Venezia Giulia.

COME UNA DROGA

L’utilizzo smodato o «un po’ sì e un po’ no» dei farmaci può portare a una condizione di autentica dipendenza, come da una droga. E combattere questa piaga non è cosa da poco: spesso i farmaco-dipendenti rappresentano un sottobosco silenzioso, nient’affatto conclamato, e vanno avanti così tutta la vita mettendo una toppa (a suon di altri farmaci) a ogni nuovo disturbo. La prima fase è quella della «tolleranza»: si sente il bisogno di alzare le dosi del farmaco per riuscire ad ottenere gli stessi effetti dell’inizio. Poi si passa al cosiddetto craving, cioè una serie di forti impulsi e pensieri fissi su come e quando prendere il farmaco, proprio come se si trattasse di un bisogno di droga. La terza fase è quella dell’astinenza, in cui compaiono insonnia, nervosismo, depressione o euforia, misti a cognizione ridotta e tachicardia.

I medici fanno notare come alcuni farmaci e alcune droghe condividano lo stesso processo di sintesi e la stessa composizione chimica. Ovviamente i dosaggi sono differenti, così come i modi e i tempi di somministrazione. Ma basta fare confusione sulle quantità per avere effetti altrettanto dannosi. In genere chi è dipendente dai farmaci è un invisibile. E nemmeno i suoi familiari se ne accorgono. Eppure i campanelli d’allarme sono parecchi, a cominciare dai comportamenti alterati, proprio come avviene a un tossicodipendente. Effettuare una diagnosi di farmacodipendenza non è impossibile. Bisogna considerare alcuni aspetti: spesso il dipendente falsifica le ricette, si procura le confezioni sottobanco. Oppure decide in autonomia di aumentare le dosi, parla in modo ossessivo del farmaco e dimostra una preparazione «medica» super approfondita e persino eccessiva.

Fonte: Il Giornale

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