Reddito d’emergenza, basterà una semplice autocertificazione?

La sottosegretaria al Tesoro Guerra propone un intervento su due livelli: Naspi per chi ha una "storia contributiva" e assegno temporaneo più basso per le situazioni non regolari.

«La povertà non è una colpa. Meno che mai lo è per tanti cittadini e famiglie che vi stanno precipitando per uno choc non preventivabile. Se vogliamo dare concretezza al proposito “nessuno deve restare indietro”, servono strumenti per raggiungere davvero tutti. E probabilmente dovranno essere strumenti differenziati». Dopo l’intervento–tampone dei 400 milioni ai Comuni, la maggioranza e il governo cercano la quadra su un sostegno economico diretto che non lasci fuori fette di popolazione. Il dibattito è complesso perché si tratta di intervenire anche su sacche di lavoro sommerso. Per Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al Tesoro in quota Leu, la soluzione potrebbe essere quella di distinguere tra chi ha una “storia” contributiva e chi, invece, risulta totalmente sconosciuto al mercato del lavoro.

Di chi parliamo, innanzitutto?

Io distinguerei una prima platea, quella di persone cui, ad esempio, è scaduta o sta scadendo la Naspi. Aggiungerei le persone che hanno avuto accesso al mondo del lavoro e che poi si sono fermati per i motivi più vari.

Quale soluzione per loro?

Personalmente privilegerei l’estensione e il potenziamento della Naspi. Occorre adesso utilizzare procedure consolidate per garantire la più rapida erogazione. E si potrebbe utilizzare come riferimento l’ultimo contratto di lavoro.

Tutto ciò non colmerebbe il bisogno di assistenza che c’è in questo momento nel Paese…

Sì, c’è ancora un’altra platea che va aiutata in questo momento di emergenza assoluta, che sta emergendo ora e che non è facilmente individuabile attraverso i canali ordinari della solidarietà. Famiglie in cui nemmeno un componente può accedere alla cig, alla disoccupazione, alla Naspi, che sono state escluse dal Reddito magari per un requisito patrimoniale, in cui ci si arrangia con lavoretti o si sta dentro filiere – penso all’agricoltura, all’edilizia – dove il peso della competizione viene scaricato sull’anello più debole, il lavoratore, che quindi alla fine accetta un salario ma rinuncia alle tutele. Per loro ci vuole una procedura veloce ad hoc, con autocertificazione dello stato di indigenza ed erogazione temporanea di un assegno più basso rispetto all’altra platea, ma comunque sufficiente per la sussistenza.

Si tratta di situazioni “sommerse”, invisibili: come fargli avere un assegno di sussistenza?

Utilizzerei la card del Reddito di cittadinanza, una piattaforma già sperimentata e quindi estensibile. L’assegno potrebbe essere erogato sulla card. Preciso ulteriormente: non estenderei il Reddito di cittadinanza, ma ne utilizzerei la piattaforma tecnica.

Non era da mettere in preventivo sin dall’inizio una simile ricaduta sociale?

Sinora abbiamo agito in modo inedito e deciso ampliando gli ammortizzatori sociali e con la novità dell’intervento per gli autonomi e per altre figure come gli stagionali del turismo o i lavoratori dello spettacolo. È il protrarsi di questa situazione che ci spinge ad andare oltre e fino in fondo nella tutela di ogni singolo cittadino.

Alcune delle situazioni non “tutelate” – colf, badanti, immigrati nei campi – sono note da anni. Non è il caso di pensare anche a soluzioni strutturali?

Il virus ha mostrato la pericolosità sociale di situazioni che si sono incancrenite nel tempo e che, dobbiamo dirlo, sono state “tollerate”. Emerge la criticità di un mercato del lavoro frammentato, con alcune tipologie contrattuali che nei fatti non prevedono tutele o le prevedono in modo non sufficiente. Il sistema delle tutele, della protezione, deve diventare universale. Allo stesso tempo, lo strumento che interviene nella fragilità più radicale, il Reddito di cittadinanza, va perfezionato.

Fonte: Avvenire

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