Default Grecia: si cerca soluzione. Ma Renzi fuori dalle trattative

Varoufakis si dimette. Merkel e Hollande, che si vedranno stasera a Parigi, hanno convocato un summit straordinario dei Paesi della zona euro per martedì pomeriggio, preceduto da un …

Varoufakis si dimette. Merkel e Hollande, che si vedranno stasera a Parigi, hanno convocato un summit straordinario dei Paesi della zona euro per martedì pomeriggio, preceduto da un eurogruppo: questa la risposta dell’Ue alla vittoria del “no” nel referendum voluto dal premier greco Alexis Tsipras.

L’iniziativa è stata sollecitata anche dall’Italia. Il premier Matteo Renzi, a quanto si è appreso, avrebbe detto chiaro e tondo a Parigi e Berlino che non si può andare avanti con il “format a due”, ma che serve il coinvolgimento di tutti i leader e delle istituzioni Ue. Ma Merkel e Hollande non l’hanno interpellato. Intanto crescono i timori e le prese di posizione su una possibile Grexit. Una prospettiva che, per JpMorgan ed anche per la banca Barclays, è ora “la più probabile”.

Merkel e Hollande hanno concordato sulla necessità di rispettare l’esito del referendum. Ma altri importanti esponenti della politica europea sono stati meno diplomatici. E mentre l’Italia spinge per tornare al tavolo delle trattative al più presto possibile e lo stesso premier greco sottolinea che il ‘no’ non è una rottura con l’Ue, il vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel osserva invece che “Tsipras ha distrutto l’ultimo ponte verso un compromesso tra Europa e Grecia”.

Una posizione molto simile a quella della premier polacca, secondo la quale “se i dati verranno confermati, alla Grecia rimane soltanto una strada: l’uscita dall’eurozona. I greci, che io rispetto molto, sono vittime di una leadership politica populista”. Ed anche dal solitamente cauto Belgio si avverte, attraverso il primo ministro e il ministro delle Finanze, che il risultato del referendum “è probabilmente un brutto colpo per l’avvenire dell’Europa” e che il concretizzarsi o meno dell’ipotesi di una Grexit dipenderà dalle proposta che Atene presenterà ai suoi partner.

Anche se il ‘no’ della Grecia rappresenta una sconfitta per le politiche di austerità imposte dall’Eurogruppo e per la posizione in favore del ‘sì’ assunta dalla Commissione Ue – che si è limitata a un laconico commento in cui “prende atto e rispetta” il risultato del voto – le due parti sono condannate a trattare, partendo dall’attuale condizione di separati in casa, o per salvare in qualche modo il matrimonio celebrato all’insegna dell’Euro oppure per avviarsi verso il divorzio, cioè la Grexit.

La strada maestra resta quindi quella del dialogo. Da Atene il portavoce del governo ha detto che la Grecia farà “tutti gli sforzi possibili per arrivare a un accordo” con i creditori “anche entro 48 ore”. Secondo Matteo Renzi, che ha convocato il ministro Padoan per stamattina, “si dovrà tornare a parlare, e la prima a saperlo è proprio Angela Merkel. Lavoriamo in stretto contatto con i nostri partner europei”, ha poi aggiunto.

Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro francese dell’Economia, Emmanuel Macron: “Dobbiamo riprendere i negoziati politici. Non rimettiamo in scena il trattato di Versailles”, ha esortato, invitando i governi europei a non punire la Grecia come avvenne con la Germania dopo la prima guerra mondiale. Certo che ora sarà più difficile riannodare i fili del dialogo, e non solo per colpa delle ‘scorrettezze politico-diplomatiche’ di cui è stato accusato Tsipras. Bisognerà anche superare le divisioni tra falchi e colombe esistenti all’interno dell’Eurozona. Cioè tra chi non vede come un dramma l’uscita della Grecia dall’euro – come il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble – e chi invece vuole fare di tutto per tenere Atene all’interno della moneta unica.

Ma bisognerà fare anche i conti con chi se sente ora beffato, almeno dal punto di vista politico, da quanto accaduto con la Grecia. Portogallo, Irlanda, Spagna, Slovacchia e Cipro, tutti Paesi che per ottenere gli aiuti internazionali hanno dovuto applicare pesanti programmi di tagli e riforme voluti da Ue, Bce e Fmi. E che non sono affatto disposti a fare sconti a Tsipras.

_______

Da icona anti-austerity a mastino di Alexis Tsipras che a poche ore dall’apertura delle urne referendarie aveva attaccato i creditori di Atene, accusandoli addirittura di «terrorismo». Poi ieri sera il discorso in diretta Tv in t-shirt e stamattina le dimissioni annunciate con un semplice tweet.

È la parabola di Yanis Varoufakis, il ministro delle Finanze che ha rotto tutti gli schemi. Classe 1961, economista (master Essex e Cambridge), di buona famiglia (il padre era un importante ex manager di Stato), un fratello giudice, che sabato aveva interpretato il ruolo del duro, mostrando la `faccia feroce´ del governo greco. Messo da parte il suo sorriso glamour e accattivante, dalle colonne de `El Mundo´ si era lanciato a testa bassa contro i «nemici» di Bruxelles, con toni brutalmente aggressivi. L’ultima bordata prima del voto. «Posso dire che tutto quello che sta accadendo in Grecia in questi giorni – aveva attaccato Varoufakis – lo avevano preparato fin dall’inizio, che già cinque mesi fa era pronto un piano per farla finita con un governo che non accettava di farsi ricattare `dall’establishment´ europeo».

La rabbia al posto del glamour. Addio alle foto su Paris Macht, in cui gigioneggiava abbracciato alla sua mondanissima compagna Danae Straton, sulla terrazza della sua casa con vista Partenone. Foto che lo misero in difficoltà anche in patria, decisamente in contrasto con le drammatiche condizioni di vita di tanti dei suoi elettori. E per quelle immagini arrivò a chiedere perfino scusa.

In questi mesi, è stato al centro delle interminabili trattative per trovare un’intesa sostenibile sul buco dei conti di Atene. Ma a Bruxelles, ormai da tempo non godeva più di fiducia e grande stima. Tanti negoziatori facevano trapelare la loro insofferenza nei suoi confronti, a differenza di Tsipras che comunque ha sempre mantenuto un contatto, anche umano, con i vertici delle istituzioni Ue.
Tag

Partecipa alla discussione