Basta con il tifo pro o contro la Cina, serve collaborazione e non competizione

Intervista al nuovo presidente della Fondazione Italia Cina, l'imprenditore tessile Mario Boselli. Con Pechino vanno evitate arroganza e contrapposizioni dure: non è il momento.

di Lorenzo Lamperti

(WSC) Roma – Il 2020 doveva essere l’anno del turismo e della cultura Italia Cina. Purtroppo è diventato l’anno del coronavirus. Uno scenario difficile, che non ha però dissuaso Mario Boselli dall’intraprendere una nuova e affascinante sfida, la presidenza della Fondazione Italia Cina. Imprenditore tessile, presidente onorario della Camera nazionale della moda italiana e presidente dell’Istituto italo cinese, Boselli non si è tirato indietro e ha accettato il prestigioso incarico, succedendo ad Alberto Bombassei.

Presidente Boselli, come cambia la Fondazione Italia Cina con lei alla guida?

Il lavoro fatto finora è sempre stato eccellente. A mio giudizio i risultati migliori sono stati ottenuti con la presidenza di Cesare Romiti e come già avvenuto allora penso che il mio coinvolgimento possa essere positivo per dare un’unica regia a due realtà diverse ma complementari tra loro come la Fondazione Italia Cina e l’Istituto italo cinese. Il fatto che si potesse tornare a questo “schema” mi ha persuaso e nel giro di poche ore ho accettato di assumere l’incarico.

Quali saranno i punti principali della sua presidenza?

La strategia di fondo sarà una: collaborazione più che competizione. Questo vale a livello micro, quindi tra le istituzioni italiane e i vari attori del sistema attivi nei rapporti sulla Cina come l’ICE e le camere di commercio. Ma vale anche a livello macro, con l’incentivazione dell’aspetto collaborativo con un attore fondamentale come Pechino. Lo spirito deve essere quello di cogliere le opportunità e non fermarsi davanti ai problemi.

Radio Italia Cina 意大利中国电台- Mario Boselli: "Cina in ...

Non le sembra però che in Italia si faccia fatica a tenere una linea coerente e neutrale, sia a livello politico sia a livello mediatico?

Sì, devo dire che in generale sulla Cina, come su tanti altri temi, mi pare prevalga ormai la logica degli schieramenti contrapposti, quindi o si è “pro” o si è “contro”. Da imprenditore mi sento di dire che nessuno, non solo in Italia ma in tutto il mondo, può immaginarsi di guadagnare qualcosa da una Cina in difficoltà. Un paese di quelle dimensioni sposta inevitabilmente le cose, sia nel bene sia nel male. E se la Cina va in crisi ne risente tutto il mondo. Una Cina in difficoltà esporta miseria, una Cina in salute esporta ricchezza. Poi, certo, nessuno deve restare vittima di questo processo.

In questo momento in quale delle due eventualità ci troviamo?

Guardi, io frequento la Cina dal 1978, dall’era di Deng Xiaoping. In questi 40 anni per molto tempo la Cina è cresciuta senza guardare come, spesso senza rispettare le regole. Per anni la Cina ha avuto un modo di competere aggressivo, per esempio nel settore tessile dal quale io provengo, indebolendo le filiere. Ma già da tempo le cose sono cambiate: la Cina è diventata meno competitiva, più responsabile e ha migliorato il proprio tenore di vita. Da paese solo esportatore si è trasformato in paese importatore, anche di prodotti e dello stile di vita italiano. In questo momento la Cina presenta più opportunità che rischi,

Quali sono i settori su cui l’Italia deve insistere nelle relazioni commerciali con la Cina?

Dal 2008 parlo delle “tre F”: food, fashion e furniture. Questo è il nostro core business su cui troviamo una strada già aperta. Ma i cinesi, prima ancora di amare i nostri vestiti, il nostro design e i nostri prodotti alimentari, apprezzano il nostro stile di vita.

Quali sono invece i settori che presentano importanti margini di crescita? 

Megatronica, farmaceutica, cosmesi. Possiamo crescere ed eccellere in tanti settori.

Il 2020 era anche l’anno del turismo e della cultura Italia Cina. Pensa che da questo punto di vista ci si possa ancora in parte salvare oppure si rischia di avere un anno perso?

Temo che il 2020 sarà un anno perso sotto il profilo del turismo. E temo anche che la ripresa sarà lenta, per le difficoltà che ci saranno nel viaggiare. Allo stesso tempo, ci sono potenzialità per incrementare la vendita di prodotti online. Tutti gli indicatori in nostro possesso ci dicono che i prodotti italiani possono essere, e sono già, protagonisti di una rapida ripresa in Cina, che è la prima a essere uscita dalla fase uno e la prima che può tornare ad acquistare. In un momento in cui gli Stati Uniti e l’Europa fanno fatica dobbiamo per forza di cose guardare al mercato cinese.

Le tensioni politiche internazionali possono incidere in negativo sulle relazioni commerciali?

Purtroppo sì, basta guardare cos’è successo in borsa dopo le accuse di Trump e Pompeo. L’ho detto prima: serve collaborazione e non competizione. E men che meno servono arroganza e contrapposizioni dure: non è il momento.

Crede che l’Italia riuscirà a mantenere una posizione equilibrata, a tutti i livelli, sulla Cina?

Penso di sì. Noi italiani abbiamo tanti difetti ma non ci rendiamo protagonisti di certe esasperazioni. Dico anche che la situazione politica attuale non mi pare che favorisca l’assunzione di una posizione univoca in materia di politica estera, come già si era evidenziato durante il processo di adesione alla Belt and Road.

A proposito di Via della Seta: l’Italia ha fatto bene ad aderire?

Io penso sia stato corretto farlo. Si è poi parlato molto, per esempio, dei porti: ma la Cina investe e finanzia infrastrutture che resteranno comunque nel nostro Paese. Per quanto riguarda i possibili benefici di tipo commerciali derivanti dalla nostra adesione, bisogna aspettare nel medio periodo. Vanno implementate una serie di azioni sul tema e la pandemia ha rallentato tutto.

C’è il rischio che, bloccando il turismo, la pandemia blocchi anche il processo di avvicinamento culturale tra Italia e Cina? Oppure al contrario può essere utilizzata come un’opportunità per capire meglio tante cose di un paese impossibile da ignorare?

Guardi, io penso che al momento in Italia ci siano più schiamazzi che voci sulla Cina. Mi pare prevalga l’emotività, in un senso o nell’altro. Noi come Fondazione Italia Cina ci poniamo proprio l’obiettivo di agevolare la reciproca conoscenza, fungendo da ponte tra due paesi lontani geograficamente ma che hanno bisogno l’uno dell’altro.

Questa intervista è stata originariamente pubblicata da Affaritaliani.it, che ringraziamo. 

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