Tassi d’interesse negativi hanno prodotto effetti opposti a quelli voluti

Pictet Wealth Management: le cinque banche centrali (eurozona, Giappone, Danimarca,  Svizzera e Svezia) che hanno abbassato i tassi d’interesse portandoli sottozero hanno esasperato la volatilità dei mercati finanziari. …

Pictet Wealth Management: le cinque banche centrali (eurozona, Giappone, Danimarca,  Svizzera e Svezia) che hanno abbassato i tassi d’interesse portandoli sottozero hanno esasperato la volatilità dei mercati finanziari.

I primi due mesi dell’anno sono stati estremamente volatili  per i mercati azionari. L’adozione di tassi d’interesse  negativi da parte della Bank of Japan (BoJ) e della Banca  centrale europea (BCE) ha avuto un ruolo essenziale nel  determinare le turbolenze sui mercati, influendo  negativamente sulla redditività delle banche, creando rischi  per il ciclo creditizio e facendo riemergere i timori in merito alla deflazione. Un rimbalzo dei mercati duraturo richiederà  importanti cambiamenti di politica economica.

I tassi d’interesse negativi fanno precipitare i mercati 

Le cinque banche centrali (eurozona, Giappone, Danimarca,  Svizzera e Svezia) che hanno abbassato i propri tassi d’interesse a  breve termine portandoli in territorio negativo avevano intenzioni  lodevoli: riflazionare le loro economie stimolando l’erogazione di  prestiti da parte delle banche. Ma, come si dice, la strada per  l’inferno è lastricata di buone intenzioni. L’adozione di tassi  d’interesse negativi da parte della BoJ e della BCE ha prodotto  risultati esattamente opposti.  I mercati azionari in Europa e Giappone hanno reagito bruscamente.  In modo sorprendente, l’ondata di vendite sui mercati azionari ha  raggiunto il suo culmine proprio quando i tassi d’interesse sono stati  spinti decisamente in territorio negativo. Il punto di rottura per le  azioni europee è stato il 3 dicembre 2015. Per le azioni giapponesi, il  29 gennaio 2016. Il crollo accelerato dei titoli finanziari coincide  esattamente con queste due date.

Le banche centrali stanno perdendo incisività 

Come temevamo, le politiche monetarie delle banche centrali  sembrano divenire meno efficaci e persino produrre effetti opposti a  quelli desiderati.  Questo repentino cambiamento è dovuto in parte  all’impatto dei tassi d’interesse negativi sulla redditività del settore  bancario: il costo della detenzione della liquidità in eccesso presso la  banca centrale intacca i profitti delle banche commerciali, prestare  denaro a breve termine all’economia non è più redditizio e  l’appiattimento della curva dei rendimenti erode i margini delle  banche.  A ciò si aggiunge l’evidente insuccesso delle banche centrali nel fare  risalire l’inflazione verso l’obiettivo del 2%, creando dubbi riguardo  alla loro capacità di ravvivare la crescita economica. Il calo del  prezzo del petrolio, e delle commodity in generale, ha accentuato i  timori in merito alla deflazione.  L’impatto dei tassi d’interesse negativi potrebbe frenare il ciclo  creditizio e persino provocarne una inversione. Le nostre aspettative  di una crescita del PIL in termini reali del 2% negli Stati Uniti e  dell’1,8% nell’eurozona quest’anno si basano sull’ipotesi di una  continua accelerazione della concessione di prestiti da parte delle  banche. Ma un rallentamento non può più essere escluso.

Che cosa serve per un rimbalzo non effimero? 

Nelle ultime settimane, questi timori sono penetrati nei mercati  finanziari, facendo loro assumere un atteggiamento di crisi. Va però  anche detto che vi sono scarsi segnali che i fondamentali economici  stiano volgendo al peggio. Cosa potrebbe fugare i timori dei mercati,  incoraggiandoli a riadottare una visione più equilibrata dei  fondamentali? Una qualche evidenza di almeno uno di questi tre  ampi cambiamenti potrebbe dare il via a un rally sostenuto:

› un ritorno duraturo del prezzo del petrolio intorno a 45/50  dollari per barile farebbe salire l’inflazione e diminuire i rischi di  default per le imprese del settore dell’energia. Ma la produzione  giornaliera dovrà scendere intorno a 1,5 milioni di barile per  ritrovare un equilibrio tra l’offerta e la domanda, cosa che  richiederà diversi mesi

› una inversione delle politiche monetarie da parte delle  banche centrali delle economie sviluppate, compreso il ritorno in  territorio positivo per i tassi d’interesse a breve termine della  BCE e della BoJ.  Questo cambiamento sembra però  improbabile a breve termine

› un nuovo forte mix di politica economica, che includa una  componente fiscale, per dissipare le pressioni deflazionistiche  nel mondo sviluppato. Anche la cooperazione internazionale  potrebbe aiutare. Ma un simile cambiamento non sembra  imminente, e dalla riunione del G20 del 26/27 febbraio non è  emerso nulla di rilevante.

In assenza di questi cambiamenti nei fondamentali,  i rimbalzi dei  mercati azionari rimangono possibili – come è avvenuto la scorsa  settimana – ma probabilmente saranno deboli e di breve durata. I  movimenti nel prezzo del petrolio, da parte delle banche centrali e  da parte dei governi saranno monitorati attentamente. Le misure già  annunciate dalla BCE e previste per marzo avranno una importanza  cruciale. Molto difficilmente la BCE cambierà la sua rotta. Essa  potrebbe abbassare ulteriormente i tassi d’interesse, portandoli al -0,5% entro giugno. Anche altre misure, come l’estensione degli  acquisti di titoli, includendo ad esempio le obbligazioni societarie,  potrebbero tuttavia contribuire a rassicurare i mercati, almeno  temporaneamente.

Analisi di Christophe Donay*

*Responsabile dell’asset allocation e della ricerca macroeconomica Pictet Wealth Management

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