Mr. ‘ministro di tutto’ Alfano cerca casa. E posti in Parlamento

Berlusconi e Salvini non lo rivogliono nel centrodestra e Renzi è inaffidabile. Intanto i suoi scalpitano per paura di perdere gli scranni.

Matteo Renzi lo definì “ministro di tutto”, ma era (ed è) il suo alleato più prezioso. Ora, però, Angelino Alfano cerca una ‘casa’ dove abitare per la prossima legislatura.

Dopo aver occupato la poltrona di ministro della Giustizia ai tempi del governo Berlusconi, aver fatto il vice premier con Enrico Letta, il ministro dell’Interno con Renzi e quello degli Affari esteri con Gentiloni, il berlusconiano-renziano ‘pentito’ non è riuscito ancora a racimolare un pacchetto di voti e appoggi utili a garantirgli l’autosufficienza alle urne per superare il 3% di sbarramento previsto dall’attuale legge elettorale, che molto probabilmente verrà confermata anche in quella attualmente in discussione (sempre se ci sarà tempo per approvarla).

Serve, dunque, un’alleanza strategica per permettergli di tornare in Parlamento con una squadra di fidatissimi peones che lo hanno seguito nel 2013 nella diaspora dal Pdl-Forza Italia e che oggi sono in forte fibrillazione per il combinato disposto del rifiuto del Cavaliere di riaccoglierli nel ventre caldo di Arcore e la scarsissima fiducia che ripongono in un accordo con Renzi, essendo quasi sicuri che il segretario del Pd non manterrà la parola una volta che le urne saranno chiuse nel 2018.

Il siculo Angelino, estrazione ed educazione democristiana, è cosciente che la foglia è strettissima e la via ancora troppo lunga, ecco perché nell’ultimo anno si è precipitato a cambiare nome e volto alla sua formazione politica, trasformata in fretta e furia dalla netta connotazione di campo di Nuovo centrodestra in Alternativa popolare-Centristi per l’Europa. Il tentativo è chiaro: affiliarsi alla ‘grande famiglia’ del Ppe, che in Europa è stabilmente in ‘joint venture’ con il Pse.

L’accoppiata popolari-socialisti, almeno a livello semantico, risolverebbe diversi imbarazzi nel centrosinistra italiano, nel caso si concretizzasse l’alleanza con il Partito democratico. Peccato, però, che le questioni di lana caprina interessino ben poco gli elettori, decisamente più pratici dei leader politici nel descrivere le cose con i termini e gli aggettivi più giusti e calzanti. E quello tra Alfano e Renzi è un binomio che piace veramente poco alla gauche nostrana.

Per questo l’ex premier, già in difficoltà nel risalire i sondaggi dopo i fallimentari 3 anni a Palazzo Chigi e la totale disfatta del referendum sulla sua riforma costituzionale, non è ancora convinto della bontà dell’accordo e prima vuole sperimentare sul campo l’intesa alle prossime elezioni regionali in Sicilia, dove il Pd correrà proprio con i centristi di Alfano per sostenere la candidatura di Micari, che sfiderà i naturali alleati della sinistra (Articolo 1 Mdp e Campo progressista di Pisapia) con Fava, il centrodestra del trio Salvini-Berlusconi-Meloni con Musumeci e il temuto Movimento 5 Stelle con Cancelleri.

Al momento le previsioni sul voto suggerirebbero prudenza al Nazareno, visto che Micari sembra ben al di sotto di Fava e comunque lontanissimo dai due veri competitor della tornata elettorale, Musumeci e Cancelleri. Ma l’affidabilità dei sondaggi si è rivelata molto fallace in diverse occasioni, quindi meglio attendere i risultati reali. Tanto, arrivati a 1 mese dalle Regionali c’è poco da fare, non si può più tornare indietro.

Dal 6 novembre, giorno successivo alle consultazioni, si tireranno le somme e si stabilirà il percorso. Nel frattempo Alfano deve pensare a come tener buona la sua truppa scalpitante. L’ala lombarda è stata temporaneamente placata con il conferimento dell’incarico di coordinatore nazionale del partito al capogruppo alla Camera, Maurizio Lupi. Ma questa tregua potrebbe durare poco. Le solite voci di corridoio, infatti, suggeriscono di tenere le antenne ben dritte in testa, perché Berlusconi uno spiraglio lo ha lasciato aperto. Non certo per un ritono in Forza Italia, su quello non può e non vuole transigere (altrimenti romperebbe i rapporti con Salvini), ma in più di un’occasione il Cav ha ribadito che qualora i transfughi pentiti decidessero di formare un nuovo soggetto politico, discontinuo e in aperta polemica con Alfano, allora non potrebbe fare altro che prenderne seriamente atto. Il ché, tradotto dal ‘berlusconese’, significa alleanza in coalizione e garanzia di una manciata di posti in Parlamento. Un’apertura ghiottissima. Anzi, in siciliano, riadattando la celebre frase del “Padrino”, questa è un’offerta che non si può proprio rifiutare. Alfano e Renzi permettendo…

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1 commento

  1.   

    solo in italia uno così lo fanno ministro. nella LRT   libera repubblica di topagna se lo sarebbero già mangiato. oppure usato per assaggiare le esche avvelenate. scalpita?  cosa dovrebbe fare un somaro?