Strategie politiche per favorire la crescita

Europa e Italia a rischio: migranti, rigore a senso unico, debito, assenza di visione condivisa. Se non cambia qualcosa nel 2016, la crisi dell’intera costruzione europea potrebbe divenire …

Europa e Italia a rischio: migranti, rigore a senso unico, debito, assenza di visione condivisa. Se non cambia qualcosa nel 2016, la crisi dell’intera costruzione europea potrebbe divenire irreversibile.

Al termine di un anno in cui si è andati a un passo dall’uscita della Grecia dall’euro, con l’emergenza che negli ultimi mesi si è spostata dal terreno della faticosa ricerca di una strategia comune anticrisi alla gestione in ordine sparso di centinaia di migliaia di migranti, e alle azioni da mettere in campo per far fronte all’offensiva del terrorismo, il già fragile edificio europeo continua a traballare pericolosamente. Non è la prima volta che il faticoso e impervio processo di integrazione subisce repentini rallentamenti, se non dei veri e propri arretramenti. E tuttavia questa volta il rischio è molto serio. Senza una netta inversione di marcia che ponga al primo punto il tema della crescita (e non più del rigore a senso unico) e della ricerca di strategie politiche condivise sui principali temi che dal prossimo anno si riproporranno con maggiore intensità, a partire appunto dall’emergenza migranti, la crisi dell’intera costruzione europea potrebbe divenire irreversibile.

A ben vedere – osserva Roberto Sommella nel suo ultimo lavoro Sboom, sappiamo ancora sostenere il cambiamento? (Fioriti editore) – negli anni della grande crisi è stata proprio la tragica assenza di leadership in Europa ad aprire la strada alla trojka. E ora siamo in pieno «sboom», perché la crisi «non è solo quella legata agli asfittici calcoli dell’economia, a un’iniezione di liquidità guidata dai banchieri, ai Trattati da cambiare». Siamo in presenza di una crisi d’identità: «Gli individui, i governi, la società stessa non sono in grado di sostenere i cambiamenti e pensano di potersi accontentare delle politiche monetarie di Francoforte». Eppure è stato più volte lo stesso presidente della Bce, Mario Draghi a sottolineare come non si possa attribuire alla politica monetaria un’azione di supplenza rispetto alla politica, alle fondamentali azioni che i diversi governi devono porre in essere, a partire da riforme strutturali incisive e strutturali, ma anche dal rilancio degli investimenti e dal sostegno alla crescita e all’occupazione. In mancanza della politica, come esercizio costante di mediazione e governo delle istanze che provengono dalla società civile, anche la “terza rivoluzione industriale” di cui parla Sommella nel libro, quella del Web, rischia di cogliere «governanti e governati» del tutto impreparati. Si va da quel che sostengono ormai in molti – l’era di Internet cambierà definitivamente le nostre vite – (ma occorre aggiungere che in buona parte le ha già cambiate senza che forse ce ne siamo pienamente accorti o ne siamo pienamente consapevoli), e quanti invece «già scommettono sulla fine dell’impero degli smartphone, unico bene che unisce i desideri di milioni di persone, che vivano nella ricca City o nelle mille bidonville del mondo». Quel che manca è la direzione di marcia, un «progetto di società e di strategia industriale».

Come attrezzarci al cambiamento – si chiede Luca Ciarrocca nel suo Rimetti a noi i nostri debiti, una nuova lotta di classe contro le oligarchie bancarie (Guerini e Associati) – soprattutto in Italia dove ogni persona nasce «con un debito di oltre 36mila euro sulle spalle»? Dalla micro alla macroeconomia, per constatare come nonostante gli innumerevoli sforzi di risanamento messi in atto nell’ultimo decennio l’alto debito pubblico esponga tuttora il nostro paese a notevoli rischi. Ma il problema non è solo italiano, poiché «il debito in crescita ovunque nel mondo è ormai una pericolosa bolla che prima o poi sarà destinata a scoppiare». Si cita nel libro uno studio del Fmi del giugno scorso, in cui di fronte al quesito se sia preferibile imporre misure di austerità in presenza di un alto debito oppure far conto sui bassi tassi d’interesse e provare a investire in programmi infrastrutturali aumentando la spesa pubblica, si risponde così: dipende dallo spazio fiscale di cui i governi possono disporre. Noi ne abbiamo? Ciarrocca lancia due proposte: far affluire direttamente «alla gente invece che alle banche commerciali» la liquidità che la Bce sta iniettando attraverso il Quantitative easing (che Draghi ha deciso di estendere fino a marzo 2017), lanciare una sorta di «Giubileo del debito che permetta a tutti di ripartire da zero, concedendo respiro all’economia». Quella del debito è un’emergenza che riguarda tutti, ed è da risolvere (eccoci nuovamente al punto) prima di tutto «sul piano politico».

di Dino Pesole

Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Il Sole 24 Ore, che ringraziamo

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